Sembra che il 2017 voglia a tutti i costi concludersi col botto sul fronte musical-tecnologico: dopo la recente notizia dell’acquisizione di Shazam da parte di Apple, la bomba della settimana è che Facebook avrebbe raggiunto un accordo con Universal Music Group per permettere la pubblicazione sulle proprie piattaforme di video contenenti musica i cui diritti sono di proprietà della major.
La notizia, che rende legale la pubblicazione di moltissima musica protetta da copyright non solo su Facebook ma anche su Instagram e sugli altri prodotti della società di Zuckerberg come Whatsapp e Oculus, è spiazzante per diversi motivi, su tutti il paragone con altre piattaforme musicali come Spotify e Soundcloud: la prima ha dichiarato più volte come i costi di licensing siano di gran lunga la voce più pesante del proprio bilancio, la seconda ha rischiato di chiudere (e non siamo sicuri abbia evitato il rischio) anche per via dell’impossibilità di raggiungere un accordo con le major esattamente come quello di Facebook.
Certo, la liquidità e il peso in fase di trattativa di Facebook non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelli di Soundcloud, per cui è per certi versi naturale che un colosso – seppur in fase calante – come UMG si sieda più volentieri a un tavolo a parlare con la prima che con la seconda, ma dal nostro canto noi siamo per lo meno costretti a cercare di immaginare che impatto potrebbe avere uno scenario del genere.
Pensate, ad esempio, a cosa succederebbe se, sull’onda dell’entusiasmo, Facebook stringesse accordi simili con tutte le altre major e diventasse quindi legale, o facilmente legalizzabile, caricare musica sul social network di Zuckerberg e i suoi derivati: ascoltare musica su Facebook diventerebbe semplicemente troppo comodo per farlo altrove per la maggioranza degli utenti che su Facebook ci si trovano già, e Facebook stesso diventerebbe quindi l’unico punto di accesso alla musica per tantissimi, come già accade per le notizie, o per i giochi, o, nelle idee di Mark, anche per gli acquisti.
Oltre alle conseguenze devastanti che questo avrebbe su società più piccole e più focalizzate proprio sulla musica come, ad esempio, Spotify e Soundcloud, ma anche su player più grandi come Youtube, che dall’uso come “radio” ottiene una grossa fetta di traffico, pensate a cosa significherebbe per gli utenti accentrare l’accesso alla musica nelle mani di un’entità sola, per la quale oltretutto la musica è giusto un interesse tra dozzine: l’esatto opposto di quello che ha significato Internet per la musica finora.
Se negli ultimi anni abbiamo avuto un’autentica esplosione di generi che va dal Soundcloud Rap alla Vaporwave e alla PC Music, con tutto quello che c’è in mezzo, una buona parte di merito ce l’hanno la coda lunga, la possibilità di accedere senza fatica e senza barriere all’ingresso alle fonti di ispirazione musicale più disparate e la presenza di piattaforme dedicate ai musicisti che li rendessero in grado di pubblicare le proprie idee, collaborare con altri e ottenere feedback rilevanti: siamo sicuri che una “rimajorificazione” della musica, riportando il controllo dell’accesso nelle mani di un solo, o pochi, giganteschi player, sia la strada migliore? Siamo sicuri che vogliamo che il luogo principale di fruizione della musica sia lo stesso dei “Buongiornissimo!! Kaffèèèèè???” e dei “Condividi se sei indignato”?
Probabilmente, come ci dicevamo nella lunga chiacchierata con l’ottimo Dj Rupture, in qualche modo la musica troverà, come ha sempre fatto, un modo per fiorire, ma permetteteci di dire che le mire espansionistiche dei giganti dell’Internet verso il “nostro” territorio ci fanno, per lo meno, inarcare il sopracciglio.