Se il pensiero di Brendon Moeller sotto l’alter ego Echologist è quello di ridare ossigeno alla space techno / dub techno allora questo EP è una boccata d’aria buona. Il sudafricano, spesso sotto vari pseudonimi, non è certo l’unico esempio della parte più oscura della techno, ma il crocevia futuristico-sperimentale di questo suo ultimo lavoro non poteva arrivare in un momento migliore. Sarà per la mancanza di rinnovamento del genere e per l’anima da ricercatore di suoni, ma Moeller non può mai tirarsi indietro dallo sperimentare sempre nuove possibilità sonore, tenendosi lontano mille miglia dalla moltitudine di dischi techno che escono ogni settimana.
I paesaggi dub di Brendon sono spesso in continua mutazione. Sempre violando i confini musicali di dov’era stato prima e prendendo spunti dal jazz, dub, afrobeat e psichedelia, Moeller porta i suoi lavori più perspicaci di ricerca techno degli ultimi anni da un club all’altro e da un etichetta all’altra. “Geographic” è il nome di questa inesauribile profondità musicale, ovvero il titolo del nuovo EP composto di quattro tracce e destinato a M_Rec.
Un terreno ricco di suoni eterogenei e ritmi incessanti che donano sostanza ed elementi vitali a questa natura troppo spesso sfruttata e quindi bisognosa di prodotti fertili. Questo disco, a mio modesto parere, non sarà fondamentale, ma si tratta sicuramente di un elemento prolifico da avere e su cui soffermarsi per riflettere sull’andamento della techno in futuro. Un lavoro non inteso come “prima pietra” quindi, ma parte integrante della sua costruzione sonora che va anche ad aggiungersi a quella techno selvaggia e cruda del panorama odierno berlinese.
“Impossibility” è la traccia d’apertura: un viaggio oscuro e sexy al tempo stesso, con la sua grancassa, il basso che dirigono l’andamento e le melodie analogiche interrotte da suoni taglienti e progghy. “Geographica” è più sperimentale, viaggia tra crudezza, distorsione e suoni industrial appoggiati a una cassa in continua mutazione. Roba materializzata con strumenti “veri”, fatti di transistor e condensatori. “Too Far Gong” è un brano opprimente e inquietante, forse l’arma preferita di Moeller, che non disdegna di intavolare discorsi di tech-violence su tappeti di bpm ben definiti, senza variazioni di rilievo. Sulla medesima traiettoria rimane “Drug Company” a chiudere il disco: dalla fabbrica Echologist un altro pezzo estremamente crudo, costruito sfruttando i principi della forza gravitazionale, spinte di bassi e suoni penetranti che immobilizzano e fluidificano corpo e cervello.
Un lavoro complesso e violento, che non può limitarsi a pochi ascolti e che racchiude alcuni spunti interessanti. Godiamoci questo EP senza troppe domande, magari la prossima volta ci spiegherà per cosa è così arrabbiato.