Ho tra le mani “El Paraiso De Las Tortugas” già da una decina di giorni e ci sono voluti diversi ascolti per arrivare ad un quadro chiaro del nuovo lavoro dell’argentino Ernesto Ferreyra. Questo nuovo Cadenza, numero 56 del catalogo, sarà nei negozi tra pochi giorni e probabilmente segnerà un altro step importante verso l’inesorabile cambiamento della label di Luciano. Già la scelta dell’artista, tanto latino quanto lontano dal mood e dalle suggestioni a cui questa Cadenza ci ha abituati, dovrebbe farci capire forse è già troppo tardi per rivivere quanto di entusiasmante la label svizzera ci ha regalato con le sue release fino a poco più di un anno fa (il caso vuole che il cambio di rotta sia avvenuto con “La Mezcla” subito dopo “Siluetas” dello stesso Ferreyra) .
“El Paraiso De Las Tortugas”, nonostante mi sembri un lavoro più vicino a quanto etichette come Oslo e Raum…Musik (solo per citare le prime due che mi vengono in mente), garantisce un ritorno agli standard qualitativi che più si addicono a Cadenza, dopo la poco significativa parentesi di “Litoral” di Michel Cleis. L’album contiene dodici tracce e al suo interno si può effettuare una chiara distinzione tra il Ferreyra “sperimentatore” e il produttore che intende puntare direttamente al dancefloor. C’è da dire che, nonostante il mio scetticismo iniziale, il produttore argentino ha dimostrato di sapersi muovere con grande naturalità e agevolezza all’interno delle sfaccettature “meno facili” dell’elettronica, riuscendo a bilanciare in modo egregio un sound più erudito e quella deep house che sta (ahinoi) imprigionando la club culture europea. A questo punto devo premetterlo: io sto con il Ferreyra che sperimenta, che decide di osare e che tira fuori, probabilmente, l’anima più profonda e meno scontata della sua musica.
Rispetto a “Shunyata” di Reboot (album decisamente al di sotto delle possibilità del produttore di Francoforte), il lavoro di Ernesto Ferreyra ha un respiro decisamente più ampio e, nonostante il richiamo ai “latinismi lucianeschi” sia ancora una volta inevitabile, questo album presenta degli spunti piuttosto interessanti. È il caso della soft ed elegante “Mil Y Una Noches” e di “Los Domingos Vuelo A Casa”, traccia tra le mie preferite ma che avrei scelto come outro per chiudere in modo impeccabile l’intero viaggio percorso nell’ascolto dell’intero LP. Sorvolando l’impalpabile “The Mystery Is Gone”, entriamo decisi all’interno della parentesi aperta con la trasversale “Back Pain” e chiusa con l’altrettanto sperimentale “El Paraiso De Las Tortugas”: al loro interno i lavori più groovosi e rivolti al dancefloor dell’intero album, quei “Cenote Trip”, “Lost” e “Letting Go” che sicuramente stanno recitando un ruolo importante nei set dei dj che hanno ricevuto il promo pack dell’album. A mio avviso va prestata particolare attenzione a “Lost”, che con il suo basso in continuo movimento e i suoi giochi di voce mette in mostra la vena funk dell’autore, e a “Letting Go”, che col suo piano/xilofono è capace di cullare ed ipnotizzare il dancefloor per tutti i sei minuti e mezzo di durata. Quest’ultima è decisamente la traccia che preferisco.
Siamo giunti alla nona fatica del producer argentino: “Acequina (Nos Salvamos)” è il pezzo più costruito dell’intero lavoro di Ernesto Ferreyra e i suoi oltre otto minuti privi di ritmo sono la rampa di lancio ideale per lo sprint conclusivo. A questo punto si è talmente rilassati che “I Won’t Forget” suona quasi come un fulmine a ciel sereno. Stiamo parlando del pezzo più techy dell’album, quello più scuro e inquieto. Basso e percussioni sembrano non avere la minima intenzione di lasciarci, neanche quando il protagonista del disco diventa il synth il quale, però, più che giocare il ruolo di infiamma pista placidamente ci accompagna alle ultime battute del disco. Poteva, secondo voi, un album rilasciato da Cadenza congedarsi senza un pezzo percussivo? La risposta non può che essere no e nella fattispecie è stata affidata a “Coin Sainte Cath”. La traccia è la più movimentata e gioisa tra le dodici presenti nell’intero lavoro e le sue pause/ripartenze, i suoi continui cambi di passo e il suo basso palleggiatissimo (a tratti ricorda suoni più electro) sembrano rappresentare l’ultimo respiro, forse l’unico veramente a pieni polmoni, di questo album.
Eccoci, dunque, all’epilogo e se “El Comienzo De Todo Lo Demas” vuole essere un modo sorprendente congedarsi da noi, beh Ferreyra c’è riuscito. Suoni cosmici su Cadenza? Il numero 56 del suo catalogo è anche questo…