Ci sono due parole, due qualità che possono aiutare a comprendere la figura di Eric Cloutier: la prima è “classe” e lo si intuisce da quelle trame ricamate su misura dell’orecchio dell’ascoltatore, da quel costante, proporzionato groove con cui ci avvolge durante ogni set, da come vengono elegantemente accostate le più intense sonorità techno al funk meccanico dell’house contemporanea. L’altra è “eccezione” perché al giorno d’oggi, è cosa rara creare il proprio successo solo grazie alla magia dei propri dj set, senza produzioni alle spalle. La sua tecnica, le sue selezioni parlano per lui, ci ricordano quale sia in fondo l’essenza di un disc-jockey; da Detroit a Berlino passando per New York, sembra il percorso di un predestinato, anche se a ben vedere, il caso c’entra ben poco.
Ciao Eric! Possiamo pacificamente dire che rappresenti la vera figura del dj, nella sua essenza più radicale, originaria. La prima domanda che viene spontanea quindi è: secondo te, chi, che cosa è un dj? Qual è la sua funzione primaria?
Una prima domanda estremamente difficile! Penso che un primo obiettivo del dj sia quello di essere un delicato, astuto e ben informato selezionatore di musica. Non deve sempre essere la musica più nuova o quella ancora da rilasciare e non devono essere le gemme più rare quanto piuttosto un muoversi tra questi due poli, lanciando qualche classico, tutto nel giusto momento, mentre una delicata operazione matematica che un dj deve fare e che molte persone non capiscono, è comprendere il rapporto con il pubblico. Si balla da entrambe le parti della consolle, solo che il più delle volte non vedi i piedi del dj.
Ascoltare i tuoi dj set non è solo occasione per ballare, ma si tratta di sfogliare vere e proprie antologie di house e techno; il tutto unito ad una tecnica di mixaggio sopraffina. Abilità nel selezionare e abilità tecnica, quale delle due secondo te viene prima? Quale oggi è più latitante?
Onestamente penso che tutto il concetto della messa a tempo sia qualcosa che praticamente tutti, con un piccolo sforzo e in poco tempo, possano apprendere. Magari non perfettamente ma almeno una buona parte di esso così da creare movimento in un luogo. Ma non è questa la mia definizione di dj. E’ l’orecchio del selezionatore nel valutare quando sia il momento giusto per una traccia e nel sapere sino a quando trattenere le sue armi più esplosive affinché possano avere il miglior effetto sul dancefloor. Far si che il pubblico chieda costantemente di più, tenerlo sempre sul bordo della sedia, pronto a saltare e a questo si può arrivare solo con pazienza, un’etica da buon lavoratore e tanto amore e dedizione. Tutto ciò si lega molto anche alla prima domanda. Cosa penso manchi di più negli artisti di oggi? Penso che troppe persone vestano i panni del dj quando non sono pronte, finendo per fare danno. Sembra che ci sia questa moda crescente per cui un dj non deve essere così originale e si accetta che possa arrivare ad alti livelli copiando. Alcuni artisti sono soddisfatti nel seguire un trend, ricreando il suono del loro eroe musicale o ricalcando le classifiche; ma non è abbastanza, dovrebbero avere una capacità e una spinta interiore a produrre di più e qualcosa di differente, normalmente all’inizio per soddisfare se stessi e dopo anche un pubblico.
A proposito di selezione, te stesso commentando un tuo set affermi “a magician needs to keep his secrets”. Possiamo chiederti però quali sono le principali fonti in cui reperisci la tua musica (record store, internet, amici)? C’è qualche record store a cui sei particolarmente affezionato?
Probabilmente passo troppo tempo a cercare tracce durante il giorno. Una buona parte del lavoro è svolta con una accurata ricerca online sfogliando costantemente siti come Discogs, ma esamino anche un’altra serie altri negozi online così come ricevo una discreta quantità di promo. Mi diverte davvero anche la ricerca, lo scavare in contenitori di vinili. Da quando mi sono trasferito qui a Berlino ho avuto solo qualche occasione per farlo ma so che presto mi ritroverò di fronte ad ogni singolo disco di Spacehall e Rotation, considerando che questi due negozi non mi hanno mai deluso. Ma è piacevole anche discutere con i miei amici di ciò che suonano, di ciò che trovano, di musica che potrei anche solo aver trascurato perché la volta in cui l’ho ascoltata non corrispondeva ai miei gusti. A volte torno indietro su cose e mi dico “dannazione è davvero bello” oppure “ho comprato questo disco per un determinato lato ma poi l’altro si rivela essere decisamente migliore”. Davvero, non puoi mai sapere quando e dove potrai imbatterti in tracce deliziose, indi per cui tengo le mie orecchie, i miei occhi, le mie mani, sempre aperte per loro.
All’interno dei tuoi set si ritrova la tua storia: Detroit, NY, Berlino, techno e house nelle loro sfumature più eleganti, più profonde; ci puoi dire cosa, secondo te, queste tre diverse città ti hanno dato e insegnato?
Detroit mi ha insegnato quali qualità sono necessarie per sopravvivere nel mondo della musica, New York mi ha dato la coscienza di voler crescere sempre di più e Berlino mi sta insegnando quanto siano importanti umiltà e pazienza, mentre allo stesso tempo mi rafforza e mi spinge a dare sempre di più. La combinazione di queste tre cose sono un dono di una certa importanza, non lo dimentico mai.
Nel corso degli anni hai avuto modo di suonare in moltissimi club e festival ma alcuni di questi hanno segnato la tua carriera, due su tutti: il Bunker di NY e il Labyrinth festival. L’esperienza del Bunker inizia nel 2006 anno in cui in concomitanza col tuo trasferimento da Detroit a NY divieni dj resident del locale. Che cosa ha rappresentato per te? Che cosa lo rende così speciale?
Il Bunker era l’unica cosa che trovai quando mi trasferii a New York che in qualche modo mi ricordasse Detroit, quindi fu subito amore con quel party. Fu una piccola coincidenza che il mio grande amico, Derek Plaslaiko, una delle persone che mi ha insegnato di più sull’arte del djing, divenne resident al Bunker tuttavia come ho detto, dopo essermi spostato di 600 miglia da casa ed essermi messo alla ricerca di un contatto musicale, il Bunker rappresentò davvero la mia oasi. La sua crudezza, il suo concentrarsi sulla musica, sul soundsystem, su dj set estesi, il suo incrollabile senso per la qualità, sono tutti elementi che lo differenziano da tutto il resto a New York, secondo la mia esperienza.
Secondo te che ruolo riveste il resident dj all’interno di un club?
Due parole: consistenza e versatilità. E’ il tuo lavoro essere li per il pubblico prima e dopo l’artista principale, ma proprio per questo devi essere anche in grado di modellare la tua musica al fine di adattarla all’andamento della serata e creare un armonioso programma senza soluzione di continuità. Non è una cosa da tutti, spesso l’ego si mette di mezzo, ma quando è ben fatta da davvero il via ad una notte magica.
Puoi parlarci invece della tua esperienza al Labyrinth?
Il Labyrinth è qualcosa che difficilmente si può descrivere a parole. E’ davvero un effusione così grande di emozioni ed energia che giusto il pensiero mi da i brividi. Ho stretto nuove incredibili amicizie sia musicali che non, con cui ancora oggi c’è una forte legame. Mi ha anche aperto gli occhi su una moltitudine di suoni che avevo trascurato o dato per scontati. Nel complesso è stata la più bella esperienza della mia vita e continuerà a rappresentare una delle serate più incredibili in cui abbia avuto occasione di suonare. Ci penso spesso e penso di tornarci ogni anno anche se ne ho saltati un paio. Inizia a diventare il mio pellegrinaggio annuale.
C’è un contesto, una location particolare nella quale preferisci esibirti, nella quale ritieni si possa apprezzare maggiormente il tuo sound?
Quando suono provo sempre a narrare una storia, sia di giorno che di notte, al chiuso o all’aperto, quindi magari il mio umore può leggermente variare, ma è sempre un viaggio. Sicuramente spendo del tempo nel capire con chi suonerò e nel provare a far si che tutto proceda senza problemi, il che è qualcosa che potenzialmente mi è stato infuso dall’esser stato resident al Bunker, data la sua gamma di ospiti. Ma a guidarmi è anche il mio stato d’animo o la traccia che in quel momento attrae la mia attenzione, cose che incidono molto su come le cose possono evolversi quel giorno o quella notte. Se da una parte penso che la location possa avere un grosso impatto su un set o un evento, dall’altra non credo ci sia un posto perfetto dove suonare, sarebbe come dire esistere la traccia perfetta. Certi suoni, certa musica sicuramente è adatta per certe location, ad esempio penso che una techno intensa, robusta, sia più da magazzino che di fronte alla spiaggia. Ma il trovare il giusto posto o il giusto momento non dovrebbe essere qualcosa a cui prestare troppa attenzione.
Un ultima domanda sul futuro: sappiamo che recentemente ti sei stabilito a Berlino e hai iniziato a lavorare alle tue prime produzioni. Quanto la scelta di Berlino è legata a questo nuovo progetto? Cosa ci dobbiamo aspettarci da questi lavori?
Ho iniziato ad andare in studio circa due anni fa ma di recente, nell’ultimo anno, sono stato più assiduo; in parte ciò è dovuto al trovarmi più a mio agio in uno studio ma anche dal continuo trovarmi circondato da sempre più strumentazione e amici di cui apprezzo la mentalità. Ho il piacere di vivere in un appartamento con un magnifico studio al piano sotterraneo per cui ogni mattina non faccio altro che svegliarmi, bermi un caffè e mettermi a testa bassa a lavorare sulla mia musica ma ora che sono a Berlino, amici, conoscenti ed eroi sono tutti intorno a me per cui mi sento incoraggiato e trascinato in differenti modi; sto amando questa vena, fonte di ispirazione. Ho intenzione di esprimere con la mia musica tutte le sfaccettature di ciò che la gente ascolta quando suono ora, alcune tracce più deep, dalle sonorità house, altre più tripping techno con elementi dub e altre ancora più propriamente “big room”. Nel complesso rappresenterà la gamma di suoni che abbraccio ed esprimo da anni con i miei dj set così che le persone possano riconoscermi quando l’ascoltano…si spera!
English Version:
There are two words, two qualifiers that can help to understand the character of Eric Cloutier: the first one is “class”. This class shines through tailor-made weavings, through the constant and proportionated groove that he uses to bundle us up with his sets, through the sophisticated fusion between the brooding intensity of tripping techno with the mechanic funk of contemporary house. The second one is “exception”: because nowadays it’s rare to achieve your own success, just thanks to the magic of your sets and without any production. His skills, his selection speaks for him, reminding us the true essence of the disc jockey. From Detroit to Berlin, passing through New York, he seemed to be predestinated for this success, but actually, it was more a matter of hard work than pure fate.
Hi Eric! One can say that you truly represent the epitomy of the dj, in its most radical and original essence. Therefore, the first spontaneous question that comes is: what is indeed, according to you, a dj? What is its first purpose? Is it only to make people dance?
Man…extremely tough first question! I think a djs first goal is to be a delicate, astute, well-informed selector of music. It doesn’t always have to be the newest, unreleased thing, and it doesn’t have to be the most rare gem, but weaving between the two, throwing in a classic, all at the right time, while understanding the relationship to the audience, is a complex set of math that a dj has to do in real time that most people don’t understand. It’s a dance on both sides of the booth; you just don’t see the dj’s feet most of the time.
Listening to your dj sets allows the public not only to dance but also to read through a whole anthology of house and techno music and somehow you manage to link it with a sharp mixing technique. To you, between the skills to select the right track and the technical abilities, what is the most important? And which one is lacking the most among today’s artists?
I honestly think that the whole concept of beat matching is something that pretty much anybody, with a little time and effort, can achieve. Maybe not perfectly, but they can get the majority of it down and get a place moving, but that’s not my definition of a dj. It’s the selectors ear, gauging when is the right time for a track, and knowing when to hold your big tunes until just the right time so that it has the most effect on the dance floor. Constantly making the crowd ask for more, holding them on the edge of their seat – that’s where nothing but patience, a good work ethic, and a lot of love and dedication comes in to play – this really ties in to the first question a lot. Where do I think most artists are lacking today? I think too many people are thrust in to the dj role when they aren’t ready and they do themselves a disservice. It seems to be a growing trend that djs don’t have to be that original and it’s acceptable to copycat their way to the top. Some artists are satisfied with following a trend – recreating the sound of their musical hero or just looking as far as the top 10 charts and for others – but that’s not enough. They have a vision and an inherent drive to create more and something different – usually initially to satisfy themselves and then maybe a crowd of fans.
Speaking about tracks selection, you happened to say about one of your set “a magician needs to keep his secrets”. Can you tell us anyway what are the main sources where you find your tracks (record store, internet, friends). Is there any store that you especially like?
I spend probably way too much time looking for records during the day. A lot of it is done with some careful research online and constantly flipping through things on Discogs, but I peruse quite a few online stores to shop, as well as get a fair amount of promos. I really enjoy the hunt and digging in bins. I’ve only done a little bit of it since my move here to Berlin, but I know that pretty soon I’m going to find myself going through almost every single record at Spacehall and Rotation, since those seem to be the stores that never fail me. But I really enjoy talking to friends about what they’re playing, things that they’ve found, or stuff I might have just overlooked because the one time I heard it it wasn’t really my taste. Sometimes you go back to things and go “damn, that really is good!” or “I bought this for the other side, but the flip is way better”. You really never know when and where you’re going to come across a sweet track, so I am constantly keeping my ears, eyes, and hands open for them.
When listening to your sets, your story reflects: Detroit, NY, Berlin, techno and house music in their most elegant and deepest shades. Can you tell us what those three cities taught you and gave you?
Detroit taught me the skills I needed to survive in this musical world, NYC expanded my knowledge to grow bigger and bigger, and Berlin is teaching me humility and patience, all while driving me even harder and pushing me further. The combo of the three is a serious blessing, and I don’t discount any of the them ever.
Over the years, you had the chance to play in a lot of clubs and festivals, but some of them had a particular impact on your career: two of them, the Bunker in NY and Labyrinth festival In Tokyo. Your experience with the Bunker begun in 2006 when you move to Detroit to NY and you earn your residency. What does bunker means to you? What does make it special?
The Bunker was the only thing I had found when I moved to NYC that reminded me of Detroit, so it was this instant love with the party. It was a slight coincidence that my close friend, and really one of the people that showed me the most about djing, Derek Plaslaiko, was one of the residents then, but like I said, I had moved 600 miles from my home and was on the hunt for a musical connection and The Bunker was really my oasis out there. There’s something about its rawness, its focus on music, the sound system, and extended dj sets, and its unwavering drive for quality that sets it apart from everything else in the city in my experience.
What is, in your opinion, the resident dj’s role inside a club?
Two words “consistency” and “versatility.” It’s your job to be there for the audience before and after the main performer has finished, but because of that, you also have to be able to bend your sound to fit the flow of the evening and create consistent, seamless programming. It’s not for everybody – egos often get in the way – but when it’s done right, it really makes for a magical night out.
Can you tell us about your experience at Labyrinth?
Labyrinth is a really hard thing to put in to words. It’s such an outpouring of emotion and energy that just the thought of it gives me chills. I met some amazing new friends, both musically and otherwise, that I still have a close connection with today. It also opened my eyes to a whole slew of new sounds that I might have overlooked or just taken for granted. As a whole, it was the best experience of my life, and will continue to be one of the most fantastic gigs I think I’ll ever get the chance to play. I think about it often and look forward to going back every year, though I have missed a couple of them. It’s become my yearly pilgrimage.
Which location do you prefer for your performances? What is the best place for people to appreciate your music?
I always try to convey a story when I play, be it daytime or nighttime, indoor or outside, so the mood might shift slightly, but it’s always a trip. I definitely spend a fair amount of time paying attention to who I’m playing with and trying to make sure things run smoothly – potentially something that is just burned in to my brain because of having a residency at The Bunker, which has such a wide range of guests. But I’m also swayed by my moods or what record is really piquing my interest at the time, so that has a lot to do with how things can go that day or night. While location can have an effect on a set or event, I don’t think there’s ever a perfect venue to play – it’s like saying there’s a perfect record. Certain music and sounds do fit certain locations – I think rough, hard-edged techno definitely belongs in warehouses, not on beachfronts – but finding the right place and the right time shouldn’t be too much of a focus.
Last question about your future: you recently moved in Berlin and started your first step as a producer. How far is the city of Berlin linked to this project? What has to be expected from this works?
My studio time started a couple years ago, but it most recently, within the last year accelerated, mainly due in part to becoming more comfortable in the studio, but also from being surrounded by more and more gear and more and more like-minded friends. I had the pleasure of living in an apartment with a gorgeous studio in the basement, so every day I would wake up, grab some coffee and head down to work on music, but now that I’m in Berlin, friends, peers and heroes are all around me, so I’m being pushed and pulled in far more ways and really am loving the bursts of inspiration I’m having. I’m definitely going to be expressing all the sides people hear from me when I play through my own music – some deeper, grooving house, some dubby, tripping techno, and some bigger room tracks – but all in all, it’s going to be the sounds that I’ve been enjoying for years and pushing in all of my dj sets, so people will know it’s me when they hear it…hopefully.
Credits: Seze Devres