Ma alla fine, cosa significa essere appassionati di clubbing? Significa avere sete di vita, voglia di non farsi inscatolare dalla routine più “media”, significa anche fare tante cazzate. Chiaro, ci facciamo le nostre risate vedendo gli storici gruppi Facebook che pigliano per il culo i “pedalatori”, i tamarri in canottiera, le relazioni basate solo sulla botta, ma bisogna sempre stare attenti a non esagerare col senso di superiorità. Perché se ci siamo innamorati di questa faccenda dei dancefloor, della techno, di Ibiza, di Berlino, se ne sentiamo il fascino, è anche perché in fondo al nostro cuore preferiamo queste fesserie qui ai divertimenti “rispettabili” e consolidati da mainstream. Vale anche per i più colti, vale anche per chi solo Autechre, vale anche per chi l’unico Carola decente era quello pre 2000, vale anche per chi oggi solo Worldwide FM, vale anche per chi Ibiza mi fa schifo e il Berghain ha smesso di essere davvero interessante ed innovativo nel 2008. Possiamo essere tutte queste cose “alte”, ma il fascino che ci trascina verso la musica semi-ripetitiva e bellissima orchestrata da un dj, verso una permanenza di ore su un dancefloor, verso una musica che parla di futuro (o, se ricicla il passato, lo fa con piglio autoriale e finalizzato al ballo e al fare festa), c’è poco da fare, arriva anche dal lato meno rispettabile di ciò che è clubbing. Sì. Avere questa consapevolezza potrebbe aiutarci a riconquistare quella scintilla originale che in parte s’è persa, visto che col tempo ci si è frazionati e stratificati in diverse sottotribù (che spesso pure si guardano male e disprezzano fra di loro). A (ri)unirci, dovrebbe essere l’orgoglio di avere creato l’unica cosa veramente nuova come energia, come attitudine, come visione alternativa rispetto al mainstream dopo i tempi del punk e del primo rap. Già: a tutto questo hanno contribuito negli anni e contribuiscono ancora oggi anche i “pedalatori” e i tamarri, e contribuiscono anche i divertimentifici standardizzati con dj followatissimi strapagati. Resta una bella scintilla di “diversità” in chiunque abbia toccato con mano, vissuto o anche solo ogni tanto sfiorato la vita scandita dalla serata in un club, da una maratona in un festival o in un posto speciale.
Al di là della storia (carina, divertente, col climax finale da commedia noir), il più bel pregio di “Fatti fummo” è questo, esattamente questo. Non un disco, non una serata, non una label, “Fatti Fummo”: un libro. Ma un libro scritto da una persona che ormai è un veteranissimo del clubbing di casa nostra, il napoletano Augusto Penna (Woo! ed altre faccende…), e che quindi di cose ne ha viste e fatte proprio tante, nell’arco ormai di un paio di decenni. Ha il dono e il gusto della scrittura, e allora nel momento in cui tutto il mondo si è fermato causa pandemia Augusto ha deciso di affrontare la faccenda “in medias res” (tanto, per un clubber ed organizzatore di serate, era tutto bloccatissimo), tirando fuori un romanzo che è un po’ una commedia degli equivoci, un po’ un acuto ritratto sociologico di un determinato tipo di persone. Acuto, e sincero. Non è un caso che il grande, grandissimo Irvine Welsh – con cui Augusto nel frattempo è diventato amico, e che ha scritto una breve ed asciutta prefazione ma che soprattutto interverrà al party speciale per “Fatti Fummo” in programma in quel posto pazzesco che è il Pike’s di Ibiza il prossimo 11 ottobre – abbia deciso di fare capolino e metterci la faccia.
Certo, Welsh è un fuoriclasse della scrittura e Penna invece è uno-che-scrive, mancando ancora di una serie di “smaliziature” e skill che solo gli scrittori di professione hanno), ma se ancora dovete fare la lista delle letture per le vacanze estive “Fatti fummo” ve lo consiglieremmo non poco (tra l’altro, è già in ristampa). Se siete su queste pagine di sicuro avete un minimo di sensibilità e di interesse per le faccende di clubbing e, come spiegavamo all’inizio, anche quindi per una umanità particolare, atipica, libera nei confronti dell’uso delle droghe e libera anche di essere ogni tanto stupida (…nel modo di rapportarsi alle droghe suddette, ma anche in generale), pronta a spostare i piani di valore e le gerarchie di vita su traiettorie non scontate. In tempi in cui la sempre più onnipresente impronta del web rischia di standardizzarci sempre più (su Instagram, sempre più si tenta di essere ciò che non si è, uniformandosi a criteri di bellezza e figaggine eterodiretti o comunque non personali), anche un pugno di squinternati da clubbing come i vari protagonisti di “Fatti Fummo” rischiano di diventare una bella e nobile forma di resistenza culturale all’omologazione, anche quando si comportano in modo scemo, anche quando nella loro vita la cosa più importante da fare è l’after post serata.
Poi chiaro, voi che leggete queste righe di cazzate non ne fate, siete sicuramente meglio che quattro pedalatori decerebrati che impazziscono per i set da 12 ore di Carola o Capriati, le droghe non le usate o sapete come usarle senza esserne usati; certo, assolutamente, non ne dubitiamo. Ma risentirsi di nuovo parte di un “insieme”, di una vibrazione, di un momento che ha scompaginato le regole più prevedibili, rispettabili e sane, ve lo assicuriamo, è bello. E’ un bel brivido. Fatti fummo, ieri, noi o le persone vicine a noi; domani invece chissà che saremo; e la pandemia, beh, ci ha cambiato forse sì forse no; ma un DNA da clubber, in noi, può essere sempre una bella scintilla, una bella fiamma.