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[tab title=”Italiano”]Sotto la voce Ewan Pearson si possono trovare diverse e notevoli peculiarità: straordinario selezionatore e dj, produttore dal 1998, singolarmente o in collaborazione (“Taifa” l’ultima creazione con Al Usher sotto il moniker di Partial Arts è appena stata pubblicata su Kompakt), remixer richiestissimo (dai Depeche Mode ai Metronomy), ha partecipato alla produzione di album per artisti come Gwen Stefani, Tracey Thorn, M83, Delphic, oltre che nelle più recenti fatiche di Footprintz, Jagwar Ma e Ben Watt (metà degli Everything But The Girl). Ma non è tutto qui, perché a completare e definire il produttore inglese di stanza a Berlino è il possedere un’esperienza globale della musica elettronica, una consapevolezza del proprio operato, dei propri mezzi, un orgoglio, come direbbe lui, delle proprie scelte lungo un percorso da cui dobbiamo aspettarci ancora molte, piacevoli, sorprese.
Dove affondano le tue radici musicali? Quali sono stati gli artisti, gli eventi, le figure che ti hanno portato a fare della musica la tua vita?
Credo che le mie radici musicali siano da rintracciare nelle persone che mi hanno dato al mondo: i miei genitori. Entrambi amavano davvero sinceramente la musica. Mio padre suonava la chitarra e sin da quando era un ragazzino faceva parte di un gruppo in cui cantava e suonava. Anche mia madre, pur non suonando alcun strumento, possiede al giorno d’oggi una grandissima conoscenza musicale e dei gusti molto variegati. Mi capitava di tornare a casa da scuola e trovarla intenta ad ascoltare i Queen of the Stone Age o Dr. Dre, il che non è proprio così comune. Crescendo con così tanta musica in casa, iniziai davvero ad appassionarmi e chiedere, sin da quando ero un bambino, che si ascoltassero canzoni particolari. Mi ricordo che registravo BBC Radio 1 (la stazione radio pop inglese) grazie ad un mangiacassette comprato da mio padre e avevo questa cassetta viola al cui interno vi erano canzoni come “Money Money Money” degli Abba e “Glass of Champagne” dei Sailor. Col tempo incominciai ad imparare a suonare un po’ il pianoforte, fui attratto dai synth, formai una tipica band a scuola e tutto queste genere di cose. Sino al momento in cui iniziai a pensare a come effettivamente si producessero le tracce e quanto interessante sarebbe potuto essere poter aiutare nel crearle; pensavo a produrre già molto tempo fa. Ma solo dopo molto tempo sarei giunto alla conclusione di poter, forse, essere in grado di fare tutto ciò, da me. Davvero molto tempo dopo.
Quanto pensi che i tuoi studi in filosofia ti abbiano influenzato / aiutato nel corso della tua carriera sia come scrittore e giornalista, sia come produttore, remixer e dj?
Beh, erano più che altro studi culturali piuttosto che strettamente di filosofia e durante il Master e la stesura del nostro trattato si trattavano questioni concernenti la musica – come veniva ascoltata, ballata e vissuta, e su come si scriveva di musica, come veniva classificata e descritta. Dubito che questi studi abbiano alimentato direttamente il mio desiderio di produrre musica – ad eccezione di quando sedevo in biblioteca, spesso sperando di essere a casa a creare musica piuttosto che scrivere su di essa! Non ho sviluppato una teoria su come la mia musica debba funzionare o suonare. Tuttavia, l’atto di pensare alla musica e scrivere su di essa, è sempre utile e penso che chiunque faccia ciò sia interessato in una certa misura ai discorsi su di essa, su come sia considerata all’interno della società etc. Credo comunque che sì, quegli studi si siano rivelati utili nel tempo quando è capito che mi venisse chiesto di parlare ad una conferenza o di scrivere un articolo per Groove, il che è stato davvero divertente.
A proposito, tra le molteplici attività che svolgi, quale diresti di preferire maggiormente e perché?
Beh, in modi differenti mi piacciono comunque tutte altrimenti non le porterei avanti. Viaggiare e incontrare fantastiche persone in giro per il mondo è stato decisamente divertente e col tempo si sono create anche delle solide amicizie attraverso l’attività di dj. Il produrre è probabilmente l’attività più gratificante a lungo termine, anche se è quella più difficile e per molti versi penso sia quella in cui ho ancora molto da imparare. Il fatto di poter aiutare altre persone nel creare qualcosa di cui sono orgogliose, di assisterle senza essere al centro della scena, mi rende felice. Ed invecchiando mi interesso sempre di più nell’arte di produrre dischi in modo appropriato. Recentemente ho iniziato anche a mixare tracce per altri e devo dire di essere molto più lento e di prender molto più tempo del dovuto, ma inizio ad avere risultati di cui sono fiero. Inoltre, fintanto che continuo ad imparare e migliorare in ciò che faccio, gratificando al tempo stesso le persone per cui lavoro, posso dire di essere alquanto contento.
Negli ultimi anni ti sei concentrato sulla co-produzione di alcuni album, penso a quello per il duo Jagwar Ma e Footprintz ma, andando ancora più indietro nel tempo, i tuoi contributi appaiono anche legati a nomi quali Tracey Thorn, M83, Delphic, The Rapture e molti altri. Che differenza trovi tra questo genere di collaborazioni e altre in cui sei stato impegnato come remixer? Cosa pensi un artista possa imparare da queste esperienze?
L’attività di produzione per molti versi è il passo naturale e successivo rispetto a quello del remix in cui, di fatto, sviluppi musica composta inizialmente da qualcun altro, provando ad aggiungere qualcosa, a rifinirla, anche se ovviamente non sempre con a mente un dance floor. La differenza principale risiede nel fare tutto ciò in collaborazione con l’artista, e non da solo come invece accade con un remix. Si discute di più. E vi sono tutta un’ altra serie di capacità coinvolte nel tirare fuori il meglio dalle persone, la comunicazione e le abilità interpersonali, che non sempre sono i miei punti di forza. Tuttavia apprezzo entrambi i metodi di lavoro: adoro essere all’interno di uno studio con qualcuno ad ascoltare qualcosa che mi faccia esaltare, qualcosa di nuovo. E quando poi riesci anche a trovare un’intesa con le persone per le quali lavori (d’altronde perché dovresti trovarti in quel luogo se non per lavoro) allora il tutto diventa davvero molto apprezzabile e divertente. D’altra parte spesso mi piace anche essere lasciato da solo a sperimentare a provare alcune cose senza la pressione della gente che si aspetta di sentire qualcosa.
Ci sono artisti, gruppi, con cui ti piacerebbe collaborare in questo senso?
Non ho propriamente una lista dei desideri. Penso ci siano davvero tanti incredibili gruppi ed artisti, al momento per esempio sto ascoltando il nuovo album del duo Wye Oak e rendendomi conto di quanto Jen Wasser sia una straordinaria cantante e musicista inizio a pensare a quanto sarebbe bello poter collaborare con lei su qualcosa. Ciononostante non sono una persona così propositiva. In genere aspetto che siano gli altri a contattarmi, dopodiché ci incontriamo, discutiamo e a volte li provo a convincere del fatto che non abbiano davvero bisogno di me. Se poi con tutto ciò non sono riuscito a scoraggiarli, proviamo a lavorare su qualcosa insieme e vediamo se funziona.
Personalmente sono un grandissimo fan dei tuoi mix, sia che siano usciti su CD (“We Are Proud Of Our Choice” rimane per me un capolavoro) sia che siano registrazioni dei tuoi dj set; la precisione, l’armonia, la ricercatezza dei suoni, la propensione non solo a gratificare l’orecchio ma anche a suscitare emozioni. Cosa influenza questo processo creativo e quando, diciamo, ti ritieni “proud of your choice”?
Grazie! A dirla tutta però non seguo alcun particolare processo ad eccezione di ascoltare tanta musica, selezionarla e vedere cosa rimane che davvero mi piace dopo questa (abbastanza deprimente) operazione; poi si tratta di provare a dare un senso al tutto, vedere cosa possa eventualmente stare bene insieme. Questo è ciò che si verifica spesso solo quando sono in un locale, non preparo quindi in precedenza i miei set. Ovviamene quando si tratta di un dj mix per un podcast o un CD, vi è più bilanciamento, mi siedo con diverse tracce e provo a farle combaciare, funzionare. A volte richiede tempo, altre è tutto molto veloce. Ad esempio ho completato la prima metà di “We Are Proud Of Our Choice” tutta d’un fiato, seduto alle 3 del mattino in una stanza d’albergo a Jakarta dopo una serata in cui non riuscivo a prendere sonno ed è giusto uscita da sé, quasi come fosse una sessione live, sebbene stessi lavorando su Ableton. In questa prima parte penso vi sia più di una traccia che prosegue per quasi 25 minuti.
Nel corso della tua carriera ti sei accostato a diversi generi musicali, riuscendo di fatto a creare un ponte tra essi, ma come definiresti il tuo suono? E più in generale, che rapporto hai con la categorizzazione in ambito musicale?
Non penso mi piaccia molto auto classificarmi (come tutti i musicisti), e credo non sia propriamente il mio ruolo, sono più cose per negozi di dischi, recensori, giornalisti e così via. Ovviamente vi sono diversi generi musicali che rientrano in quel che suono o in quello che produco come remixer – acid house, italo, new beat, techno – e sono sicuro si possano rintracciare degli elementi in grado di caratterizzare una produzione firmata Ewan Pearson; mi piacciono le melodie e provo ad inserirle dove posso, così come certe ritmiche. Tuttavia, ciò che è piacevole nel produrre e nel collaborare è la possibilità di andare oltre le cose che faccio sempre e che un po’ mi annoiano, spostandole e facendole da un’altra parte. Questo è uno dei motivi per cui mi piace veramente lavorare con persone come Al Usher, con il quale produco sotto il nome di Partial Arts – lui spinge per andare in una direzione, io in un’altra e si finisce per prendere percorsi su cui nessuno dei due si sarebbe mai avventurato da solo.
So che non ami domande riguardanti ciò che sarà della musica elettronica in futuro per cui ne approfitterei per chiederti di guardare anziché in avanti, nel passato per spiegarci quali, secondo te, possono essere considerate le più importanti conquiste legate al mondo della musica elettronica, su un piano culturale, sociale.
Ha! Bel cambio. Non so se sia il mio compito sottolineare le conquiste della musica elettronica o le sue pietre miliari o qualunque altra cosa e vi sono molte persone più qualificate e colte di me che hanno già trattato l’argomento in libri ed articoli. Ciò che credo di poter dire, è che guardo con piacere al dato di fatto per cui la musica elettronica è considerata musica, così come viene rispettato anche il lato emotivo di quest’ultima, non solo la sua abilità di provvedere in modo funzionale al dance floor. La musica elettronica ha orai una storia lunga più di 60 anni, si ritrova nelle accademie, nel pop e ha un grandissimo impatto sulla cultura popolare. Tutto ciò è decisamente un bene.
Cosa ti attende per questo 2014? Nuove collaborazioni all’orizzonte? Possiamo anche aspettarci una riscoperta di progetti individuali più legati alle tue prime produzioni?
Beh, fino ad ora nel 2014 sono stato impegnato a lavorare con il produttore e dj inglese Midland (Harry Angius) sul suo nuovo progetto AKASE in collaborazione con il cantante Robbie Redway. Stanno producendo un album incredibile e totalmente cantato – in questo caso ho aiutato nel mixaggio e nella produzione di certi vocal. Sono eccitato che possa essere ascoltato perché mi piace davvero tanto. Inoltre ho appena finito di mixare l’album di debutto di una band newyorkese chiamata Tv Baby – album prodotto dal mio amico Gabe Andruzzi dei The Rapture – ed è stato molto divertente. Infine dopo qualche anno, io e Al Usher abbiamo un nuovo singolo in uscita su Kompakt a giugno, sotto il nome di Partial Arts. E’ chiamato “Taifa” e suona come una sorta di cosmic acid funk; Andy Meecham (Emperor Machine) l’ha definita come un “Kraftwerk baleare” e ci ha consegnato uno stupendo remix che penso sarà la colonna sonora dell’estate per molti. Infine, cosa più importante, sono appena diventato padre per la prima volta per cui molto del mio tempo sarà dedicato a quello![/tab]
[tab title=”English”]There are various and remarkable characteristics gathering under Ewan Pearson’s name: amazing selector and dj, producer since 1998,individually or in collaboration (like “Taifa” the latest production with Al Usher, recently released under the moniker of Partial Arts on Kompakt), sought-afterremixer (from Depeche Mode to Metronomy), he was also involved in the production of albums for artists like Gwen Stefani, Tracey Thorn, M83, Delphic as well as in the latest work from Footprintz, Jagwar Ma and Ben Watt (half of the Everything but the Girl). But there’s more, because what completes and defines the English producer, currently living in Berlin is a global experience of the electronic music, a self-awareness of his work and skills, and a pride, as he would say, of the choices he made, along his path from which numerous and nice surprises can be expected.
Where do your musical roots come from? Which artist, event or icon brought you into making your life about music?
I guess my musical roots are the people that brought me into the world – my parents. They both love music very dearly. My dad has played guitar and played and sung in bands as a hobby since he was a teenager. And my mum although she doesn’t play is very musically knowledgable and has a very broad taste to this day. I would come home from college and find her listening to Queens of the Stone Age or Dr Dre which I guess is not so common. So I grew up with a lot of music in the house from infancy and I used to really like music and ask for specific records to be put on when I was very small. I can remember taping BBC Radio 1 (the UK’s pop station) onto a radio cassette player my dad had brought – I had a purple cassette and it had songs like ‘Money Money Money’ by Abba and ‘Glass of Champagne’ by Sailor. Later I started to learn to play piano a bit and got interested in synths, and formed a school band and all of that familiar stuff. And at some point I started to think about how records were made and how interesting it would be to be able to help make them – I was thinking about producing very early on. But it wasn’t until much later that I thought I might be able to do it myself. Much much later.
How far do you think that your studies in philosophy had an influence on your career path whether as a writer and journalist or as a producer, remixer and dj?
Well, it was cultural studies rather than philosophy strictly – and during my Masters degree and the writing of our book it was thinking about the discourses around music – how it was listened to and danced to and enjoyed, and how it was written about, classified and characterised. I’m not sure that fed directly into my making of music – except that when I was sat in the library I often wished I was at home actually making music rather than writing about it! I didn’t develop any theories about how my music should work or sound. But the act of thinking about it and writing about is always useful, and I think anyone who makes things is also interested to a certain degree in the discourse around that stuff, how it’s considered within society etc. And yes I guess it has helped me later on as I get asked to speak at conferences sometimes and got asked to write a column for Groove magazine, which I really enjoyed writing.
In fact, among all the multiple activities you’re doing, which one would you qualify as your favorite and why?
Well I enjoy all of it in different ways or I really wouldn’t do it! Travelling and meeting great people around the world has been enormously good fun – I’ve made some close friends through getting to play music. Production is probably the most rewarding thing in the long-term, though it is also the hardest thing to do, and in many ways the thing I think I have most to learn in still. I am happy to help other people make something they are really proud of, and to be there to facilitate that and not be centre stage. And as I’ve got older I’ve become more and more interested in the craft of making records well. And fairly recently I’ve been mixing records for
other people – and I’m much slowed and take much longer than I should but I’m starting to get results that I’m happy with. As long as I’m learning and getting better at what I do, and the people for whom I’m working are pleased then I’m pretty happy.
Over recent years you have been focusing on the co-production of some albums, I’m thinking about the one for the duo Jagwar Ma and Footprintz but also before that, about your contributions with names like Tracey Thorn, M83, Delphic, The Rapture and many more. What do you think is the difference between when you do collaborations of this kind and when you were rather remixing? What do you think an artist can learn from such experiences?
Well, production jobs are the natural next step in many ways from remixing – you’re developing music that someone else has started, and trying to add to it and refine it, although obviously not always with the dance floor in mind. The main difference is that you’re doing it in collaboration with the artist – not on your own like you do with a remix. It’s more of a conversation. And there are a whole additional set of skills involved in getting people to work to their best – communication and interpersonal skills which are not always my strongest suit. But I enjoy both methods of working – I love being in a room with someone and hearing something exciting and new happening. And when you get on with the people for whom you’re working (and why would you be there if you didn’t?) then it’s really great fun and very enjoyable. On the other hand I often love being left up a corner on my own to experiment and try things out without the pressure of people waiting to hear something.
Are there any artist or group you would like to collaborate with and if yes, how?
I don’t really have a wish-list. There are loads of bands and artists I think are amazing – I’m listening to the new Wye Oak album at the moment and I think Jen Wasser is an incredible singer and musician and I think – wow it would be great to have her on something. But then I’m not that pro-active. I usually wait until people ask me – and then we meet up and chat and sometimes I try to persuade them they don’t really need or want me and then if I haven’t managed to put them off then we try to do some work together and see if it works.
I am personally a big fan of your mixes whether they’re released on CD (“We Are Proud Of Our Choice” remains for me a masterpiece) or when they are recordings of your dj sets. I enjoy their accuracy, their harmony, the refinement of the sounds and their propensity to gratify your ears but also to rouse emotions. What does influence your creative process and when do you consider yourself “proud of your choice”?
Thank you! Erm, there’s not really any process involved other than listening to a lot of music, sorting through it, seeing what’s left after that (often quite depressing) process that you actually like and then trying to make some sense of it altogether – seeing what might fit together. That’s often something that only happens in the club – I don’t really work sets out beforehand. Obviously with a DJ mix for a podcast or CD then it is very considered, and I sit with different tracks and put them together and try to make them work. Sometimes it’s slow, and sometimes it’s very fast. I actually did the first half of ‘We Are Proud…’ in one sitting at 3 in the morning in a hotel room in Jakarta after a gig when I couldn’t really sleep and it just splurged out in one go
– almost jammed it out live, although I was working in Ableton. That first section has more than one track going for almost the first 25 minutes I think.
Along your career you touched several musical genre and achieved to build a bridge between them but how would you define your sound? And generally speaking, what is your relation with music categorization?
I think I like all musicians don’t really like categorising myself – and I guess it’s not really my job – it’s for record shops, reviewers, journalists and so on. Obviously there are different musical genres which feed into what I do as a DJ and a remixer – acid house, italo, new beat, techno – and I’m sure there are things which I do which could characterise things as a Ewan Pearson record – I like melody and try to put some in where I can as well as groove. But the nice thing about production and collaboration is being able to go beyond the things that I always do, and the things I slightly bore myself by doing and move somewhere else. That’s one of the reasons I love working with people like Al Usher who I make the Partial Arts records with – he pushes in other directions and I push back and we go somewhere neither of us would go on our own, quite.
I know you are not really a fan of the questions about the future of music so I would like to ask you, on the contrary, to take a look back in the past of music. Could you tell us, according to you, what can be considered as the most important achievements in electronic music on a cultural and social point of view?
Ha! Nice switch…. I don’t know whether it’s my job to highlight the achievements of electronic music or the milestones or whatever and there are many many more qualified and knowledgable people than me already doing that sort of thing in books and articles. I guess the thing I would say is I’m happy that it’s now a given that electronic music is considered music, and the emotional impact it can have – not just its ability to functionally provide fuel for the dance floor – is respected too. It now has a history going back more than 60 years, it’s existed in the academy and in pop and it’s had a huge influence on popular culture. That’s pretty good.
What is awaiting you for 2014? New collaborations coming? Can we expect a rediscovery of individual projects linked to your first productions?
Well, so far in 2014 I have been working with the UK producer and DJ Midland (Harry Agius) on his new project with a singer called Robbie Redway called AKASE. It’s an album they’re doing, fully vocal and it’s wonderful – I’ve been helping with some vocal production and some mixing. I’m excited for people to hear that because I love it. I’ve just mixed the debut album from a band from New York called TV Baby – it was produced by my friend Gabe Andruzzi from The Rapture – so that was really good fun to do. Also finally after a few years Al Usher and I have a new Partial Arts single coming out on Kompakt – in June. That’s called ‘Taifa’ and it’s kind of cosmic acid funk – ‘balearic Kraftwerk’ Andy Meecham – Emperor Machine called it and he’s done us a stupendous warehouse remix which is going to be a summer anthem for a lot of people I think. And most importantly I’ve just become a father for the first time, so I’m going to be devoting a lot of time to that![/tab]
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