È sul bus Macerata – Civitanova Marche, preso in un torrido lunedì di provincia marchigiana che mi è venuto spontaneo chiedermi, a festival finito: ma cosa mai potranno migliorare i ragazzi del FAT FAT FAT per la prossima edizione del festival? Risposta non facile, dati gli ottimi risultati che anche quest’anno hanno raggiunto e l’asticella che vertiginosamente si alza.
Soundwall e il sottoscritto seguiamo il festival da tre anni e riconosciamo come luoghi famigliari gli spazi della piazza di Morrovalle e della Grancia di Sarrociano dove anche quest’anno si è svolto il FFFF. Abbiamo avuto modo negli anni di conoscere i protagonisti, le aspirazioni dell’organizzazione, la loro crescita graduale e li abbiamo visti metter su, mattone su mattone, una realtà solidissima nel parterre della proposta festivaliera italiana. L’edizione di quest’anno parla proprio di solidità, una solidità dinamica che punta alla crescita continua e a prendersi sempre una dose di rischio non indifferente come quella di affidare la chiusura del festival ai ragazzi della “cantera” di Harmonized Sound System e la scommessa, possiamo gridarlo, è stata più che vinta.
Sin dalla serata del venerdì, svoltasi a Morrovalle, che per le giornate in Grancia, e non a caso parliamo di giornate perché vivere il FFFF significa esser lì dalle 16 o dalle 17 per entrare nel mood del festival e godere di esperimenti riuscitissimi come le quattro ore di set affidate a Volcov e Floating Points – entrambe esibizioni da FAT FAT FAT voto come scoprirete nello scorrere – abbiamo avuto l’impressione che il festival sia riuscito a fare molti più proseliti rispetto alle edizioni passate. Un’impressione confermata dai dati oggettivi: 6000 presenze per le tre giornate ed una Babele di lingue sul dancefloor mai ascoltata prima – crescita – a cui si aggiunge l’aspetto famigliare di visi e teste conosciute nelle edizioni passate – solidità.
(alle 16, orario di solito “impossibile”, per Floating Points c’era già un bel po’ di gente, come da foto; terminerà il suo set, quattro ore dopo, con duemila persone davanti)
Fare la descrizione minuziosa di ogni set ascoltato è inutile e ci limiteremo a dare un giudizio FAT su quelli che ci hanno fatto smuovere e bullonare sulla ghiaia del Main o sull’erba umida della Sgugola. C’è anche da dire che ormai – solidità – il festival possiede un’aura tutta sua e che pone sulle consolle dei due stage un avvertimento simbolico per ogni artista e in rosso neon arial 72 recita: “…you don’t fuck with FAT FAT FAT dancers“! Perché il pubblico che frequenta il FFFF – crescita – è educato, conosce, respira blackness a tutte le latitudini e ti manda a fanculo se l’ego sovrasta la tua capacità di far ballare, nel caso delle ore notturne, o di prepararti al ballo in quelle pomeridiane.
Un’atmosfera così solida quella del FFFF, un suono così definito (complice anche una inscindibile partnership con Sounds Familiar), che artisti come Ben UFO si sono sentiti in dovere di adattarsi a quella atmosfera, proponendo un set che mai è suonato così “nero/caldo” e non “cupo/freddo” come di solito siamo abituati a conoscerlo e sentirlo. Chi invece in questa atmosfera si riconosce e sguazza è sicuramente Marcellus Pittmann. Ora: io credo sia arrivato “il tempo di Marcello” sul proscenio europeo, il selector di Detroit merita il FAT FAT FAT FAT Award (oltre a molto, molto altro). A scalare troviamo Luca Trevisi (FAT FAT FAT), Patrick Gibin (FAT FAT), Sadar Bahar & Lee Collins (FAT FAT FAT), Molinaro (FAT FAT), Egyptian Lover (FAT) e Bradley Zero (FAT). È un giudizio che nulla spartisce con definizioni tecniche, ma solo con lo spirito che contraddistingue il festival, mi verrebbe da dire uno spirito operaio, in cui gli artisti si mettono al servizio del pubblico; e, ad aggiungere un mattone ancora più importante e coronamento del festival, il live di Larry Heard, che ha apportato quella dimensione epica che il festival ancora non aveva raggiunto. Quindi, diciamo, fuori categoria.
A conti fatti, comunque, non riesco a rispondere a quella domanda iniziale: il FFFF ha davvero cambiato poco rispetto all’anno scorso se non per i nomi a comporre la line-up (anche sullo sviluppo della timetable, chapeau), ma quest’anno la sensazione è stata quella di aver scalato una montagna ancor più alta in maniera quasi inaspettata (ma sperata) e che abbiano messo giù un mattone ancor più solido per la crescita del festival. I partner che condividono lo sforzo dell’associazione FAT FAT FAT credo non abbiano di che lamentarsi; così come per noi, che ogni volta che varchiamo quell’ingresso ci sembra di essere la prima volta, ma meglio. Se davvero dovesse ingrossarsi, il festival, forse la Grancia le sarebbe stretta o forse arriverà un sold out preventivo che farà mordere la lingua a chi, dopo anni, non ha ancora compreso che il FAT FAT FAT Festival è IL festival da frequentare.