Esiste, ogni inverno, qualcuno che un bel giorno salta fuori e dice “ma quest’estate che si fa?” e improvvisamente la mente inizia a viaggiare, il vento freddo che sferza fuori dalle finestre diventa una brezza calda che accarezza i capelli in riva al mare e le mani si allungano verso il computer alla ricerca della meta che ci aiuterà a mandare via tutto lo stress lavorativo accumulato durante l’anno. Estate sinonimo di spensieratezza e, per chi ama la musica, di festival. Ovunque in Europa, da maggio a settembre – per lo più – l’offerta musicale subisce un’impennata, creando un flusso di persone che prende aerei, treni e auto per raggiungere i luoghi più incredibili per assistere alle performance dei loro artisti preferiti. L’Italia, finalmente, non deve più invidiare nulla alle vicine Spagna, Olanda o Germania, offrendo una serie di rassegne musicali di tutto rispetto come quella che si è appena conclusa tra Morrovalle e Corridonia, comuni marchigiani che hanno fatto da cornice a FAT FAT FAT Festival tra il 4 e il 6 agosto.
Se quindi durante lo stesso weekend tra Berlino e Amsterdam andavano in onda Superlongevity – maratona di tre giorni per festeggiare i vent’anni di Perlon – e la quinta edizione del Dekmantel Festival, nelle Marche FAT FAT FAT Festival regalava, al suo secondo anno di vita, una rassegna di spessore e qualità in una delle zone più belle dello Stivale.
È un inizio relativamente soft quello del festival: venerdì sera si parte piano, un modo perfetto per entrare nel mood elegante e intimo del festival marchigiano. Nell’accogliente piazza del centro storico di Morrovalle, piccolo comune di stampo medievale, si entra subito in confidenza con quello che poi sarà il vibe di tutto l’evento, attimo per attimo (anche col cambio di location nei due giorni seguenti). Purtroppo le temperature troppo elevate – si parla di 38 gradi alle dieci di sera – fanno sì che l’inizio dei set in programma venga fatto slittare ad almeno un’ora dopo l’orario previsto, per permettere a tutti di non fare il bagno nel proprio sudore e di respirare un pochino (o anche semplicemente di entrare, visto che ad un certo punto all’ingresso si forma una coda notevole). Raffaele Costantino apre le danze, lasciando in eredità una piazza gremita di adulti e bambini, curiosi di ascoltare la performance di Yussef Kaamal in versione trio prima e Fatima & The Eglo Live Band dopo. Il trio londinese regala un live di tutto rispetto, a tratti però forse un po’ scollegato tra i vari strumentisti (in realtà Yussef e Kamaal insieme non suonano più da un pezzo, qui c’era la versione del progetto guidata da Yussef Dayes, e la combo armonia – compattezza creata un tempo dai due lascia spazio all’estro di Yussef sulla batteria). Benissimo invece Fatima. La svedese incanta tutti quanti con la sua voce profonda e il soul reinterpretato dal vivo del suo “Yellow Memories” si sposa perfettamente con la cornice nella quale siamo: la chiesa medievale di Morrovalle e Fatima sono un’accoppiata vincente e magica, tanto da tenere tutti quanti davanti al palco fino all’ultimo brano, nonostante l’afa non abbandoni nemmeno alle due di notte.
Il “cuore” di Morrovalle, colonizzato per una notte da FAT FAT FAT Festival (continua sotto)
Se venerdì il caldo non molla la presa, sabato la situazione non migliora affatto. “Lucifero” ci accompagnerà a braccetto durante tutta la tre giorni maceratese. Ma quarantuno gradi non spaventano nessuno, si beve molta acqua e that’s it. Sabato, dicevamo, si comincia decisamente prima rispetto a venerdì: gli Stump Valley inaugurano il main stage della Grancia di Sarrociano dopo le 17 ma è solo verso le 19 che il dancefloor inizia a riempirsi in attesa del set di Dj E.A.S.E aka Nightmares on Wax che per due ore accompagna il pubblico in un viaggio musicale mai banale, dove il funk, la disco, l’hip hop e il jazz si rincorrono e si mescolano tra loro in una sintonia di suoni e vibrazioni variopinta e di grande classe. George Evelyn saluta il pubblico con una versione unreleased di “My Wish”, donando a K15 & Alexander Nut un dancefloor carico ed elettrizzato che però i due non riescono a tenere sul pezzo a causa di qualche (loro) problema tecnico ed anche per la scelta di far partire l’esibizione con musica reggae e dub standard passando anche per la dancehall più moderna e meno coinvolgente, scelte che decisamente mal si sposavano con la performance dell’artista precedente. Per fortuna poi aggiustano il tiro. Ma ce n’è voluto.
Sorprendentemente interessante il live solo di Mark De Clive – Lowe, invece: il neozelandese ha una carica incredibile e stabilisce subito una connessione positiva con la pista che non si ferma un attimo. La sua esibizione è sensuale e spumeggiante allo stesso tempo, la banalità di certo non gli si addice e questo il pubblico lo percepisce e lo gradisce, pur potendo rendersi conto solo in minima parte – a causa della conformazione del palco che anche quest’anno metteva molta distanza tra dancefloor e dj booth – dell’incredibile lavoro che si smazza quando si esibisce (moltissime parti suonate, moltissimi interventi alle tastiere, moltissimi “tagli” in tempo reale). In chiusura, troviamo Omar S prima e Funkiniven poi. Il set del fondatore di FXHE Records è la garanzia che tutti si aspettano: trascinante, energico e incalzante, non sbaglia un colpo e nemmeno un passaggio. Fa esattamente quello che deve.
Ma occhio, il racconto della prima giornata non finisce col main stage, menzione importante infatti va alla new entry di quest’anno: per dare maggiore spazio agli artisti nostrani è stato organizzato un secondo palco di dimensioni più piccolo chiamato “Il Giardino della Sgugola”, che ha riscosso parecchio successo. Dancefloor sempre pieno e preso bene per ciascuno degli artisti che ha affrontato la console, con menzione d’onore per Dj Hendrix, Iommi, Nu Guinea, Native, Mononome e Raffaele Costantino. Tutti comunque hanno suonato in maniera molto “libera”: magari alcuni passaggi non sono stati impeccabili tecnicamente ma la qualità della selezione (e la fantasia nell’assemblarla!) sono sempre stati ai massimi livelli. Si è respirata aria di festa vera, si è respirata al tempo stesso aria di club culture: ogni tanto capita che questi due aspetti, che da un po’ di tempo si tende troppo spesso a disgiungere, si rimettano assieme. Quando succede, è il massimo. Un massimo che “senti”, che “respiri”. E infatti, come si diceva, pista regolarmente piena. Anche ben oltre le aspettative. Una semplice area chill out è diventata un epicentro di buone vibrazioni ad alta qualità ed euforia da ballo.
Concluso il sabato quindi con un vibe più che positivo, con grandi sorrisi e finalmente un po’ di aria fresca nella notte, domenica varchiamo nuovamente i cancelli della Grancia di Sarrocciano per la giornata conclusiva di questa seconda edizione di FAT FAT FAT Festival con grande fiducia. Meno gente e tanta umidità ci accolgono all’ingresso: alle 19 aspettiamo con molta euforia il set di Awesome Tapes From Africa, curiosi di ascoltare quali cassette avrà scelto per allietare le due ore successive; gli Harmonized Soundsystem però non passano la palla in orario al newyorkese, che schiaccia il primo play verso le 19.30, un ritardo che si andrà ad accumulare e scalare sulle esibizioni a venire. In questa terza giornata fanno bene tutti quanti, il b2b tra Volcov e Tama Sumo è il ritratto dell’eleganza e della ricercatezza musicale: lei un po’ più “violenta” di lui, ma sta bene così, la pista è contenta, noi siamo contenti e loro si stanno divertendo. Dopo di loro, gli occhi sono puntati sulla bellissima Jayda G che incanta il pubblico (specialmente quello maschile) e lascia a Moodymann un dancefloor compatto e gasato. L’americano apre con “Redbone” di Childish Gambino, mette idealmente il microfono in mano a tutti con “Come Together” dei Beatles, passa per D’Angelo, Mario Basanov e la sua “We Are Child Of Love” ma anche per il Solomun Vox Mix di “Around”, che sinceramente non ci aspetteremmo da uno della sua caratura, e ci porta alla conclusione dandoci la buonanotte con “Groove La Chord” di Aril Brikha e il solito siparietto della vodka tanto aspettato quanto stucchevole.
Oltre a Moodymann, anche qualcun altro ha dato la “buonanotte” con la voce grossa: mentre gli ultimi pezzi erano ancora sui giradischi ed il set teneva tutti attaccati al palco, gli uomini addetti alla sicurezza hanno iniziato a formare una catena umana sotto transenna aumentando, e di molto, l’insicurezza della serata. Ineducazione, impreparazione, chiamatela come volete: il risultato è che a dieci minuti dalla fine ci si rende conto che il festival sta finendo mentre ancora si sta ballando e quando l’ultima nota del disco smetteva di suonare, la “sicurezza” iniziava a mandare fuori tutti spingendo via senza permettere nemmeno un applauso conclusivo e chiassoso e di ringraziamento verso la crew che ha lavorato per noi, crew che magari palesandosi avrebbe ridotto e di molto il carico di tensione finale, perché qualche ceffone c’è scappato pure. Ecco questa è la nota stonata dei tre giorni marchigiani, perché a conti fatti per il resto nulla di negativo si può dire a FAT FAT FAT e alla sua organizzazione. Sì, è vero che al sabato sera la spillatrice della birra ha deciso di non funzionare più e si è dovuti correre ai ripari con birra in bottiglia e tanti spritz, ma non sono questi i metri di paragone fondamentali che servono per dire se un festival è organizzato bene o male. Dentro a FAT FAT FAT Festival si vede il lavoro di un gruppo di persone che crede nell’Italia che ascolta la musica con un certo orecchio critico, crede nella qualità degli artisti scelti e nel loro amore nei confronti della professione che fanno. A Morrovalle e Corridonia si respira un’aria di appartenenza: come se fossimo tutti lì per passione e non per “far vedere” che ci siamo.
FAT FAT FAT è un festival intimo ed elegante, dove tutto è pensato per far star bene i suoi clienti, siano essi addetti ai lavori (“benedetti” anche quest’anno dalle strepitose grigliate nel backstage di Paolo Cari, una vera e propria forza della natura e del BBQ) o persone che raggiungono la provincia di Macerata per concedersi un weekend diverso. È la validissima alternativa ai grandi eventi da migliaia di persone; è quello che serve al nostro paese per mostrare quanto riusciamo a lavorare bene nonostante la burocrazia, i cavilli legali e tutto quello che sta dietro all’organizzazione di un evento del genere. È importante avere un festival come FAT FAT FAT nel nostro territorio perché è in grado di conciliare la musica con la bellezza paesaggistica dei luoghi dove è ospitato, muovendo quindi potenzialmente anche un altro tipo di turismo sicuramente curioso, giovane, “vivo” e gradevolmente educato. Si riesce poi a stabilire una connessione con le persone del posto, che non vedono l’appassionato del genere come una “minaccia” ma come una risorsa da coccolare e introdurre alla cultura del luogo. Siamo felici di quello che è stato FAT FAT FAT e siamo sicuri che, se ci sarà un terzo episodio, saremo lì, pronti a godercelo.
I segnali positivi sono tanti: la crescita apportata dal secondo palco, fondamentale nel far percepire sempre più il “formato festival” (ha anche ospitato la nostra lecture targata Molinari ed #Extracontent assieme a Fatima, una chiacchierata distesa e sorridente tra lei e il nostro Damir Ivic dove si è passati dalle passioni teenageriali per Jay-Z a considerazioni sul senso dello star system oggi come oggi), la presenza di pubblico da città anche lontane (abbiamo visto molte facce milanesi, molte facce romane, molte facce bolognesi), la continua cura per quanto riguarda la qualità sonora dell’impianto del main stage (ottima l’anno scorso, ottima quest’anno). Tutto questo avrebbe meritato forse un po’ di pubblico di più, diciamolo: a occhio ci si è attestati sulle cifre dell’anno scorso, lì dove tutto questo lavoro, anzi, tutta questa qualità nel lavoro di FAT FAT FAT avrebbe meritato di suo una decisa crescita di biglietti staccati. Forse è venuto a mancare un po’ di supporto e appoggio del territorio ma è l’ennesima riprova che se già fare le cose continuativamente nelle grandi metropoli è difficile, farlo in provincia può esserlo doppiamente. Chi ci riesce, fa miracoli. Ma li fa camminando sempre sul ghiaccio (…anche quando la temperatura atmosferica, come quest’anno, è rovente: anzi, soprattutto per questo – visto che siamo sicuri che proprio il caldo feroce del weekend abbia tenuto lontane un bel po’ di persone, impedendo un’affluenza più corposa).
Hanno collaborato Alessandro Montanaro e Damir Ivic