È nato tutto durante una visita di cortesia in studio, quelle che fai ogni tanto – quando hai il privilegio di poterlo fare! – con artisti che stimi e persone che stimi ancora di più. “Senti un po’ qua, dimmi che ne pensi, non sto nemmeno a presentartela, è una follia, non saprei come definirla”: l’introduzione di Phra dei Crookers è questa, ma ciò che da quel momento in avanti viene fuori dalle casse ci strega abbastanza. Perché davvero: che cazzo è? Indie destrutturato e sfanculato? Urban lisergico? Genialità? Cialtronaggine? Cialtronaggine venata di brillante genialità? Sia come sia, un progetto come quello di Gato Tomato ci pare un perfetto antidoto contro le prevedibilità che ha assunto la musica italiana cantata in questi anni ’20: tutti un po’ urban un po’ indie, tutti un po’ cattivi di strada un po’ Battisti con la chitarra, tutti paranoie inoffensive e intimismi bacioperugini, oh sì, e tutti mancanza di (auto)ironia. Gato Tomato, invece, no. Gato Tomato è quella che ti fa dire: e questo che cazzo è? Oggi come non mai, una sensazione bellissima, una sensazione necessaria. Ecco una chiacchierata: breve, ma efficace nel dare delle coordinate. Ascoltatevelo, “Volume 1”. Ascoltatevelo. E poi, vai con l’intervista.
Ecco l’ennesimo cantante mascherato: ancora?! Funziona davvero ancora così bene, mascherarsi? Sul serio?
É una domanda che ancora non ci eravamo posti. Probabilmente perché non siamo vincolati al concetto di “funzionalità”. Ovvio, ci piacerebbe che le nostre canzoni possano smuovere qualche genere di emozione a più persone possibili, ma non siamo ossessionati da questo aspetto del fare musica. Per tornare in modo più specifico sul tema “maschera”, agli inizi avevo la necessità di mantenere l’anonimato per via dei graffiti. Col tempo, invece, avere una maschera mi è servito ad evitare che il mio capo e i colleghi mi riconoscessero. Ora la maschera è Gato Tomato, e Gato Tomato è la maschera. In ogni caso, negli anni, mi sono abituato a tenerla fino al punto che si è fusa con me: personaggio e persona sono la stessa cosa. In una logica pirandelliana del concetto di maschera, non ti nascondo che tra tutte quelle che devo indossare in più ambiti della vita, quella di Gato Tomato è quella che preferisco.
Un tempo indie aveva un senso come termine, tra quello concreto – essere indipendenti, non spinti e supportati da una major – a quello stilistico, ovvero il fatto di essere alternativi al mainstream. Oggi l’indie, almeno in Italia, è il nuovo pop. Gato Tomato in tutto questo come si situa? Che posizione ha sulla faccenda?
Per rispondere a questa domanda riprendo un punto appena citato: così come per il concetto di funzionalità, mentre facevamo e facciamo la nostra musica non siamo stati troppo lì a etichettare ciò che stessimo facendo. Per assurdo, una volta accumulato un bel po’ di materiale, noi stessi abbiamo avuto difficoltà a incasellare il nostro progetto in uno specifico genere musicale. In sintesi, ci sarà sicuramente qualche “addetto ai lavori” che troverà il modo di aiutarci a decodificare meglio cosa stiamo facendo. Per ora noi siamo già contenti di poter fare musica senza pensarci.
Un destino simile a quello dell’indie, in Italia, è ciò che è toccato all’hip hop. Anche qui: Gato Tomato, dove sta? Come si pone sulla questione?
Phra ed io amiamo la doppia H. Di più: veniamo entrambi da lì. L’hip hop ha condizionato molto le nostre vite quindi lo rispetteremo sempre, nonostante Phra a momenti alterni non ne possa più. Detto ciò, parlando di rap, a volte ci capita di non identificarci proprio in tutta la produzione attuale. Ecco perché, forse, è cresciuta questa voglia di sperimentare e di cercare altro.
Come nasce la tua musica? C’è un iter lavorativo predefinito, o è tutto felicemente sghembo e cambia di volta in volta?
La mia musica nasce dal fatto che ho sempre avuto una spiccata sensibilità nel confronto del mondo, delle persone e di me stesso. Ovviamente: nel bene e nel male. Tendo infatti a vivere ogni esperienza a pieno, da quella quotidiana alle tappe più importanti dell’esistenza. Osservo. Ascolto tanto. Memorizzo. Scrivo qualche appunto. Con e grazie a Phra, però, ho scoperto un nuovo modo di approcciarmi alla musica. In studio prima di schiacciare REC ci facciamo della gran belle chiacchierate in freestyle che non hanno senso da un lato, ma dall’altro hanno un senso profondissimo. Dopodiché Phra tira fuori dal cappello idee musicali e le chiacchierate, in unione alle idee appuntate e a sfoghi non pianificati davanti al microfono, diventano pezzi godibili. Musica curativa, in primis per noi stessi.
Gato Tomato è qui per essere la nuova “sensazione” della musica italiana, o per essere un lisergico outsider che si crea un seguito di culto? O è addirittura un progetto che è un one off, e scomparirà a breve?
Magari! Io faccio il mio e basta. O meglio, noi facciamo il nostro perché mi piace che tutto questo sia un lavoro di squadra. Abbiamo l’esigenza animalesca di fare ciò che facciamo. Andremo avanti a prescindere dalla risposta del “mercato discografico”. Se sarà culto, saremo contenti per chi si identificherà nei nostri valori, che si riassumono in: fatti una risata se/quando riesci, pensa alle cose importanti, offri da bere, resta umile e sii rispettoso con tutti.
Ha senso voler fare musica oggi in Italia? Non è meglio dedicarsi ad altro? O ne ha invece più ancora di dieci o vent’anni fa?
Non saprei. Per noi ha senso fare musica perché ci fa stare bene: non facciamo musica perché l’abbiamo scelta tra altre possibilità posizionate in fila su un tavolino per arrivare a qualcosa. E, in ogni caso, facciamo anche altro. Non siamo persone statiche. Siamo Gato Tomato e Phra, sì ma siamo anche altro.
Dovessi esprimere un pantheon di artisti fondamentali per perimetrare la tua identità artistica, quali citeresti?
Gigi d’Agostino, Joe Cassano, Lucio Dalla, Vybz Kartel, Lucio Battisti, Duellz, The Beatles, Mino Reitano e Rino Gaetano.