È davvero difficile durante la prima settimana di agosto riuscire a spostare l’attenzione della comunità clubbing europea e figuriamoci nazionale (si sembra un controsenso ma siamo più abituati a guardare fuori che in casa, un po’ come funziona per Volcov) rispetto a quello che accade nell’Amsterdam Bos grazie alle lineup fiume del Dekmantel. Noi per primi come Soundwall abbiamo preso d’assalto il festival olandese con una compagine numerosa, altri invece hanno deciso di raggiungere il cuore d’Italia e precisamente Corridonia per la prima edizione del Fat Fat Fat Festival. (Per evitare di ripeterlo diverse volte tenderemo a riferirci al festival con FFFF).
Il festival ha preso luogo nei giorni 6 e 7 Agosto nella Grancia di Sarrociano, un complesso storico molto scarno ma di forte impatto che ha creato uno stage naturale per l’unico palco del festival allestito con un trionfo di piante a ricordare, ancora, la Greenhouse dell’Amsterdam Bos. Non stiamo proponendo un confronto tra i due festival, non sarebbe corretto e nemmeno possibile, ma il fatto che fossero concomitanti ha denotato un’intelligenza rara per la scelta di queste date di cui avremo modo di parlare dopo. Ma passiamo alla musica.
Arriviamo in Grancia grazie all’ospitalità portata agli estremi del padrone di casa convenzionato con il festival quando G-Amp ha da poco iniziato il suo set: la presenza dei ragazzi di Dancity non solo in lineup ma anche come avventori (e ne ho visti diversi) denota una bella comunicazione sull’asse Foligno-Porto San Elpido…se il Dancity non si fa, si va sostenere il vicino. Riusciamo ad accaparrarci il nostro bucket hat personalizzato FFFF e riconosciamo un’ottima distribuzione nello spazio a disposizione: area food completa, area drink dislocata sulle due ali più una terza area adibita ai cocktail premium (dannazione!), cessi in fondo a sinistra e area entertainment, quanto più tiravi tanti più festoni vincevi. Avvicinandoci allo stage, si un po’ lontanuccio dal pubblico ma giustificato da un imponente impianto che nel giorno di sabato ha detonato bpm in maniera magistrale mentre un po’ meno nel giorno di domenica, riconosco una “insolita” (?) distribuzione dei giradischi rispetto ai CDJ: le robe con le puntine che quarzano sono più vicine al mixer (un rotary di non so quale azienda) rispetto ai cugini più moderni – e questo denotava un’attenzione importante nei confronti di chi avrebbe suonato ma soprattutto con cosa. Il dancefloor si sta riempiendo e a sostituire G-Amp è arrivata la coppia teutonica formata da Max Graef e Glenn Astro che per la prima ora e quarantacinque si producono in una selezione da cameretta tra pezzi più jazzy del primo e molto più break del secondo. Utilizzando l’aggettivazione “da cameretta” intendiamo una selezione che se ne sbatteva altamente della messa a tempo che è divenuta invece chirurgica negli ultimi 45 minuti di set in cui hanno dato la loro interpretazione di “deepness”. Pura deepness. Risultato? La pioggia è stata scacciata e il dancefloor ha fatto il primo pacco pronto ad accogliere Marcellus Pittman, non memorabilissimo (al mio gusto) tranne per le reazioni di tette al vento che ha scatenato alla mia destra. È sabato, si vede, le fila del FFFF si ingrossano pronte ad accogliere Motor City Drum Ensemble che ha fatto quello che ci si aspetta da lui: far ballare sciorinando una conoscenza completa del termine festa. Ma se MCDE ha fatto quello che si aspettava, un po’ come il miracolo del sangue di San Gennaro (cioè deve succedere per forza), la vera sorpresa (personale) è stato Francis Inferno Orchestra che con un set cosmic-disco tiratissimo e a tratti cattivo ci ha bullonati sul dancefloor e ha chiuso la prima giornata di festival in maniera memorabile. Passeggiata sui bicchieri versati, taxi e si va a dormire.
La domenica il tutto comincia presto, dalle 16 in consolle ci sono i ragazzi dell’Harmonized Sound System (Curl Menghi e Low.e). Mai vista una crew più presa bene da quello che sta facendo: balletti, canti a squarcia gola, rotazioni di bassi sul mixer che sembrano missili scagliati sulla folla e simpaticissimi siparietti di improvvisazione con un’altra primizia del festival ovvero Soichi Terada. Il giapponese è un anime in carne ed ossa, ricorda uno dei tifosi alle spalle di Patty Gatsby di Holly e Benji quando si muove, gioca con voce ed origami e offre un live piacevolissimo al calare del sole lasciando spazio alla sapienza di Volcov. Enrico Crivellaro è un’assoluta istituzione italiana, ne danno testimonianza molti dei ragazzi brandizzati Neroli che gonfiavano le prime file dello stage in assoluto visibilio per la sua esibizione in cui ho potuto sentire passaggi lunghissimi, musica di alto profilo e soprattutto una conoscenza assoluta di quello che serviva per il main actor che gli sarebbe susseguito. Il producer/dj italiano infatti ha creato le condizioni migliori per l’arrivo di un’altra istituzione, questa volta d’oltreoceano, che prende il nome di Theo Parrish. La sua esibizione è stata una dimostrazione enciclopedica della potenza della black music: passando dal jazz all’hip-hop senza alcun motivo particolare se non quello di produrre un set davvero monumentale anche se eccessivamente fastidiato dall’impianto che, come detto, sembrava non andare, anche se probabilmente ero lo stesso Theo a costringerlo in sofferenza (una roba da americani, come al solito). Comunque applausi, comunque festa si è fatta.
Ecco, il racconto dei due giorni finisce con l’amaro in bocca proprio per il fatto che i giorni siano stati solo due. La linea tracciata da Harmonized con questa prima edizione denota diverse cose: in primis la lineup è stata compilata seguendo un gusto musicale che ha sapore black e vira su sonorità meno aggressive e più facete ed il risultato è stato innegabilmente buono. Tutti divertiti. A questo si aggiunge anche che lavorando con grande anticipo e sfruttando la catalisi prodotta dal Dekmantel, si possono bookare artisti che in altri momenti sarebbero difficili da portare in Italia e che in un contesto come quello del FFFF si troverebbero assolutamente a loro agio: impianto di alta qualità, audience attenta e vogliosa, cibo che non te lo sto nemmeno a dire. In ultima analisi, la ricerca della qualità su di un festival passa anche dalle collezioni di questi “crate digger djs”. Sono stati due giorni di riempimento per udito e coscienza per chi c’è stato: gli anni passati da questi artisti tra faldoni di vinili, scaffalature, re-edit, che vengono miscelati e condensati in una due giorni pregna di musica da cui un frequentatore può solo uscirne felice. Se all’uscita della lineup di quest’anno le aspettative erano già altissime, i ragazzi di Harmonized si sono davvero complicati la vita perché ci aspetteremo qualcosa di ancor più sensazionale: l’introduzione di sponsor di alto profilo ed una maggiore capillarizzazione dell’offerta sul territorio nazionale potrebbe davvero determinare una nuova Mecca estiva per il ballo, ce li abbiamo i festival di sperimentazione e stanno bene d’inverno. Io me lo auguro, così il prossimo anno il mio amico Matteo viene con me.