“Orgoglio“? Sì, non è una parola eccessiva. Node è veramente uno di quegli eventi di cui andare orgogliosi. Se la scena della musica italiana – intrecciata o non intrecciata con quella del clubbing – sa presentarsi nella forma migliore e può fare da esempio reale, è grazie a un festival come Node. Non è un claim pubblicitario o una bella frase messa lì tanto per dire: ci sono un po’ di motivi specifici che ci fanno affermare con grande convinzione tutto questo. Prima di tutto il fatto che sia un festival “nato dal basso”, ovvero con la sola forza dell’entusiasmo e della competenza di un pugno di appassionati, e che questo “basso” abbia agito già da giovanissimo – la prima edizione è infatti del 2008, e un po’ tutti ci chiedevamo “Ma chi diavolo sono questi che spuntano così dal nulla e fanno una cosa così figa?“. Sì: il panorama della musica elettronica “alta” in Italia era bloccato (ora per fortuna lo è di meno). In qualche modo ci si conosceva un po’ tutti, e facevi fatica ad immaginare che dei ventenni che mai avevi sentito nominare mettessero in piedi qualcosa di così ben pensato, ben strutturato.
Ma non solo: Node fin da subito è andato ad agire in una venue cruciale. Cruciale non per la musica, ma per la vita della città che ospita il festival, volendo quindi stare “dentro alle cose”: Palazzo Santa Margherita infatti, i modenesi lo sanno, grazie alla presenza della Biblioteca Civica – ai suoi albori un’eccellenza italiana, per usabilità e impatto sulla città. Node è andato a portare lì nomi, suoni ed esperienza multimediali raffinatissime: di quell’edizione ricordiamo Alva Noto (aka Carsten Nicolai), ricordiamo i sempre bravissimi Retina.it, ricordiamo pure un nome che avrebbe meritato e meriterebbe molto di più, Marsen Jules. Onestamente: difficile partire meglio, in un equilibrio intelligente ricerca, suggestione ed accessibilità.
Tutta questa qualità si è ripetuta edizione dopo edizione. E si è ripetuta anche grazie ad una scelta non facile: non ogni anno il festival si è svolto. Niente Node nel 2015, nel 2017, nel 2019 e 2020. Segno di una cura e di un amore che ti porta a fare le cose, ad andare avanti solo se sai che puoi permetterti di fare le cose per bene. Non è questione di gigantismi, di grandi guadagni: è questione che un ambiente delicato e sofisticato come quello dell’elettronica “alta” (ma attenzione: non per questo noioso ed elitario, ricordiamo la scelta di stare “dentro le cose”) ha bisogno dell’ecosistema giusto per vivere. Una sensibilità che in Node è da sempre una stella polare.
Poi, quando ci si muove, lo si fa sempre benissimo. E così è anche quest’anno: a partire da oggi, con una iniziale due giorni al Teatro Storchi (altro storico “cuore culturale” cittadino, di solito mai appaltato all’elettronica), con ospiti di qualità suprema – e ben celebrata – come Stephen O’Malley e Roly Porter, ma anche progetti più ricercati e meno “pop” (per quanto “pop” possa essere l’elettronica che non guarda per forza ai dancefloor ma più alla sfida, alla sperimentazione) o più legati alla multimedialità (vedi alla voce Quayola). Il 9 dicembre ci si sposta al Cinema Astra, e arriva lo strepitoso “CBM 8032 AV” di Robert Henke, un display di creatività retrofuturisa che ha dell’incredibile. Chiusura “mistica” infne alla Chiesa di Gesù Redentore il 10 dicembre, con Maria W Horn che dispiega la creatività su un “Dies Irae” affidato ad un quartetto vocale e, ovviamente, a vari trattamenti digitali.
Il programma completo – molte sono le cose in ballo oltre a quelle nominate – lo potete scoprire qui. I biglietti li potete acquistare qui. Di sicuro, se potete fare un salto a Modena – o se siete già lì – potete godervi da oggi fino a venerdì uno dei festival più raffinati, calibrati, interessanti d’Italia. E sì, dobbiamo davvero tutti essere orgogliosi di avere in Italia chi s’inventa, cura e porta avanti un festival come Node: quando la sperimentazione incontra la vita vera, incontra la gente – e la porta in luoghi che non s’aspetta. Dopo due anni di pausa, siamo felicissimi di dargli il bentornato. Fatelo anche voi: e ci ringrazierete tantissimo per il consiglio.
(Nell’immagine: Stephen O’Malley nel progetto a due con François Bonnot, uno degli highlight dell’edizione 2021)