Parliamoci chiaro: festival come l’Ortigia Sound System non ce ne sono da nessun’altra parte in Italia. Vuoi per gli artisti in line-up, per la stessa isola di Ortigia e per gli amici che rivedi a distanza di un anno proprio grazie al festival, l’OSS è pura magia, capace di annullare le distanze dettate dal tempo cristallizzando un semplice panino con lo spada da Burgio, un bagno al mare o un aperitivo in terrazza in momenti affascinanti che ti porterai dentro per il resto dell’anno.
Per questa ragione la vera trionfatrice di questa sesta edizione è stata proprio l’isola di Ortigia con la sua bellezza accecante, capace di stregare le ben diciannovemila presenze che il festival ha accolto per la sua sesta edizione. Una bellezza unica e rara che ha surclassato qualunque nome in cartellone e ha sospeso la linea temporale di tutti gli ospiti trasportandoli su di un limbo paradisiaco fatto di sole, mare, buon cibo e tanta, tantissima musica. E un dato, quello delle presenze, che ci fa capire quanto, al netto della line-up, sia importante al giorno d’oggi l’esperienza-utente per i festival italiani. Quanto è fondamentale puntare e potenziare ciò che si ha rendendolo un valore aggiunto che pervade ogni singolo secondo, minuto, ora della manifestazione piuttosto che andare a cercare di imitare modelli di business esteri per nulla sostenibili qui in casa nostra. In Italia abbiamo una chiave stra-vincente che è quella delle location, dell’accoglienza e dell’umanità delle persone, che è – e sarà – la svolta da qui al futuro per tutta la nuova generazione di festival nati negli ultimi anni. Senza andare a scimmiottare quello che succede fuori dall’Italia, è cosa buona e giusta puntare sulle nostre location mozzafiato, sui nostri prodotti alimentari, sulle nostre bellezze architettoniche, sul calore che gli abitanti di questo o quel paese sanno trasmettere. Bisogna essere se stessi e crederci dannatamente fino all’ultima goccia di sudore.
(I boat party rappresentano il fiore all’occhiello di OSS. In fondo, come resistergli?)
“Sentimiento Nuevo” è stato il tema principale di quest’anno, e tenetelo bene a mente, è stato l’unico modo per vivere Ortigia in ogni suo centimetro quadro di bellezza, attimo per attimo, rinascendo continuamente in modo diverso giorno dopo giorno e assaporando tutto il fascino dell’isola. È capitato di vedere Ben UFO, Pangaea e Pearson Sound tra il mare e un negozietto che vendeva pesciolini in terracotta. Fabrizio Mammarella e Andrea Tempo dare un morso ad uno dei buonissimi panini di Burgio Al Porto. Gli Stump Valley mangiare con gusto una granita ai gelsi al bar Condorelli. Alan Palomo, Danielle, Venerus, Jamie Tiller, MYD, Lamusa II, Jackie e Beta Librae sempre in giro di qua e di là come dei cittadini qualunque e non ospiti occasionali. E sapete, la differenza è veramente tanta. Questo aspetto da l’idea di quanto Ortigia faccia sentire a casa chi è ospite fisso da anni e chi ci è atterrato per la prima volta.
Ognuno degli artisti sopracitati ha dato il meglio quando è salito sul palco – o boat party o van di Seoul Community Radio che sia. Mattatori assoluti, il trio dell’Hessle Audio ha regalato sette ore di musica proveniente dallo spazio senza colpo ferire nel secondo after del festival. Non c’è stato nessun back-to-back to back, non c’è stato nessun acceleratore premuto a fondo, ma hanno rispettato una fila indiana fatta di un Pangaea sempre in ottima forma con la sua techno, Ben UFO ancora una volta padrone della situazione che ha fatto un eccellente set di transizione dalla notte al giorno – con un paio di momenti altissimi, come quando ha proposto “Future” di Kevin Saunderson remixato da Kenny Larkin: il suo set dovrebbe far capire a molti come non servono i bangers a rendere un set memorabile ma come l’importante sia riuscire a plasmare la propria esperienza al servizio del contesto – e infine Pearson Sound. Stump Valley, sempre più vicini ad indossare la fascia tricolore, hanno aperto il festival con sei ore divertenti e di alto livello, con una maturità in consolle sempre più ragguardevole. Fabrizio Mammarella e la corazzata Slow Motion hanno fatto lo stesso, con un po’ meno di verve ma tanta, tanta personalità musicale. Venerus, che nel giro di un anno è cresciuto a dismisura, sia come artista in studio che sul palco, ha letteralmente stregato il pubblico con un’ora di musica magica e uno special guest importante: quel tanto caro Gemitaiz, amico di Venerus, che ha cantato insieme a lui “Senza Di Me”.
(Il trio Hessle Audio in azione in una cornice letteralmente mozzafiato: non poteva esserci after party migliore)
Abbiamo trovato un Jamie Tiller in formissima, che le ha suonate di santa ragione dopo lo strepitoso live dei Ross From Friends; grandissimo MYD che ha risollevato la situazione dopo Moroder in maniera esemplare e ha chiuso con “Crescendolls” dei Daft Punk. Come si fa a non volergli bene?
I Neon Indian, tirati a lucido dopo ben sette anni che non si facevano vedere dalle nostre parti, hanno fatto un signor live, divertente e scanzonato, con un Alan Palomo impossibile da fermare. In Boiler Room hanno fatto tanto bene Danielle con un set breakbeat pazzesco, Call Super, chirurgico nei passaggi e con una selezione musicale fortissima ha ribaltato tutta l’arena Maniace e Lamusa II, pupillo di casa nostra sempre più importante e sempre più a suo agio con la dimensione live, ha dato grandi lezioni di stile e coerenza. Tanta personalità anche dai set nel van di Seoul Community Radio di Beta Librae, Jackie, DONATO, Nunzio Borino e, di nuovo, gli Stump Valley con una stupenda selezione di musica italiana. Per quanto riguarda la terrazza di OSS, spot semi-segreto del festival, i dj set di Discoslice e Verynicensleazy sono stati una vera e propria benedizione per le orecchie. Abbiamo anche ricevuto feedback super positivi su altre situazioni che non siamo riusciti a vedere e sentire in autonomia: dallo showcase Nyege Nyege Tapes di Otim Alpha e Leo P-Layeng al live dei KOKOKO!, ma soprattutto dal primo after con una Object Blue scatenata e un back to back, lento e violento, a cura di Elena Colombi e Lamusa II.
Ma non tutto è rose e fiori. Chi non ha rispettato il patto con l’estate italiana è stato l’headliner, di nome, del festival: quel Giorgio Moroder tanto osannato che ha fatto un buco nell’acqua con un set pre-registrato, delle dediche al microfono che rasentavano l’imbarazzo, e una selezione di video in mash-up in pieno stile YouTube. Da come è stato presentato il suo set ci si aspettava molto di più, ma così non è stato. Anche Virgil Abloh non ha lasciato per nulla il segno. C’è da dire che sarebbe stato difficile per qualunque dj del mondo fare di meglio dopo Call Super, e qui il nostro direttore creativo di Louis Vuitton ha giocato facile con dischi semplici e tanto impatto. Zero spina dorsale e successo assicurato: serve di più per entrare nei cuori delle persone.
Il cuore del proprio pubblico l’Ortigia Sounds System l’ha conquistato da un bel pezzo. Giusto due scelte ci hanno fatto storcere il naso. I nomi di Giorgio Moroder e Virgil Abloh. Per creare hype sul festival e crescere in termini di numeri è stata una scelta più che comprensibile. Ma guardando indietro allo storico del festival è stata una virata commerciale che ha ripagato si con le presenze ma che ha lasciato sulla bocca di molti un “boh” bello grande. E poi la presenza della Boiler Room per la prima volta in Sicilia. Assolutamente da lodare la scelta di portare la piattaforma di streaming più conosciuta al mondo in uno dei posti più belli al mondo, era ora!, ma se fosse stato invitato qualche artista siciliano che avrebbe dato più coerenza alla presenza di Boiler Room non sarebbe stato meglio? Per chi non lo sapesse, con Boiler Room tutte le line-up vengono decise di comune accordo, ma bastava avere più polso per imporre una scelta razionale e intelligente: sarebbe stato più logico invitare uno qualunque delle decine di dj e produttori che popolano la nostra isola e che dall’edizione zero si sono spesi tanto per il bene del festival.
(La vera nota dolente di OSS: Giorgio Moroder decisamente fuori contesto)
Per tutto il resto ci sono stati degli upgrade che hanno fatto la differenza: una perfetta organizzazione logistica degli spazi con una gestione degli impianti audio davvero notevole. È stata fatta una comunicazione online impeccabile che ha scandito il ritmo del festival. L’app è stata utile ma ancora acerba dal punto di vista della fruibilità. Migliorati i bagni chimici così come le navette per l’after. Sono stati fatti dei grandi passi in avanti come produzione e altrettanti grandi azzardi con i nomi in line up: questo perché l’Ortigia Sound System ambisce ad imporsi come una tra le vetrine italiane della migliore musica contemporanea con ricerca, ripescaggi e scommesse. E tutto questo trittico serve come il pane se non si vuole affossare su se stessi. Ormai da cinque anni a questa parte Ortigia è la mia seconda casa, conosco chi organizza così come i meccanismi che stanno dietro le quinte, e alla luce dei fatti c’è da dire che questa sesta edizione è stata una bella prova di forza vinta che ha dimostrato come l’OSS sa fare le cose a mestiere senza alcuna ombra di dubbio. Come ho detto all’inizio bisogna essere se stessi e crederci dannatamente fino all’ultima goccia di sudore: così facendo ci staccheremo finalmente dal peso angosciante dei grandi festival europei e finalmente saremo capaci di respirare un sentimiento nuevo che ci farà stare benissimo.