E’ scoppiata una bomba contro Peggy Gou. E a farla esplodere non è una persona qualunque: Daniel Wang. Non solo suo vicino di casa per qualche anno, ma anche e soprattutto un dj da più di un quarto di secolo sulla scena in maniera integerrima, uno di quei dj apprezzati parecchio in primis dai colleghi e dai superappassionati – più ancora che dal pubblico “normale” dei clubber, che ogni tanto gli ha regalato ventate d’attenzione, in particolar modo nel primo periodo minimal, ma in linea di massima non lo ha mai fatto uscire dalla nicchia della nicchia.
Ecco: diciamo questo perché la prima cosa che si potrebbe pensare, per chi vuole essere dalla parte di Peggy Gou, è “…questo qui parla per invidia”. Da un lato c’è in effetti una sperequazione tra la fama dei due (e la Gou ha ottenuto in cinque minuti quello che Wang non ha ottenuto in venticinque anni, anche se il commitment di Wang alla scena è sempre stato totale e il suo contributo enorme), dall’altro chiunque conosca Wang di persona non ha dubbi: non è un rosicone, non è uno che parla per invidia. Ma ora largo al post (leggetevelo tutto), e poi più sotto però fateci fare qualche riga di commento. E’ importante, crediamo.
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Pubblicato da Daniel Wang su Lunedì 7 dicembre 2020
Onestamente? La prima reazione è stata un po’ di fastidio. Il gossip via social è una droga ammaliatrice: fa male, è una merda, ma difficilmente riesci a resistere – sia che lo consumi da spettatore (ci grufoli dentro, sai che non lo dovresti fare ma lo fai), sia che ne faccia uso tu in prima persona mettendolo in pratica (ti guadagna attenzione, ti guadagna like). Però un po’ di consapevolezza dovrebbe farti pensare che gli attacchi ad personam così circostanziati forse andrebbero risolti, appunto, di persona, senza invece pubblici ludibri da condividere con una platea di persone che (in parte) non conosce te e (in parte) non conosce l’oggetto delle tue invettive e, soprattutto, non conosce i fatti – perché fisiologicamente non li può conoscere con certezza.
Spiace dirlo per Wang ed a Wang, perché “a distanza”, lo abbiamo sempre stimato, ma la prima reazione personalmente è stata proprio: “Sarà anche vero quello che dici, ma ne potevi fare a meno di metterlo così su pubblica piazza. Cattivo gusto. Non un bell’esempio. Brutta roba”. Lascia un po’ perplesso anche il tag compulsivo effettuato da Wang in più di una risposta sotto il post a gente della scena con ogni evidenza “informata dei fatti”, da Radio Slave in giù: dà l’idea di una “urgenza di essere ascoltato” un po’ sospetta, a prima vista. Quasi a corroborare il sospetto che la “economia dell’attenzione” di cui la Gou chiaramente abusa in realtà abbia colpito, al piano di sotto, anche Wang.
…poi ragionandoci un po’ di più, il pensiero si è un po’ modificato. E ci terremmo a condividere la riflessione con voi, sul perché sia mutato, sul perché questo pensiero sulla questione si sia evoluto.
Chiaramente nella scena del clubbing c’è un problema. La gioia, l’euforia, l’innocenza, la purezza d’intenti s’è trasformata ormai troppo sistemicamente in avidità, voglia di monetizzare, piattezza artistica, ansia consumista, voglia di essere “funzionali” al Sistema (quello con la “s” maiuscola: ovvero quello che fa monetizzare su tutto e tutti), piuttosto che essere “disruptive”, alternativi, underground. E’ anche vero però che non si può restare puri ed incontaminati in eterno: significherebbe essere in eterno bambini. Non crescere mai. Non diventare adulti, non prendersi responsabilità. E una scena che non diventa mai adulta, che non si confronta col mondo, è una scena infantile, di persone immature.
Ma esattamente come si può restare underground ed anti-commerciali anche da posizioni profondamente consapevoli e mature, che mettono in conto la complessità dell’esistenza e con piena responsabilità fanno una scelta di campo (magari pagandola sulla propria pelle), è altrettanto vero che si può comunque avere un approccio sano verso il mercato, verso il diventare (anche) una professione, verso il vivere nei meccanismi dell’industria culturale e dello spettacolo (…un’industria di per sé tanto dignitosa come qualsiasi altra industria, se portata avanti con onestà).
Ecco. L’onestà. Forse questa intemerata di Wang, inopportuna per molti versi se guardiamo al caso singolo e specifico, è un modo per portare tutta la scena a rimettere il focus sull’onestà. Sul fatto che le persone e pure gli artisti vadano giudicati per quello che sono e fanno, e non per come costruiscono la propria immagine con mezzi e in territori “altri” né per il valore economico che si sono costruiti sul mercato. Un focus che si sta progressivamente perdendo per la crescita esponenziale del ruolo dei moltiplicatori di valore, pronti a fare qualsiasi cosa – fottendosene se legata al principio di realtà o no – pur di aumentare il guadagno per sé e per le persone per cui lavorano. Agenzie. Management. Il ruolo sempre più onnicomprensivo e strategico dei social media manager. L’importanza di fare le cose non per le cose in sé, ma per metterle su Instagram (…ed è una colpa che riguarda anche il pubblico, del clubbing: difficile dire chi abbia influenzato chi). Loro. Queste cose qua. Le conosciamo, ormai, tutti.
Non possiamo mettere la mano sul fuoco, per quanto riguarda le accuse precise di Daniel Wang a Peggy Gou. Ma non è questo il punto
Non possiamo mettere la mano sul fuoco, per quanto riguarda le accuse precise di Daniel Wang a Peggy Gou. Non sappiamo se è vera ogni cosa che lui abbia raccontato, e qualora sia vera non sappiamo se abbia raccontato solo una versione parziale. Ma sapete che c’è? Non è questo il punto. No. Non è questo il punto.
Non è il punto dimostrare che Peggy Gou sia una merda, ammesso e non concesso che lo sia. Il punto è rendersi conto tutti quanti che da troppo tempo si sta vivendo in un sistema dove il creare dei falsi ed immeritati “miti da venerare” è diventato regola, o almeno una gran verosimile possibilità… e già questo è abbastanza grave, il fatto che sia placidamente verosimile. La scena della club culture ha la fortuna di essere abbastanza giovane e, in fondo, ancora abbastanza piccola: si è ancora in tempo per un reality check in cui tutti assieme si parla, si discute, ci si danno delle regolamentazioni e si evita di svendersi completamente alle major e ai media ed alle agenzie mainstream.
Non bisogna colpevolizzare, pensando che basti questo, che basti individuare la colpa e soprattutto il colpevole, a risolvere la faccenda. Non bisogna fare i moralisti, puntando il dito. E’ il modo migliore per sputtanare le cose, agire in questo modo. Perché il vero moralista è quello che è infastidito più dal successo di qualcuno che non è “uguale a sé” che dalla effettiva questione da affrontare. Se Peggy Gou ha avuto successo, ha inciso per etichette importanti, ha avuto il supporto di colleghi di grido, la colpa non è (solo) né di Peggy Gou, né delle etichette importanti né dei colleghi di grido. E qualora ce ne sia, di colpa (e ce n’è), mettersi lì a cercare di sviscerarla e ad urlarla ai quatto venti – col sottotesto “Io sono meglio, io sono meglio” – è il modo migliore di dimostrare di non aver capito granché, e di essere più interessati al moralismo e al gossip che alla sostanza delle cose.
Il post di Wang, da un lato forse sgradevole ed inopportuno anche se molto facilmente vero e sinceramente circostanziato, dovrebbe essere usato non per dare addosso alla Gou ma per interrogarci su noi stessi, noi tutti, come scena, come comunità, come sistema sociale ed industriale fortunatamente ancora in tempo ad interrogarsi su certi dilemmi, prendendo posizioni critiche. Ne scrivevamo peraltro un po’ di tempo fa su quanto il personaggio Gou fosse dubbio e sì, l’articolo fu molto letto, ma forse non fu discusso abbastanza. O fu da molti solo imbracciato come “Bravi, finalmente dato addosso a quella stronza che ha costruito il suo successo sul nulla”, che è un modo un po’ superficiale – e non troppo acuto – di appiattire la discussione.
La questione invece è complessa. Molto più complessa delle specifiche accuse di Daniel Wang ad una specifica persona. La questione riguarda tutti. Non solo Peggy. Non è che abbattendo dal piedistallo lei, tutto magicamente sarà sistemato. No. Proprio per niente. Che però se ne discuta, è al cento per cento una buona notizia. E su questo l’inopportuno post di Wang, ecco, va allora ringraziato. Perché preso nella giusta maniera ci spingerebbe non a calcare la mano sulle colpe e le punizioni, ma a spingerci verso le soluzioni.
Che ne dite, je la famo?