La vecchia arena politica tra l’onorevole Carmine Rotunno e Michele Ramaglia, in una ormai quasi dimenticata Odeon Tv, era piuttosto accesa. Argomentazioni varie che passavano da: “È giusto dare la caccia ai napoletani?”; o ancora “È vero che i napoletani ballano e cantano in continuazione?”. Giobbe Covatta e Francesco Paoloantoni travestiti da polentoni incalliti interpretavano, meglio di tanti altri, un certo sentimento populista che prendeva piede e si sviluppava a macchia d’olio in tutto lo stivale. Quando poi in studio l’atmosfera si accendeva, uscivano dalle loro bocche parole del tipo: “ostregheta”, “ma vai a ciappà i ratt”. L’accento però era piuttosto campano e il veneto/lombardo suonava veramente male. La conclusione poi era sempre la stessa: “Non siamo noi che siamo razzisti sono loro ad essere napoletani”.
La “Mediterraneità” per fortuna resiste, il suono di Napoli cavalca l’onda e si rinnova al momento più di ogni altro filone musicale. I cugini di “vicolo” Nu Guinea appena usciti con “Nuova Napoli” si prendono la scena con tutto il rumore (più che positivo) che ne è scaturito tra l’Italia e soprattutto all’estero. La Early Sounds Recordings con il suo owner Pellegrino c’è sempre stata, rimanendo la vera spina dorsale di tutto il movimento in cui molto è cambiato da un Beyond the Label targato 2015. In un momento di tanta enfasi creativa, divisa quasi per necessità tra Napoli e Berlino due città molto distanti culturalmente che racchiudono però un sentimento unico per la musica, guardare dentro capirci di più e fare il punto della situazione è quasi doveroso. Il resto poi è tutto in divenire con la compilation “Napoli Segreta” (con i compari Nu Guinea, DNapoli, Famiglia Discocristiana) in uscita e un Pellegrino Snichelotto che si racconta a cuore e dischi aperti.
Ma quanto è bella “White Label, Black Label” di James Senese? Un brano talmente avanti dove una certa ribellione afro si unisce alla perfezione con un freestyle interminabile che spazia dalla disco al funky con uno dei primi esempi di rap partenopeo.
Guai a chi tocca Senese, a prescindere! Però credo che Sasà (vedi “Napoli Segreta Vol.1“, ndr) sia uscita poco prima e sia anche un ottimo esempio di rap partenopeo.
“Il napoletano nun po’ viaggià, po’ sule emigrà”. A dirlo era un Massimo Troisi di primo pelo in una scena epica di “Ricomincio da tre”. Quanto secondo te questa frase è ancora attuale con tutta una serie di sovrastrutture sociali che si sono create nel tempo?
Me lo chiedi perchè so’ emigrante? Scherzi a parte, credo che oggi rispetto al passato spostarsi in Europa o nel mondo, cercando magari di soddisfare quel “bisogno d’altrove” caro alla Yourcenar sia un impulso che nasce dalla necessità di trovare qualcosa che da noi evidentemente non c’è e, se c’è stato in passato, è stato negato e chissà, anche dimenticato. L’impulso che spingeva Gaetano (il protagonista di Ricomincio da tre) ad andare via dalla sua città alle falde del Vesuvio, non era la mera necessità economica o altri più classici e forse “borghesi” bisogni primari, così come avviene oggi per tanti dal nostro paese (tutto) e non solo dal sud, perché è anche ora di finirla con il cliché, per di più alquanto banale ed ottuso, del meridionale emigrante; anzi, meglio esorcizzarlo come in FFSS: “Sud, sud. Nuje simmo do’ sud, nuje simmo curte e nire, nuje simmo buon pe cantà e faticammo a faticà”.
C’è molto fermento in giro, sembra quasi che il Napoli Sound (almeno così lo chiamano) si stia prendendo la scena, tu da attore principale come valuti la sensazione che si percepisce in giro e come credi che questa debba svilupparsi?
Non sono un attore principale, ho solo la fortuna di stare in mezzo a varie cose che succedono. Comunque sì, in questo momento c’è tanta attenzione per quello che succede e viene prodotto nella mia città, la definirei una “Napoli mania”, forse complici anche i fenomeni mediatici e musicali che non hanno nulla a che fare con la nostra scena ma che comunque puntano il riflettore su Napoli e questo per me è sempre un bene: a stare chiusi nel proprio recinto si finisce con il non confrontarsi mai con il mondo. Non amo molto le etichette, sono riduttive e non lasciano spazio all’immaginazione, non le trovo stimolanti, anche perché sarebbe assurdo autodefinirsi portatori sani del suono di una metropoli come Napoli, impacchettare e comprimere dietro un hashtag le mille sfaccettature di un’intera città o peggio ancora di un popolo che ha mille anime. La musica di Napoli, qualsiasi essa sia, è tutta musica che appartiene alla città, con le sue 1001 sfumature – cioè Senese è Napoli colta e popolare allo stesso tempo, Nino D’Angelo è Napoli, Carosone è Napoli, Eduardo De Crescenzo è Napoli, Mario Merola è Napoli, Pino Daniele è Napoli, La Famiglia ed I 13 Bastardi sono Napoli, Eugenio Bennato è Napoli, tutti(!) i neomelodici sono Napoli, Gragnaniello è Napoli, Peppe Barra è Napoli, pure Liberato è Napoli. Tendenzialmente preferisco i concetti o contenitori concettuali alle etichette, come ad esempio “Mediterranean Sound”, sia per i miei lavori che come linea musicale con la label (ma non è detto che lo si abbracci sempre), perché racchiude un significato ampio e non si autoghettizza, appartiene a me, a chi è nato sulle rive di quell’eterno ponte fra culture e civiltà che è il Mediterraneo, o a chi non c’è mai stato ma ne percepisce il potere ispirazionale.
Quindi diciamo questa “Napoli Mania” dovrebbe avere più carattere, altrimenti rischia di essere una meteora?
Mah, spero proprio di no, anche se c’è questo rischio: l’era digitale consuma in fretta, è rapida e famelica, anche la fiamma più fulgida che arde forte spesso si consuma presto. Secondo me la scena, per ricollegarmi alla tua domanda di prima, ha bisogno di consapevolezza più che di carattere e di quello la città ne ha da vendere, di più spazio comune che personalismi, più coesione e meno ego, perché le eccellenze come il pedigree non mancano. Dalle realtà più grandi – inutile citarle, you know who you are – chi oggi propone con successo i grandi nomi dell’house, fino a chi con altrettanto successo si occupa di techno e affini (che non è il mio genere ma è un grande aggregatore) o quelle più piccole di chi si impegna con passione per far crescere la nostra scena (che ha ancora tanto margine di sviluppo in città) con eventi che tendono a creare una comunità che piano piano sta maturando, cosa che per me è alla base di quella che poi si chiama appunto “scena”. Detto ciò, la verità è che al di là questa “coltre” di hype mediatico c’è una città che non ha mai smesso di produrre e immaginare, di fare e disfare, in un continuo divenire creativo che da anni la mette sulla mappa; mi piace pensare anche con il nostro piccolo contributo. È una terra che vive di musica da sempre, non a caso c’è stato un tempo in cui coesistevano ben tre conservatori in città e San Pietro a Majella è stato ed è un punto cardine della musica in Italia ed Europa…insomma, Napoli è arte e non va spiegata.
Early Distro è ormai una realtà consolidata seppur nata da pochissimo, come mai l’idea di buttarsi anche nel campo della distribuzione?
Beh più che altro direi che stiamo cercando di costruire qualcosa in cui crediamo concretizzando una visione e seguendo un percorso preciso, che poi è cominciato da poco, assieme, o per meglio dire, grazie a chi ha fiducia nel nostro lavoro e ci affida le loro release. Il progetto è nato poco più d’un anno fa ed è stata una scommessa (l’unica label all’epoca era Early) poi col tempo tante altre realtà – alcune già da tempo in giro, alcune molto note, altre che si stanno facendo conoscere – si sono unite a noi abbracciando l’idea di base, cioè unire e creare un network di label (poche e selezionate) e quindi di produttori, dj e musicisti che gravitano attorno ad esse con una visione musicale e poi anche estetica specifica ma pur sempre affine. Una comunità basata sulla nostra piattaforma ma che ne è anche elemento portante, che collabora unita con una proposta comune, seppur sparsa geograficamente in giro per l’Europa ed il mondo, cosa che pian piano sta avvenendo anche con piccole soddisfazioni personali: a giugno avremo il piacere di essere ospiti, assieme ad alcuni dei nomi più rinomati del panorama europeo, sia come label che distribuzione (ci sarà anche un evento connesso al quale suonerò) al Vinyl Market organizzato dai ragazzi di Chez Emile che si svolge all’interno del festival La Chinerie a Lione.
Di carne sul fuoco ce né talmente tanta che quasi ci si perde, ma andiamo con ordine. L’ultimo lavoro si chiama “Advanced Dance” in cui undici brani inediti di Klaus Krüger (storico batterista dei Tangerine Dream e Iggy pop) sono stati pubblicati su Early Sounds con la collaborazione di Halfway Ritmo. Questa volta il concept si dissocia molto da quelle che sono le linee e il mood “Mediterranean” con un richiamo più elettronico ed oscuro, direi più Berlinese che mai. Gli inediti poi sono stati tutti scritti e arrangiati nel periodo 1982-1989, dove avete pescato tutto questo materiale unpublished?
Beh quello di Klaus Kruger è un album da approcciare sotto un profilo più concettuale. Quando ascoltai il materiale che Massimo (Di Lena) e Flavia (Lamprecht) proposero per una collaborazione tra Early ed il loro bel progetto Halfway Ritmo (sono loro gli artefici della ri-scoperta di Klaus assieme ad un sacco di altre cose fighe, fatevi un giro sul loro blog) mi piacque l’idea e pensai che la prima chiave di lettura del disco è la ricerca. Ricordo anche le collaborazioni eccellenti come quella di Manuel Göttsching, la riscoperta e la valorizzazione di composizioni che, per l’epoca in cui sono state registrate, rappresentavano l’avanguardia di vari generi e sottogeneri nati contestualmente o addirittura dopo, solo che nessuno lo sapeva, neanche Herr Kruger (che inoltre è stato un membro molto attivo di quella che è definita Berlin-School). È un progetto che prende una strada parallela rispetto alla discografia più recente di Early, ma rimane comunque in linea con lo spirito che c’è dietro tutte le ultime scelte musicali della label, cioè proporre materiale che per me per primo suoni “inconsueto”. Che noia sarebbe offrire sempre la stessa formula trita e ritrita, no?
C’è poi tutto il percorso fatto con LP “Qvark”, metà ristampa, metà inedito questa volta di musica italiana. Il sound qui si pone nel bel mezzo di un periodo storico ben preciso, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. Si tratta di un gruppo che ha avuto talmente una storia breve che forse in pochi conoscono la loro esistenza, come è nato questo 12”?
“Qvark” è un disco al quale tengo particolarmente che ha avuto una gestazione piuttosto lunga e un percorso a dir poco tortuoso. La prima volta che ne sentii parlare fu nell’estate di un paio d’anni fa quando il mio amico Edoardo, tra i fondatori ed animatori della comunità di Cashmere Radio e non solo, a Berlino, mi propose delle registrazioni (“Mi Alzo” e “Permesso?”) che il padre, sassofonista e recording engineer noto ed attivo nella scena milanese degli anni Ottanta e Novanta, aveva effettuato con la sua vecchia band che nel 1983 erano state pubblicate su un Q-Disc in edizione limitata. A parte l’apprezzamento per il sound per me fortissimo in bilico fra disco, italo e jazz funk di “Mi Alzo” e la disco/fusion incazzatissima e tirata di “Permesso?”, il mio interessamento non andò oltre, anche perché si trattava di una ristampa e non sono mai stato molto incline all’idea di fare ristampe in senso stretto su Early Sounds, ancora meno con solo due tracce a disposizione. Un anno dopo, il progetto era stato accantonato, mi arriva una mail con i rip di un nastro-demo ritrovato nei vecchi archivi è lì che il disco ha effettivamente preso vita, le tracce erano le due versioni di “Qvark Disco Club” (strumentale e vocal) alle quali si è aggiunta “Lino’s Theme” (RIP Lino Di Somma), traccia demo nascosta e ormai dimenticata da tutti i membri della band che è stata riscoperta mentre eravamo intenti a riversare i nastri nello studio di Marco (Analogcut Mastering). Marco è il referente di fiducia per le questioni audio di un po’ tutti i progetti nei quali sono coinvolto e che devo dire ha fatto un gran lavoro di recupero considerate le condizioni non entusiasmanti dei supporti di origine; senza poi dimenticare l’artwork di Riccardo (amico ed anche lui referente di fiducia ma per la parte grafica) che ha dato il suo tocco finale in pieno stile evocativo degli anni Ottanta.
C’è sempre questo mood che si rifà ad un’epoca passata che va proprio a cavallo tra il Settanta e l’Ottanta, una sorta di leitmotiv che spesso è presente negli ultimi lavori della Label. Sarà qualche linea di synth che suona piuttosto sporca e graffiante o cosa c’è dietro tutto quel periodo che ti attira maggiormente non avendolo poi vissuto in prima persona?
Fondamentalmente la label ha avuto varie fasi ed influenze che si rinnovano in continuazione e mi risulta difficile racchiuderle tutte all’interno di una sola chiave interpretativa. Nell’ultima fase, che è quella che sento rappresentarmi di più sia musicalmente, sia stilisticamente che esteticamente, mi auguro che si possa percepire la progressiva crescita e maturità artistica (che a mio avviso non ha e non deve avere una meta, piuttosto dovrebbe rinnovarsi nel tempo) di chi ha collaborato e condiviso in maniera più o meno continuativa il percorso con Early, ognuno con il proprio contributo. In effetti a pensarci bene nelle ultime sette uscite ci siamo proprio tutti, quindi forse la chiave è semplicemente ascoltarle. Influenze a parte dalle quali ognuno di noi ha attinto ed attinge, che sono personali anche se il panorama è comune, a mio avviso quello che ci ha contraddistinto, al netto degli scenari in continuo divenire, è stata probabilmente la ricerca, per ognuno diversa, di un determinato tipo di sonorità che con il tempo ci ha caratterizzato, non un genere.
Se agli inizi qualcuno ti avesse detto che un brano completamente cantato come “Che Male C’è”, contenuto nell’album “L’Alba Dei Vinti” a firma Bop & 291out sarebbe finito in catalogo, ti saresti stranito? Credo si sia trattato di una delle primissime volte che un brano interamente in “forma canzone” sia stato rilasciato da Early Sounds?
Partiamo dal presupposto che “L’Alba Dei Vinti” nella sua interezza è un disco che mi sta molto a cuore al punto da ritenerlo fra i più belli del nostro catalogo, anche perché ha segnato un cambio di passo all’interno del nostro percorso ed è uscito in un periodo di avvicendamenti nelle dinamiche interne alla label dopo le quali sono cambiate alcune cose e mi sono trovato a gestire in autonomia la label (pur sempre contando sul prezioso aiuto e collaborazione dei tanti che condividono con me il percorso dell’etichetta), motivo per il quale forse lo sento più “mio” di altri. È un disco che abbraccia uno spettro di sonorità piuttosto ampio, dalla suite di quasi sedici minuti (la title track sul lato A) che attraversa vari scenari per poi passare a “Slot Machine” (voce di Morelli tributo a Vincent Leonard Price Jr), prima traccia del lato B, che con il suo testo rappresenta un monito per i “vinti” contemporanei; fino alla malinconica chiusura, emotiva quanto evocativa di “Che Male C’è” (con la splendida voce di Giovanna Lubjan), che è un viaggio suggestivo. Il disco è nato tra lo studio napoletano di Bop e Milano dove da tempo risiedono i 291out che sono inoltre piuttosto attivi nella scena locale. Poi devo dire che per me i due Luca, che sono le menti dietro al disco, cioè Luca “Bop” Affatato e Luca “Presence” Carini e con loro tutti i membri dei 291out ovviamente, sono una coppia formidabile in studio anche e non solo per la loro grande capacità di interpretare e reinterpretare determinate sonorità. Quindi non so se agli inizi mi sarei stranito a pensare ad un disco del genere su Early, quel che è certo è che sono contento sia successo.
Quando ci sarà un tuo nuovo LP-solo? “Periplo” al momento rimane l’unica release a nome Pellegrino?
In effetti ci sono vari progetti, sia solisti che collaborazioni, che aspettano di vedere la luce. Tra quelli più imminenti c’è un edit che poi si è rivelato un remix che poi è diventato un overdub, nato per puro caso durante una notte di chiacchierate nello studio romano di Marco Salvatori, che gestisce la storica Best Records Italy assieme al fondatore, il leggendario Claudio Casalini. Dopo l’estate invece pubblicherò un disco con un nuovo progetto al quale sto finendo di lavorare in questo periodo, che coinvolge più musicisti in studio rispetto al passato, di certo segue un percorso diverso ma comunque con una certa continuità con “Periplo”, uno scenario in bilico tra cielo e mare, un omaggio agli astri ed ai loro riflessi sul mare.
Dai social si evince che qualcosa bolle in pentola, dopo i video teaser postati di recente c’è stato l’annuncio, questa “Napoli Segreta” esiste davvero?
Napoli Segreta è come la bellezza, esiste solo negli occhi di chi guarda, con attenzione. C’è una Napoli sconosciuta, una Napoli tradita, una Napoli svelata e poi nel mezzo c’è una Napoli Segreta e si sa, un segreto smette di essere tale quando viene spifferato, fino a quello successivo…citando il nostro manifesto a cura di Gennaro Ascione:“Napoli è sotto assedio. Da sempre. Tutti ne vogliono un pezzo. Tutti a caccia dell’essenza della città e del suo sound… E dopo anni sulle tracce di leggendari personaggi in un sottosuolo urbano che brulica di aneddoti e di passione, immersi in sanguinose ricerche tra oceani di vinili, nastri polverosi, nel mezzo di vicissitudini emotive, feste, mare, studi di registrazione e gabbiani… Napoli Segreta.” Un saluto speciale a chi questa Napoli l’ha riscoperta, valorizzata e preservata.