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[tab title=”Italiano”]Discutere e ripercorrere quasi trent’anni di musica, party e retroscena è una occasione che non capita spesso. Eccezion fatta per quei personaggi che, a loro merito, hanno avuto il modo di esserci dai primi anni novanta avendo ancora oggi qualcosa da dire attraverso la loro musica, fregandosene di generi, mode o “social media manager”. Felix Dickinson è uno di questi. Iniziare quasi per gioco, tra amici, crescere sotto la tutela artistica e tecnica di DJ Harvey, promuovere la scena rave Inglese, conquistare il Giappone per poi ritrovarsi sui palchi del Sónar o del Glastonbury. Questo e molto altro qualche riga più in basso.
I tuoi primi passi nella musica e nel djing sono strettamente legati al mondo dei rave, legali o meno. Il primo ha avuto luogo nel giardino di tua madre organizzato con il supporto del team Tonka Soundsystem. Possiamo dichiarare questo l’inizio ufficiale della tua carriera?
Penso che quello sia stato l’inizio del mio amore per la “scena rave”, ma non l’inizio della mia carriera in quanto io non mi sono esibito in quell’evento. Ero solo un grande appassionato. Sicuramente quel party è stato il primo passo del percorso che mi ha portato a vivere la vita che vivo adesso.
Da quel party casalingo non hai più abbandonato il team Tonka presenziando tutti i loro party “Tonka at the ZAP”. Cosa aveva catturato il tuo interesse, la tua attenzione?
Era il party nella sua totalità a interessarmi. Il soundsystem, la musica, le persone.
Descrivi i party/rave di quel periodo come “ribelli, rivoluzionari”, capaci di “abbattere le barriere sociali” di “celebrare con semplicità la musica”. Oggi tutto il business che si è creato attorno la scena del clubbing ha cancellato questi ideali?
La Gran Bretagna governata dalla Thatcher (non molto diversa da quella di Cameron ora) era piuttosto orrenda, molte persone avevano la necessità di trovare nuovi modi per divertirsi. Penso che questa necessità sia stata una delle ragioni per cui la acid house è esplosa in tutto il Regno Unito. Phil Walker, che insieme a Robert Muir ha fondato il Tonka Soundsystem, mi ha rivelato le ragioni per cui iniziarono quest’avventura, amavano fare festa e volevano mandare un messaggio chiaro alle istituzioni. Un altro collettivo con cui ho organizzato dei party è stato D.I.Y, anche loro avevano lo stesso modo di vedere le cose. Entrambi questi soundsystem organizzavano free party per il gusto di regalare a tutte le persone del divertimento. Non era un manifesto rivoluzionario, solo un semplice modo per far si che la tua vita e quella degli altri potesse essere migliore. La buona musica house dovrebbe abbracciare un ampio spettro di generi, come un buon party dovrebbe abbracciare un ampio spettro di persone, finchè questi elementi saranno presenti ogni party avrà la possibilità di abbattere le barriere sociali. Sul clubbing hai ragione, è diventato un gran bel business per parecchie persone, ma non penso che questo neghi un approccio rivoluzionario o ribelle. Piuttosto darei una lettura contraria, ovvero, il business così massiccio non ha schiacciato la cultura dei free-party ma essa si è infiltrata nel business. C’è stato un momento in cui ho pensato che la giustizia avrebbe reso illegale ballare nei campi, sfruttarli per dei rave e invece oggi li sfruttiamo più che mai, ci sono festival ovunque e tutto questo ha contribuito a finanziare la nostra scena. Ovviamente i rave ci sono anche oggi, è un settore vivo e vegeto, non ne trovi notizia in tv o su Facebook per evitare che vengano ostacolati. Parafrasando Gil Scott-Heron, la rivoluzione non sarà su Facebook.
Harvey è stato colui che ti ha dato le basi del djing introducendoti in questo mondo a te sconosciuto. Rimane un punto di riferimento per te? Possiamo descriverlo come l’unico dj che conserva, oggi, lo spirito Tonka nei suoi dj set?
Harvey è stata la prima persona a introdurmi al djing, mi sento davvero fortunato di aver avuto l’opportunità di ascoltarlo così spesso nei party Tonka o Moist. A oggi rimane il mio dj preferito perché so bene cosa può regalarmi un suo set quando è in ottima forma. Oltre Harvey ci sono tuttora molti dj/produttori che provengono dai party Tonka come Idjut Boys, Thomas Bullock (Tom Of England), Gerry Rooney (Velvet Season e Heart Of Gold), Nick the Record e tutta la Wicked Crew di San Francisco. Tutti noi condividiamo lo stesso gusto musicale maturato all’unisono dopo i vari momenti vissuti insieme (o forse abbiamo trascorso tutto questo tempo insieme perché avevamo gli stessi gusti musicali). Non sono sicuro che Harvey voglia essere descritto come colui che detiene, oggi, lo spirito Tonka. Lui è sempre andato avanti pensando alla sua musica, Tonka come Moist o Sarcastic sono solo dei capitoli nella sua storia.
Brighton, Londra, una storica residenza a Tokio per i party Lifeforce e ora Bristol, sono queste le città che ti hanno ospitato nel corso della tua carriera. Come hanno influenzato Felix Dickinson? Differenze?
Ognuna di esse mi ha insegnato qualcosa nel mio mestiere. Brighton è stata una esperienza molto significativa, incentrata sui free-party che organizzavamo a Brighton Beach o in magazzini sparsi per la città. Anche collaborare con la crew Lifeforce (Tokyo, ndr) è stato molto interessante, con loro ho sempre avuto l’opportunità di esibirmi in dj set di otto, dieci ore. Una chance fantastica per un dj, poter esprimersi attraverso molteplici generi musicali spaziando dalla techno al soul. A volte trovo difficile raccontarmi in dj set di una o due ore senza che questi diventino “sconnessi”. Amo tutta la musica ma se ti capita di ascoltarmi in un dj set così breve potresti andare via pensando che io proponga solo acid house o disco, si creerebbe un equivoco tra me e il pubblico. Difficile raccontarti come Bristol abbia influenzato il mio essere dj, sono stato qui solo per un breve periodo, per un dj che viaggia e si sposta nel week-end è un buon posto dove vivere, come molti altri.
Da qualche anno quando si parla di musica elettronica si tira in ballo Berlino, tu non hai trovato feeling con questa città?
Non ero mai stato a Berlino fino a qualche anno fa, come non ero mai stato a Ibiza fino a poco tempo fa. Non che non mi piaccia la città in se ma purtroppo non conoscevo nessuno che vivesse li o che mi invitasse a suonare. In realtà mi piace molto Berlino, ho suonato diverse volte al Wilde Renate e al Lab.oratory, ottimi club.
Trovi interessante l’odierna scena musicale inglese?
Decisamente. Ho sempre pensato che il Regno Unito abbia una rilevanza particolare nella scena musicale mondiale. Siamo solo una piccola isola a largo delle coste europee e come tale siamo in continua ricerca, una spugna culturale, un melting pot per le idee. Musicalmente siamo influenzati da tutto ciò che succede in Europa o in America, ne prendiamo ispirazione per poi tradurlo e re-inventarlo alla nostra maniera. Penso altresì che la scena dei festival inglesi sia, oggi, davvero interessante. Mi diverte pensare come ciò che vent’anni fa il governo voleva mettere fuori legge oggi è diventato parte fondamentale della panorama culturale britannico. Ci contraddistingue in tutto il mondo grazie a promoters e organizzatori britannici chiamati ovunque a collaborare. Due esempi su tutti: il team Block 9 del Glastonbury che pur provenendo da altri ambiti ha creato un festival interessantissimo al quale sono onorato e orgoglioso di aver contribuito. Poi il Team Love che con i loro festival Love Saves The Day (Bristol) e Love International Festival (Croazia) crescono edizione dopo edizione, mi fa molto piacere aver collaborato anche qui.
Hai fondato la Ugly Music con il tuo amico Tony Lee, la voglia era quella di portare in Inghilterra lo spirito dei classici provenienti da Detroit e Chicago. Perché il focus era su quel tipo di sonorità? Non avevano la giusta visibilità o puro interesse personale?
Entrambi apprezzavamo la musica prodotta oltreoceano, ci piaceva suonarla. Decidere di fondare una label per stamparla e distribuirla è stato una naturale conseguenza, un modo per far si che tutti potessero goderne.
Hai poi deciso di approfondirle con un viaggio in America nei luoghi in cui l’house music è stata concepita, una esperienza che ti ha dato la possibilità di conoscere e interagire con altri artisti. E’ stato fondamentale per la tua carriera?
Ho sempre visto l’America come patria della house music e prendendo atto di come questo genere musicale stesse influenzando la mia vita ho sentito il bisogno di andare li a scoprire qualcosa in più. Ho organizzato il viaggio con il pretesto di promuovere la mia Ugly Music e di cercare qualche nuovo artista da arruolare. Durante il viaggio le cose sono cambiate. Ho avuto l’opportunità di esibirmi in uno dei primi Burning Man nel deserto del Nevada e di visitare il Warehouse a Chicago (tornando a casa con circa 800 vinili disco). Ho anche instaurato molte amicizie durante quel viaggio che coltivo tutt’oggi.
La tua seconda label, Cynic, nasce ad anni di distanza da Ugly Music. Quali sono le differenze, che necessità avevi in questo caso?
Ho chiuso con Ugly quando ho iniziato a produrre musica. Inizialmente ho pubblicato le mie tracce su un paio di etichette forse perché non avevo la giusta fiducia in me stesso, non credevo nella mia musica, avevo bisogno di approvazione da terze parti. Poi ho riflettuto, avevo già accumulato una buona esperienza nel mondo del label management con Ugly Music ed ero pronto a pubblicare la mia musica attraverso una mia etichetta, così ho fondato Cynic.
Urban Myth, D.Bastedos, Cosmic Malcolm, Foolish Felix, Mr. Fortgetful sicuramente conosci questi ragazzi… Stiamo parlando di alcuni dei tuoi alias. Come decidi che tipo di sonorità, di produzioni assegnare a ognuno di essi? Sono necessari?
(ride) Si, mi piace utilizzare diversi alias. In realtà Mr Forgetful non sono io, ho prodotto qualche traccia come Foolish, Friendly and Forgetful con Nick the Record e Mark Eagling. Io ero Foolish, Nick era Friendly e Mark, solito abbandonare il suo computer ovunque dopo una session, fu ribattezzato Forgetful. Solitamente non dico “oggi produco una traccia techno che pubblicherò come Cosmic Malcolm”. Avendo molto interesse nel confrontarmi con persone diverse, quando viene fuori qualcosa d’interessante scelgo nomi differenti per ogni collaborazione. Ho poi deciso di rilasciare tutto il mio catalogo musicale su Cynic e riflettendo ho trovato appropriato utilizzare alias diversi piuttosto che dire tutte le volte “ecco un mio nuovo disco”. Non sono sicuro se avere tutti questi alias mi abbia favorito, forse no, per questo ultimamente sto utilizzando il “mio” nome.
Hai scelto di realizzare il tuo nuovo studio in quel di Bristol dove vivi con tua moglie. Come inizi una nuova produzione, cercando ispirazione in altri produttori, brani o inizi da una tua idea chiara, del tipo “voglio produrre un brano che suoni così”?
Hmmm, il processo creativo. E’ differente per ogni traccia che produco, dipende con chi sto collaborando. Solitamente quando produco delle cose come LHAS Inc con Jaime (Jaime Read ndr), accendiamo le macchine e iniziamo una jam session finché uno dei due si gira verso l’altro e decide di registrare quello che sta venendo fuori. Penso che questo sia il motivo principale per cui mi piace lavorare con qualcuno al mio fianco, quando sono da solo devo essere sia in modalità creativa che riflettere su cosa sto registrando. Non riesco mai a esprimermi al meglio quando provo a registrare qualcosa e non riesco mai a registrare quando, improvvisando, creo qualcosa d’interessante; quindi è fondamentale avere qualcuno che mi aiuti. In altro modo nascono le tracce che produco come Dedication (collettivo di musicisti giapponesi e cantanti occidentali, ndr). Inizio sempre dal creare e miscelare il beat per poi aggiungere i suoni creati dagli artisti giapponesi. Potrei anche avere tra le mani un buon beat che si incastra al meglio con una linea di synth, un buon progetto insomma, ma tutto viene adattato al tipo di performance che loro hanno registrato dalla quale io taglio le parti che ritengo interessanti. Quando sono completamente solo in studio le tracce che produco sono ispirate da qualcosa che ho già sentito, da altra musica. Solitamente ho un riff o un ritmo stampato nella testa, inizio cercando di riprodurlo e, inevitabilmente, non riesco mai a farlo suonare come quel qualcosa che ho in mente tuttavia se la mia testa annuisce a ritmo approvando, provo lo stesso a costruirci qualcosa.
Fino a qui abbiamo associato Felix Dickinson esclusivamente al club, una dimensione intima dove il dj è al centro del sistema. In questi ultimi anni hai avuto l’opportunità di essere incluso nelle line up di festival dalla risonanza mondiale tra i quali Sonar, Glastonbury o Burning Man. Feedback e differenze sostanziali?
Amo esibirmi e partecipare a questi festival, ma sono dei mondi differenti l’uno dall’altro per pubblico, location e musica. Le location sono sostanzialmente diverse Glastonbury si svolge (generalmente) nel fango, Burning Man nel deserto e Sonar in una città. Glastonbury riesce a vendere i ticket anno dopo anno senza annunciare la line up questo perché il pubblico sa di trovare band di un certo calibro che a loro volta attirano molte persone le quali non sarebbero mai venute per un dj set mio o di altri artisti che si esibiscono. Questa è davvero una grande opportunità, avere un pubblico che usualmente non viene ad ascoltarmi nei club. Sicuramente Glastonbury e Burning Man sono i due festival nei quali sono stato più volte, anche senza esibirmi. Frequento Glastonbury dal 1990, ma ci suono regolarmente dal 2007 quando i ragazzi di Block 9 ha iniziato a lavorarci su. Di solito suono nel NYC Downlow, ultimamente sono anche diventato resident del loro Genosys stage. Probabilmente è la performance più sentita di tutte le mie gigs, anno dopo anno. Tutto il lavoro che Block 9 ha fatto per questo festival è pura ispirazione per me, mi sento felice di essere li con loro sin dall’inizio, mi sento parte della loro famiglia. Per quanto riguarda il Burning Man suono li dal 1996, ho saltato qualche anno, ma avrò partecipato ad almeno una quindicina di edizioni. Solitamente suono nel Disco Knights camp, che è uno dei pochi camp dove non viene proposta EDM o Dubstep. Lo scorso anno per la prima volta ho partecipato al Sonar, non ero sicuro su cosa aspettarmi. Mi sono esibito nel main stage esterno, al tramonto, con circa 4000 persone davanti. In un festival con una line up così varia ho pensato che il pubblico non gradisse un dj set troppo eclettico, quindi mi sono adattato proponendo acid, disco, deep shit e techno in uno short set che la folla sembrava gradire.
Non voglio chiederti come organizzi i tuoi dj set, come descrivi il tuo stile o altro che per cui sia necessario delimitare la tua musica. Voglio concludere con una curiosità. C’è una traccia (le tracce) che pensavi essere una ottima produzione da peak time, rivelatasi poi deludente o non apprezzata dal pubblico?
Hmmm, sinceramente non ricordo l’ultima volta che ho svuotato il dance floor, sicuramente ci sono state delle occasioni in passato. Penso di essere diventato un buon selezionatore adesso, per poter scegliere quale disco utilizzare e quale no. Discorso diverso per le tracce che rilascio, capita di essere sorpreso che un disco venda meno di quello che mi aspetti. “Losing my innocence” su Cynic non ha venduto quanto mi aspettavo; forse è un segnale, non dovrei cantare sulle mie tracce.[/tab]
[tab title=”English”]Discuss and go over again nearly three decades of music, party and what has gone on behind the scenes is something which doesn’t happen really often. Except for those characters who, to their credit, they had a way to be there since the early 1990s still having something to say through their music, not caring about genres, hype or “social media manager”. Felix Dickinson is one of these. Started his career as a game between friends, growing up under the artistic and technical direction of DJ Harvey, promote the English rave scene, win the Japan with Lifeforce residency, till to find himself on the stages of Sónar or Glastonbury. This and more a few lines further down.
Your first steps in music and djing skills are closely related to the world of raves, legal or not. The first took place in the garden of your mother arranged with the guys from “Tonka Sound System”. We can declare that the official start of your career?
I guess that party was the start of my love of the ‘rave scene’, but not really my career as I wasn’t working there, I was just a wide eyed enthusiast at that point; but that party was definitely the first step on the road to the life I live now.
From that party home you no longer leave Tonka team attending all their party “Tonka at the ZAP”. What caught your interest, your attention?
It was the whole party that interested me. The soundsystem, the music, the people.
You describe the party and also the rave at that time as “rebels, revolutionaries” able to “breaking down social barriers” to “celebrate the music”. Today all the business has been created around the clubbing scene erased these ideals?
Thatcher’s Britain (not unlike Cameron’s now) was pretty dire, and lots of people needed to put some fun back into their lives, and I think that’s one of the reasons the acid house scene really exploded across the UK. Phil Walker who along with Robert Muir ran the Tonka soundsystem told me they started as they “just loved to party and stick two fingers up to the establishment in a benign kind of way”. Another sound system I put a couple parties on with back then was D.I.Y. who had the same kinda idea. Both these sound systems were putting on free parties for the sake of having a good time. It’s not a revolutionary manifesto, just a way of trying to make yours and those around you’s lives better.
Good house music should embrace a broad spectrum of genres, and a good party should embrace a broad spectrum of people. I think as long as these elements are still there, then any party has the ability to break down social barriers.
You’re right, clubbing has turned into big business for a lot of people now, but I don’t think that has negated the revolutionary, inclusive anti-establishment bit. I’d say it was more the other way round, rather than big business crushing the spirit of the free-party, I think the free party spirit has infiltrated big business. There was a point when the Criminal Justice act came in that I thought it would be made illegal to dance in fields. I dance in fields now more now than ever, festivals are everywhere, and the production values has benefited from all the cash flooding into the scene. There’s also a free party scene alive and well in this country, but you don’t see it on TV or read about it on Facebook, because if you did the parties would get shut down. To paraphrase Gil Scott-Heron, the revolution will not be on Facebook.
Harvey was the one who gave you the basics skills of djing by introducing you to this world unknown to you. Remains a reference for you? We can describe him as the only dj who keeps the spirit of Tonka crew around the world till our days?
Harvey was the first person to teach me to mix, and I feel really lucky to have got to hear him so much at Tonka and then Moist, those were some great parties. He’s still my favourite DJ, probably because having heard him so much I know what he can do on a really good night. There are loads of people who are DJing and producing still today who used to go to the Tonka parties; people like the Idjut Boys, Thomas Bullock (Tom Of England), Gerry Rooney (Velvet Season and the Heart Of Gold), Nick the Record, and all the Wicked Crew from San Francisco. I think we all share a similar taste in music because of those times spent together (or maybe we spent those times together because we had a similar taste in music). I’m not sure Harvey would like to be described as keeping the spirit of the Tonka crew alive though, he’s always been forward thinking in his music, Tonka, like Moist and Sarcastic, is just one chapter in his musical history.
Brighton, London, an historic residency in Tokyo for the Lifeforce party and now Bristol, these are the cities that have hosted you over your career. How they affected the actualy Felix Dickinson? Differences?
All these different chapters have had some part in teaching me my craft. The Brighton days were a lot about the free parties, we used to put some great parties on down on Brighton Beach and in warehouses around town. Playing for Lifeforce was very special; I was always able to play a long set, usually between 8 or 10 hours. It’s great as a DJ to get a chance to do that as you can really play many genres throughout the night, from techno to soul. It’s hard sometimes when you’re asked to play for one or two hours to do that without it becoming disjointed. I love all that music, but maybe if you hear me do a really short set you might go away with the misapprehension that I play just acid house, or just disco. Hard to say how the Bristol chapter affects me as a DJ yet as I’ve only been here a short time, but as a DJ who plays in a different city most weekends it’s as good a place as any to live.
For a few years when we talk about electronic music it brings up Berlin, you didn’t find the feeling with this city?
I never really went to Berlin until a couple years ago, in the same way I never went to Ibiza till recently. It’s not that I didn’t like the city, I just didn’t know anyone who lived there, and wasn’t invited to play. I do actually love Berlin, I’ve played a few times for Wilde Renate, and at the Laboratory, and think the place is great.
Find interesting the UK music scene today?
Definitely. I’ve always felt that the UK has a very different and special place on the world music stage. We’re just a small island off the coast of Europe; but as such we’re always looking out, and are a kinda cultural sponge and melting pot for ideas. Musically we get inspired by all that’s going on in Europe and America, and take the best bits of each, and translate or re-invent it. At the moment I think the UK festival scene is really interesting. Funny to think that what 20 years ago the government tried to outlaw has become such a major part of the British cultural landscape, and is being exported round the world with UK festival promoters now organising or curating festivals round the world. I’d say two major examples of this are what Block 9 are doing at Glastonbury festival, their field is really something else and I feel honored and proud to be a part of what that’s become. Also what the Team Love guys are doing with their string of festivals, be it Love Saves The Day in Bristol, or the new Love International Festival in Croatia, it’s exciting to see their events growing and going from strength to strength, and I love being part of it.
You founded the Ugly Music with your friend Tony Lee, the desire was to bring to England the spirit of classics from Detroit and Chicago. Why focused on that kind of sound? It didn’t have the right visibility or pure self-interest?
We both just loved playing the records we’d get from across the Atlantic, so it felt like a natural progression to press and distribute that music for others to enjoy.
Then decided to examine in depth with a trip to America in places where house music was conceived, an experience that gave you the opportunity to learn and interact with other artists. It was critical to your career?
I always recognised America as being the birth place of house music, and seeing as house music was such a part of my life, I felt I needed to see how they did it over there. I organised the trip under the guise of promoting Ugly, and doing some A&R, but along the way got to play at one of the first Burning Man parties in the dessert in Nevada, and visit the Warehouse in Chicago (and come home with about 800 disco records). I made some great friends that trip, and have been going back ever since.
Your second label, Cynic, was born some years after Ugly Music. What are the differences, what you need in this case?
I finished Ugly about the same time as I started producing my own music. To begin with I released music on a couple other labels, I guess because I didn’t have the confidence to put money into my own music and wanted the stamp of approval of another labels A’n’R, but before long I figured with the experience I had of doing Ugly I may as well release my music myself so started Cynic.
Urban Myth, D.Bastedos, Cosmic Malcolm, Foolish Felix, Mr. Fortgetful surely you know these guys … We’re talking about some of your alias. How do you decide what kind of sound productions, give each of them? All of this are required?
Haha, yeah, I used to love an alias. Actually Mr Forgetful isn’t me, I did some records as ‘Foolish, Friendly and Forgetful’ with Nick the Record and Mark Eagling. I was Foolish, Nick: Friendly, and Mark used to always leave his computer round ours after a session, and so was christened forgetful. It’s not so much thinking ‘today I’m gonna make some techno, so I will be Cosmic Malcolm’, rather that I like to collaborate with people, and so would come up with different band names for each different collaboration. I think also when I was putting all my own music out on Cynic, I thought it sounded better if there were different artists rather than, ‘here’s another record from me’. I’m not sure I did myself any favours having so many aliases, so these days try to just stick to using my own name.
You chose to build your new studio in Bristol where you live with your wife. How do you start a new production, looking for inspiration in other artists, songs, others or start from a clear idea, such as “I want to produce a song that sounds so”?
Hmmm, the creative process. It’s kinda a bit different with every track, depending on who I’m collaborating with. When I do the LHAS Inc stuff with Jaime, we just tend to switch the machines on and start jamming, and then there’s usually a point where one of us turns to the other and wants to record what the other is doing. I think that’s one of the reasons I like working with someone else, as when I’m on my own I’m either in performance mode or record mode. I never do my best performances when trying to record, and forget to record when I’m doing the best performances, so it’s good to have someone in there to help. With the Dedication tracks I would always start getting some beat tracks together, and then get the Japanese musicians in to jam. I might have a sound palate ready and a few synths I think would work, but I’ll let the direction of the track be led by the performances I manage to record. When I’m purely on my own, the tracks I make are probably more inspired by some other piece of music. I’ll usually have a riff or rhythm running round my head from something I’ve heard, so I’ll start out trying to play that back, inevitably it never sounds as I intended, but if it can get my head nodding I’ll go with it anyway.
During the years you had the opportunity to be included in the line up of festivals such as Sonar, Glastonbury or Burning Man. Could you please describe your experience at these festivals and the main differences between these?
I’ve loved playing and attending all these festivals, but they’re worlds apart from each other, geographically, musically and their clientele. Location wise they’re all very different; Glastonbury is in a (generally) muddy field, Burning Man in a flat dusty desert, and Sonar, a city. Musically, Glastonbury despite the tickets selling out each year before the line up is announced; always has some mega super bands. Which in turn attracts a lot of people who probably wouldn’t come to hear me or a lot of the DJ’s who play there. So it’s a really great opportunity to play to people who wouldn’t usually come hear me in a nightclub. Glastonbury and Burning Man are probably the two festivals I’ve attended the most. I first went to Glastonbury in 1990, but have been playing there regularly since 2007 when Block 9 started their thing. I used to play for the NYC Downlow, and have now becoming a resident on their Genosys stage. This is probably the highlight of my DJ schedule each year. What Block 9 have done with their field is really awe inspiring, and it feels great to have been there since it’s inception and feel part of their family. I’ve been playing Burning Man since 1996, I’ve missed a few, but still managed to get 15 under my belt, now days I usually play for the Disco Knights camp, which is one of the few camps on site not to play EDM/Dubstep. Last year was the first time I’ve attended or played at Sonar, so I wasn’t quite sure what to expect. I played the day to dusk set in the main outside space, and reckon there must have been about 4,000 people there. I felt as it was a music festival with such a varied line up I could probably get away with playing quite eclectically which suited me down to the ground, I got to play acid, disco, deep shit, techno all in a pretty short set, and seemed to get a really good response from the crowd.
I would like to conclude with a curiosity. Is there a track you thought was an excellent production that later revealed to be disappointing or not appreciated by the public during a dj set?
Hmmm, I can’t really remember the last time I accidentally cleared the dance floor, although I definitely have in the past. I think I’ve got the knack of picking the right records now. Releasing records might be a different matter, sometimes I can be surprised that a release won’t sell as many as I’d expect, ‘Losing my Innocence’ on Cynic didn’t sell as many as I hoped; maybe that’s a sign I shouldn’t sing on my own records.[/tab]
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