Qualche settimana fa leggevo incuriosito in rete un articolo dal titolo piuttosto significativo “How Romania helped change the face of House Music”. Qui mi sono fermato per una valutazione. Può considerarsi davvero innovativo il sound proposto da Petre Inspirescu, Raresh, Rhadoo e compagni? Personalmente non sono d’accordo. E’ vero quel mix tra deep/micro house continua a legarsi alla loro precisa visione musicale, non omologabile ai canoni propriamente house. Ma da qui a renderli dei profeti in patria e all’estero, a mio modesto parere, ci passa davvero un abisso.
Già con largo anticipo e in tempi non sospetti gente come Losoul, Thomas Melchior, Zip, o lo stesso Villalobos avevano esplorato orizzonti sonori sconosciuti mettendoli in mostra tra Playhouse e Perlon. Poi ok, la benedizione di Villalobos c’è stata e se vogliamo proprio dirla tutta ha avuto un ruolo cruciale per la crescita del “RPR Soundsystem”. In primis attraverso il rapporto docente-studente tra il cileno e Raresh e poi, in seguito, coinvolgendo il “fratello” Rhadoo, tant’è che ora si vocifera Ricardo preferisca il secondo al primo. Altro discorso a parte quello che riguarda direttamente Petre Inspirescu, sul quale avevamo già speso diverse righe in occasione del “Fabric 68”, sottolineandone le abilità nell’uscire al di fuori dei suddetti schemi, creando una variante “classica” attraverso diversi progetti, non ultimo quello iniziato con “Yojik ConCon”.
Ebbene, sono passati pochi mesi e il Fabric torna a parlare la stessa lingua, il numero 72 è infatti opera di Rhadoo. Per studiarlo, parto in primis da un punto focale: “compilation mixata” significa approccio e pressione completamente diversi rispetto al set di una serata, il tempo per selezionare, provare e poi finalmente registrare infatti è abbastanza lungo e il feedback da parte dell’ascoltatore non è immediato. Un fattore decisamente a vantaggio dell’autore del mix e che induce invece l’orecchio esterno ad un’analisi più orientata alla selezione rispetto alla tecnica di mixaggio. Ecco, arriviamo alla selezione, appunto. Rhadoo tiene a sottolineare due cose. La prima, si tratta per lo più di tracce ancora “unreleased”. Affascinante da dire, perchè come sappiamo quell’alone di mistero piace sempre, ma è un particolare da valutare con molta attenzione per non creare quell’aspettativa che poi potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio. Perchè dico questo? Lo spiego subito. In primo luogo non è il solo, e soprattutto il primo, ad aver operato in questo modo – d’altronde basta riavvolgere il nastro di 6-7 mesi per cogliere la stessa identica scelta da parte del suo connazionale Pedro. D’altra parte tale scelta potrebbe comunque racchiudere in sè qualche aspetto positivo se paragonata ad altri mixati di eccellente fattura (mi viene in mente il più recente “Fabric 71” di Cassy) i quali però hanno evidenziato anche dei limiti, con fin troppe somiglianze tra quanto proposto nel set da club e quanto presente nello stesso mix.
La seconda nota a margine che balza all’occhio anche in fase di lettura della tracklist è la presenza di tutta la “colonia” rumena, quasi a voler dire “i rumeni validi” non sono solo di casa RPR, ma sono ovunque e sono pure parecchi se non ve ne foste ancora accorti. Ad eccezione dei più titolati Dragosh e Vlad Caia, gli altri nomi infatti potrebbero dire veramente poco agli occhi meno attenti. L’occasione per metterli in mostra era ghiottissima ed infatti il buon Radu Bogdan Cilinca (questo il suo vero nome) non ha nascosto la volontà di sfruttarla quasi esclusivamente per questo preciso motivo. Tirando le somme, ne esce un ritratto piuttosto accurato ed equilibrato, dall’andamento regolare e sicuramente gradevole all’ascolto in alcuni tratti (specie nella fase centrale), ma che finisce col sembrare un po’ troppo accentuato, comportando un calo di groove naturale che solo i fan più accaniti del trio rumeno non riescono a cogliere. Parlo di emozioni che faticano ad esplicitarsi in quest’ora abbondante di mix ma che in realtà non sono così poco presenti in numerosi set per i quali Rhadoo si è reso celebre – chiedete ad esempio ai ragazzi del Robert Johnson di Francoforte quanto sia amato fra quelle quattro mura.
Sia chiaro, non si tratta di una piena bocciatura, ma pensando alle potenzialità dell’artista era più che lecito aspettarsi qualcosina in più di fronte ad un’opportunità di tale portata, che sarebbe potuta andare ben oltre il fiero orgoglio del “vessillo” blu-giallo-rosso.