Delle tante volte che ho avuto il piacere – per non parlare di privilegio – di ascoltare Zip, quella che ricordo con maggior piacere risale a circa due anni fa. Erano gli ultimi botti dell’ennesima stagione invernale targata Goa e a Roma si erano rincorsi con la solita scioltezza artisti di spessore quali Loco Dice e Sven Vath. Quella sera era in programma, ancora una volta, il party “Cocoon Rome” e la consolle era affidata al sempre verde Ricardo Villalobos e a Zip, appunto. Le premesse di una nottata coi fiocchi c’erano tutte, fatto sta che il cileno perde il volo e allora Zip suona, suona e suona ancora, fin quando Villalobos non arriva con i suoi tre borsoni. Il cileno “occupa” la consolle per novanta minuti scarsi, poco male: il set del tedesco è qualcosa a metà tra il memorabile ed il visionario, tra il concreto e l’astratto, tra il solido e l’etereo. Magnetico, il set di Zip lo porto ancora con me, a distanza di mesi.
Questo genio dagli occhi curiosi non l’ho scoperto certo io, è chiaro, ma ognuno di noi quando tocca la vera natura di un artista del calibro di Thomas Franzmann ha la sensazione che qualcosa di importante gli sia stato appena rivelato. A me è successo quell’undici marzo, nonostante non fosse la prima volta che mi ritrovavo a calcare il dancefloor durante un suo dj set. Se è successo, è merito del suo talento alieno e futurista, capace di farti sentire parte di una lezione di musica a trecentosessanta gradi: deep, dub, house e techno; voci, basslines, ritmiche più o meno rotonde, glitches (di minimale matrice) romantiche e gelide allo stesso tempo. Tutto questo in uno schema sonoro tanto solido quanto asciutto rappresentana il soundscape in cui è solito immergerci Thomas. Zip è Perlon e questo basta.
Oggi più che mai sono maturi i tempi per personaggi come lui: la notte e i suoi abitanti sono diventati più curiosi, Berlino è diventata La Mecca dell’elettronica (qui i tanti, tantissimi pro, sono accompagnati da una marea di contro) e tutti quelli che fino a qualche tempo fa giravano alla larga dal “pozzetto” coi dischi dubstep del proprio store di fiducia oggi ascoltano Burial & Co. con l’agilità con cui sorseggiano vodka tonic il sabato notte sotto (e dentro) la consolle. La tavola è apparecchiata insomma e ben vengano Zip e tutti i suoi amici; ci sono voluti quindici anni – “Rood / Say One / Just Wanna” di Markus Nikolai, altra metà di Perlon, è datata 1997 – ma ci siamo arrivati. Le mie parole, sia chiaro, non devono suonare come una saccente lezione di storia – anche perché sono il primo ad ammettere che a dodici anni neanche io pensavo alle prime release della label di Francoforte, combattuto com’ero tra il primo Zeman e delle meravigliose Air Max da sfoggiare con gli amici – piuttosto un monito affinché tutto questo non sia semplicemente una moda. Guardando le line up dei club italiani, ahinoi, sembrerebbe però che la dilagante corsa ai vari Zip, Proper, Cassy, Dygas, Portable e soci sia più che altro la “naturale” evoluzione del successo dei party “Get Perlonized” al Panorama Bar. Troppe domande? Troppa dietrologia? Forse. Forse dovremmo semplicemente goderci l’invasione di tanta qualità noncuranti di chi abbiamo vicino e del perché sia lì, mentre viene suonata “Tu Actitud” da “Dependent And Happy”. Goderci Zip e tutto ciò che porta la sua firma, appunto, come la nuova compilation della collana Fabric.
“I did the mix with two record players, two CD players and my favourite mixer. I was alone in my studio and it felt just like it did when I was doing a mixtape ages ago. Only this one comes with slightly more pressure […]”
Thomas, eri sotto pressione? Eppure gli oltre settanta minuti della raccolta scivolano via veloci e snelli, nonostante incastri sonori talvolta torbidi e non immediatissimi. Ma Zip è così e anche questo nuovo Fabric rappresenta l’ennesimo esercizio di stile, musica che prende forma e vede la luce dopo esser stata assemblata nel suo cervello. Due giradischi, due lettori cd e un mixer: niente fronzoli o “dj tricks” perché il messaggio di Zip non può che essere essenziale. Non si possono lasciare in chi ascolta dei dubbi di fronte a messaggi che talvolta possono essere veramente digerti solo a disco finito.
Ecco la visionarietà della musica di quelli come lui e Ricardo, il bello è qui. Immensamente grazie.