Sommate il numero di tutte le lettere dell’alfabeto, dei colori dell’arcobaleno, delle Meraviglie del mondo antico e moderno. Sarete ancora a meno della metà degli act che compongono la maestosa line-up del prossimo Dekmantel Festival, giunto al sesto compleanno costellando il proprio sentiero di successi.
Centoquattordici gli artisti invitati a comporre l’annuario della classe 2019, in quella che si preannuncia come l’edizione più variegata ed eclettica della rassegna e, sicuramente, quella più chiacchierata. La quattro-giorni olandese non ha, infatti, mancato di suscitare dibattiti dapprima attorno alla modesta quantità di selezioni disco e house (che hanno da sempre contraddistinto l’evento – pur tornando in pista Motor City Drum Ensemble e San Proper, a fare le veci dell’altrimenti assente casa Rush Hour). A metà gennaio, in aggiunta, il Festival ha subìto un polverone mediatico sollevato dalla dj e producer cilena Valesuchi, protagonista del J’accuse contro la totale mancanza di nomi del panorama sud-americano in scaletta ad Amsterdam. Evidente la contraddizione del team olandese che, nella brasiliana Sao Paolo, organizza di consueto la versione latina del medesimo Dekmantel. Il Festival ha fatto mea culpa, riconoscendo che lo scambio culturale debba concretizzarsi non soltanto nella scelta di una location esotica, ma nel coinvolgimento di personalità rappresentative della realtà oltreoceano, presentate alla scena europea.
Analizzandola più da vicino, la ricchissima line-up mostra sfumature che soddisfano una crowd di ogni tipo, che si troverà sorpresa dalle esibizioni di nomi magari non ultra-noti, ma ricercati come perle in uno scrigno. Oltre ad essi, gli immancabili big a far da cornice, ma scelti fra generi diversi a tener viva la curiosità.
Di seguito provo a raccoglierne alcuni in tre macro categorie, sollevandovi dall’imbarazzo della scelta.
QUOTE ROSA
Il 2019 è un anno simbolo della partecipazione italiana al Dekmantel, resa ancora più brillante dal fatto che, a tenere alto il vessillo fra i tanti, siano punte di diamante al femminile (Paquita Gordon, Elena Colombi, Caterina Barbieri, Adiel). Non sono le uniche, in un gineceo che dimostra che la principessa non attenda più un cavaliere reclusa nella torre, ma si armi fino ai denti combattendo sul campo. C’è la acid techno di Dr. Rubinstein, il cui nome cela i tratti gentili dell’israeliana Marina, partita da Tel Aviv e approdata a Berlino per scuotere il Berghain con i suoi rave. Carista, confermatasi regina del party durante la Boiler Room dello scorso anno ed uno dei set più entertaining del Selectors (testimonio di averla sentita mixare Rihanna e Kanye West). Il live di Marie Davidson, al quarto album da solista e portavoce di un messaggio che è un manifesto personale, orgogliosa “Working Class Woman”. Militanza techno con SPFDJ, che ha mosso i primi passi a Londra per giungere a dominare la capitale tedesca, presenza fissa all’Herrensauna in cui martella senza lasciare superstiti. Meravigliosa l’apparizione della tunisina Deena Abdelwahed, a presentare dal vivo il proprio disco di debutto in cui, fondendo clubbing e sound medio-orientali, tesse una critica alla società araba e alle sue ideologiche ipocrisie. E ancora Octo Octa e Donna Leake, la stella emergente Afrodeutsche e le sue contaminazioni classic, house ed electro. Menzione d’onore per Cio D’Or e la sua ambient modulata, riverberata, manipolata dai delay. Roza Terenzi, che ha scelto il proprio nome d’arte in omaggio a Fiorella Terenzi, astrofisica italiana che ha creato melodie partendo da registrazioni effettuate nello spazio e Mozhgan, di origini iraniane e passione anni Ottanta, legata a sintetizzatori e waves oscure.
Una rosa di donne di tale livello sboccia variopinta prima ancora che sia primavera.
JAZZ&SOUL FOR BREAKFAST
And for lunch. Consigliati prima e dopo i pasti, gli act di alcuni dei musicisti più straordinari del panorama storico e internazionale. Se non vi è capitato prima, non perdete la divina performance della leggenda etiope Mulatu Astatke – lo scorso anno a Milano, in Fondazione Prada, ospite della serata organizzata da Craig Richards. Nato nel ‘43, è il padre fondatore della corrente Ethio Jazz e compagno di merende, per citarne uno, di Duke Ellington; una vera e propria icona cui dedicare un culto profano, fra gli artisti africani (e mondiali), più influenti di sempre. A seguire, arriva il percussionista Yussef Dayes, metà dell’ormai sciolto duo Yussef Kamaal di stanza a Londra, lanciatosi nella carriera solista registrando un clamoroso esordio negli studi di Abbey Road. Giovanissimo, il ventiquattrenne fa parte di quel novero di illustri promesse nu-jazz che si fanno largo nella metropoli britannica, ponte di congiunzione fra tradizione e nuovo millennio. Kamaal Williams è il secondo talento della (ex) coppia, a volte dj su Ninja Tune, affermatosi dopo la separazione con progetti a proprio nome orientati ad acid jazz ed elettronica mescolata a soul e funk. Fari puntati su Pharoah Sanders,
epico sassofonista che ha avviato la propria carriera come membro della band di John Coltrane e ha attraversato i successivi cinquant’anni con un marchio stilistico profondo, ruvido, alternando libere improvvisazioni a catarsi spirituali. Onore a Wally Badarou, che ha affiancato con le sue tastiere Herbie Hancock, Grace Jones, producendo i dischi di Fela Kuti e Salif Keita. Non contento, il Dekmantel annovera fra i suoi anche un altro mostro sacro, l’americano Leroy Burgess (idolo personale di MCDE), genio magico dietro miriadi di produzioni soul, disco e funk a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta e polistrumentista, cantante e compositore.
Qualcuno ha detto Greenhouse, magari nel pomeriggio? Nella serra incastonata di palme, i maestri compiranno i loro incantesimi.
BAND/SOLO ARTIST
Quest’anno più che mai la consolle lascia spazio ai microfoni. Anche in questo caso, l’eclettismo della line up fa da padrone, offrendo alternative per ogni palato. Fra i gruppi presenti avevamo già ricordato i Nu Guinea, cui si aggiungono il caleidoscopio psichedelico dei The Comet Is Coming, ad amalgamare in una tavolozza a tinte allucinogene elettronica, funk, deliri jazzistici e world music; la scurissima e devastante drone dei Sunn O))), assordanti nella noise distruttiva contro cui nulla potranno i tappi acustici in omaggio al desk di accoglienza; lo psych pop dei Peaking Lights, prova vivente che la vita coniugale possa rivelarsi più che entusiasmante (i due, infatti, sono marito e moglie). L’ex voce dei Moloko approda all’Amsterdamse Bos: Róisín Murphy vanta un –quasi- trentennio da interprete e produttrice, dalle notti all’Haçienda alla collaborazione con Matthew Herbert e DJ Koze in “Illumination”. Presente anche la rivelazione del 2018 Yves Tumor, figura avvolta dal mistero ed asso nella manica di Warp (e già PAN), che col suo “Safe In The Hands Of Love” ha delineato cosa si intenda oggi per sperimentazione e avanguardia. Suzanne Ciani (forte nome del Terraforma 2017), ipnotizza con costellazioni elettroniche, per cinque volte nominata ai Grammy e pietra miliare nella storia del sound design. Di delicatezza inarrivabile, le sue opere sono un capitolo dell’enciclopedia della musica intera. Il fascino delle dune del deserto avvolge nel sound arabeggiante di Ahmed Fakroun, ma in un attimo il Dekmantel ribalta il finale includendo fra i suoi protagonisti anche gli inglesi Nitzer Ebb, soldati EBM dell’electro industrial.
Un elenco così eterogeneo che serve una mappa per ritrovarcisi.
Tre categorie sono solo lo spicchio di una sfera che ha il volto del pianeta Terra e dei suoi abitanti. Il Dekmantel tenta di collegare un Polo all’altro, un continente a quello accanto, in un viaggio propagato fra spazio e tempo. A sceglierne la destinazione, siamo proprio noi.