Oggi è un giorno decisivo: la questione della riapertura delle discoteche sarà finalmente discussa all’interno del Governo per arrivare (sperabilmente…) a figliare una decisione definitiva, con una road map operativa precisa; anzi, magari quando leggerete queste righe già si saprà come, se e quando si riapre per tutto ciò che è intrattenimento “non seduto” (al momento il toto-riapertura parla di primi di luglio, niente distanziamenti, forse anche niente mascherine, capienze ridotte).
Una cosa però è certa: anche se le cose andassero nel migliore dei modi – inteso: il più permissivo ed aperturista – fino all’ultimo abbiamo assistito a cose che lasciano un po’ l’amaro in bocca. Ad esempio, la beffa per cui Speranza ha dato il via libera alle feste private (e senza limiti di presenti…) prima di concederlo a discoteche e similari. Sinceramente lascia un po’ l’amaro in bocca anche il fatto che solo dopo che il SILB ha fatto la “piazzata” improvvisamente la pratica si sia sbloccata, e venga finalmente presa in considerazione agli organi più alti: ricorda tanto la situazione qualche mese fa degli esercenti, le cui esigenze divennero centrali & urgenti nei fatti solo dopo i cortei violenti di Napoli e non solo. Risultato? Il sospetto fondato che in Italia puoi essere preso in considerazione solo se sei già privilegiato in partenza, oppure alzi la voce e pesti i piedi con violenza, con populismo. Non è un bel vedere, sinceramente, perché in questo modo chi invita alla calma, alla ragionevolezza ed alla civiltà passa più o meno per pirla, mourinhanamante detto, dando fuoco al succitato populsimo. Però oh, come dire?, a questo punto ci si adegua e si prende atto…
Nella corsa al ribasso, in Italia, siamo (troppo) spesso e volentieri campioni del mondo: ed esultiamo pure, nell’esserlo
Ad ogni modo tutto questo brigare e discutere per le riaperture del ballo sta già arrivando troppo tardi. E il termometro perfetto è San Marino, con in prima linea il Segretario di Stato Federico Pedini Amati, nella sua joint venture con Tito Pinton, Giuseppe Cipriani e Musica Riccione. Ve lo ricorderete: più volte San Marino ha “forzato la mano” o almeno dichiarato di volerlo fare, a norma di legge (è a tutti gli effetti uno stato indipendente); e ad un certo punto sono dovute arrivare anche ambasciate molto dall’alto per bloccare degli eventi, vedi Halloween 2020, per cui pare che direttamente da Roma siano arrivate delle telefonate per dire “Raga, anche no” – evidentemente molto convincenti, visto che l’annunciato evento di Halloween 2020 alla fine non si fece.
Ora San Marino ci riprova, il 19 giugno con The Vibe Is On, e nessuna interurbana telefonica di provenienza capitolina sta arrivando. E meno male. Ben venga infatti che almeno San Marino, su input pinton-ciprianico, renda possibile quello che è già stato fatto altrove in Europa, e pure già da molte settimane se non mesi, mica solo ieri: un evento-test, con regole ben precise. L’ha fatto la Spagna, l’ha fatto l’Olanda, l’ha fatto l’Inghilterra, l’hanno fatto anche altrove (…anche un po’ alla kamikaze, vedi Russia). In Italia? Nulla. Eppure c’è un preciso protocollo – stipulato dal SILB con CFC ed altre realtà, e controfirmato da luminari acclarati come il professor Lopalco – che è pronto da mesi. Letteralmente da mesi. All’inizio ha incontrato anche qualche resistenza interna, tra gli operatori stessi del mondo notturno e del ballo, quindi per questo è stato proposto un po’ in ritardo alle più alte sfere: il fatto di prevedere una operatività fatta di controlli all’ingresso, di obbligo di prevendita, di necessità per la clientela di essere tamponata o vaccinata ha fatto dire soprattutto ai pesci più piccoli del settore “Ma no, ma come, ma così possono operare solo i grandi, così costa tutto troppo, no, non si può fare: stiamo chiusi finché non si riapre tutto per davvero… e nel frattempo dateci i soldi, piuttosto”. Giudicatela come preferite, questa posizione, anche quando magari viene ammantata di fiere striature idealiste (“Il vero clubbing non deve avere controlli!”), perché accade anche questo, però ecco sappiate che le sperimentazioni in Italia sono state bloccate non solo dalla inefficacia del Governo, ma anche da posizioni/opposizioni “interne”. Parere personale: una miopia del genere, combinata ad egoismo, è raro vederla. Siamo tutti d’accordo che regolarsi su protocolli anti-Covid sia in un modo o nell’altro una spesa extra piuttosto pesante, così come siamo d’accordo che il vero clubbing non ha mascherine ed obblighi di tamponi o vaccini all’ingresso; ma qui un prezzo lo hanno pagato tutti, per ripartire. Tutti i settori. Siamo in una pandemia, non in una sciarada.
Ma a parte questo, e una volta superate le resistenze “interne”, l’atteggiamento alle più alte sfere politiche nei confronti del mondo del ballo è stato effettivamente quello dello struzzo, o del voltarsi dall’altra parte fischiettando, o anche peggio un po’ della presa in giro. D’altro canto se uno dei più possibilisti e collaborativi ovvero il Sottosegretario alla Salute Costa dichiara tranquillamente “Si può fare la differenza tra sale di ballo e discoteche: chi balla il liscio con un partner probabilmente potrebbe essere trattato in maniera diversa da chi si ritrova a ballare attaccato in discoteca”, potete ben capire qualche clima si respiri, lì in alto, lì dove si decide. Un divertimento “giovane” (…giovane col cazzo, peraltro: ormai in discoteca a ballare house e techno ci vanno cinquantenni e sessantenni) in Italia viene ancora visto come una bestia incontrollabile, un potenziale problema di ordine pubblico, una faccenda scomoda di cui non occuparsi per non “sporcarsi”. E questo l’abbiamo già scritto altre volte, chi segue queste pagine lo sa, ma non ci stancheremo mai di scriverlo di nuovo e di nuovo ancora: il retrogusto di moralismo benpensante, per cui una società deve mettere al primo posto la routine luterana lavoro-casa e deve sottilmente disprezzare tutto ciò che ne esula, ha francamente stufato – e stiamo usando un’espressione che è un compassato eufemismo. Anche perché questo approccio è solo l’ennesimo segnale di una società vecchia nella visione e vecchia nello spirito, incapace di cogliere le dinamicità sociali e, di conseguenza, pure quelle economiche e di sviluppo (…le città con la vita notturna e culturale migliore sono infatti quelle che attirano più forza di lavoro qualificata: ma tu pensa, chi l’avrebbe mai detto).
Che tutto questo ce lo debba spiegare San Marino, è avvilente. Loro che un turismo “giovane” sia una risorsa e un investimento per il futuro l’hanno capito eccome. Bravi a San Marino, per carità; e bravi tutti quelli che si sono mossi per organizzare l’evento del 19 giugno e renderlo possibile. Bravi davvero. La loro lotta e il loro impegno poi come sempre saranno usati da tutti gli altri, nel momento in cui si capirà che tenere tutto fermo inizia a diventare una posizione poco giustificabile e poco sensata dati alla mano. Ti poni un rischio agendo ed organizzando, certo, ma il rischio se l’era posto anche Draghi – con le sue riaperture “controllate” – e francamente non c’è stata l’estinzione dell’umanità che più d’uno profetizzava, magari soprattutto dopo le adunate pedatorie del 3 maggio (…sì, perché se esulti per il calcio te la meriti l’estinzione, no?, invece di pensare solo a lavorare e fatturare, e pazienza se si è capito che il Covid colpisce sia chi scorrazza per strada con un drink o un bandiera in mano sia chi sciama quotidianamente a lavorare, anzi, questi ultimi forse pure di più). Lo diciamo di nuovo, lo diciamo per la millesima volta: dobbiamo strappare sempre più terreno al virus, combattendo, cercando sempre la mossa giusta per guadagnare posizioni. In una lotta senza certezze, non facile, non semplice, dove si può anche sbagliare, ma l’obiettivo deve essere tornare alla piena normalità, non chiudersi in un bunker sterilizzato ed incazzoso finché non passa il Coronavirus.
Bravi a San Marino, bravi a Musica Riccione allora. Peccato però che sulla torta invece della ciliegina ci sia alla fine un po’, mmmmh, una cosa che fa un po’ cascare le braccia. Ok, basta togliere la crosta sopra e la torta resta buona (tradotto: quel che conta è farle, le cose, il resto viene dopo o peggio ancora sono solo chiacchiere), per carità; ma vedere campeggiare il nome di Sven Väth per questo evento così importante e così simbolico nel settare le cose nella direzione giusta dando il “la” alla prospettiva di riaperture, beh, lascia l’amaro in bocca. Non lo nascondiamo. Non nascondiamo la polvere sotto il tappeto, parlandoci qui fra noialtri del clubbing. Non facciamolo.
Nulla contro Sven, per carità, che tra l’altro negli ultimi anni è pure tornato parecchio in forma musicalmente, ma il punto è: che, c’è solo lui? Gli altri hanno dimenticato di fare i dj, si sono dati all’ippica o alla meditazione buddista? Nella scorsa estate è stato uno dei pochissimi che in Italia ha suonato, decentemente pagato, e pure in più di un posto (…e questo se lo ricordano eccome anche le casalinghe di Voghera, visto che era diventato il nome attorno a cui ruotava l’infausta puntata di Report che tanto approssimativamente aveva montato un caso attorno alle discoteche). Cosa rappresenta, Sven? Per quale motivo si va sempre lui? Forse per il caro, vecchio motivo per cui “…riempie”, che è poi il motivo per cui nel clubbing negli ultimi quindici anni è diventato tutto una messa cantata preconfezionata, messa in cui suonano i soliti noti spinti dalle solite agenzie e coi soliti ottimi manager e social media manager a libro paga?
Già. Perché se già hai avuto il coraggio, la lungimiranza e la forza di arrivare lì dove tutti non sono riusciti ad arrivare (in primis lo Stato, tanto per partire dall’alto), perché allora non hai percorso pure quell’”ultimo miglio” in quanto a coraggio e non ti sei inventato qualcosa di più simbolico, stimolante e particolare da mettere in line up tra gli headliner? E’ tanto difficile? E la risposta per caso è “Ma se vuoi fare 3000 persone, puoi mettere solo cose come Sven”? In un regime normale di mercato e di operatività, magari è vero che solo con Sven e similari puoi fare 3000 persone (non sempre, però; e/o non sempre guadagnandoci, a fronte delle spese di produzione). Qui, il 19 giugno, in un evento così unico e così speciale, non è però detto che sia così. Per nulla. Poteva essere un bel segnale usare questo appuntamento per dire che il clubbing italiano – in un luogo così simbolico come la Riviera – si riprende, tra le altre cose, anche uno scettro di personalità ed originalità. Diverse le soluzioni possibili che si potevano immaginare: una line up solo italiana, oppure una line up straniera ma con un principio da “curatela” (…che è quello che ha fatto grande internazionalmente una realtà italianissima come il Circoloco, che ha alzato il livello e il profilo vertiginosamente proprio quando ha capito che la qualità della musica conta prima ancora del nome giga-famoso), oppure una line up che racconti una storia (…e non intendiamo solo operazioni-nostalgia, rispolverando vecchi arnesi della console: poteva anche essere una line up di sole donne, di sola gente del territorio, di resident di vari club italiani sparsi per la Penisola).
Nulla contro Sven, per carità, che tra l’altro negli ultimi anni è pure tornato parecchio in forma musicalmente, ma il punto è: che, c’è solo lui?
Tutte queste cose potevano essere fatte. Sarebbe stato un “passo in più” meraviglioso, da zittire tutti. E invece, no. E invece, si parte sempre dal presupposto – magari pure corretto, boh – che il pubblico è “bue” e vuole sempre la stessa biada; così come si parte sempre dal presupposto che un evento conti davvero solo quando mette in cartellone i “soliti” nomi che ormai suonano nei “soliti” posti, tutto per sfoggiare di appartenere ad una specie di ecosistema dei “ricchi&potenti” del mondo del dancefloorismo, ecosistema che alla fine in ultima analisi serve soprattutto ad una cosa: ingrassare i profitti delle grandi agenzie di booking europee ed americane. Quelle che ci godono – e ci guadagnano – a gonfiare prezzi, e scatenare aste.
Nell’agire così, nel non cogliere cioè le occasioni del “passo in più”, diamo più margini di manovra agli Speranza e Franceschini di tutto il Belpaese che trattano il comparto della notte come una consorteria di arroganti ed un po’ miopi giostrai/faccendieri 2.0, che guadagnano sulle debolezze, sulla superficialità e sulla stupidità della clientela di riferimento. Ed è chiaro che, vedendo le istituzioni e l’opinione pubblica così il comparto, alla fine si è sempre un po’ figli (tamarri) della serva, e si viene considerati per ultimi (e pure un po’ da “indesiderati”).
Attenzione. Non è questione di fare i fighetti culturali e di mettere headliner Lorenzo Senni, Caterina Barbieri e Camilla Pisani in un evento così, e di farlo per contrapporsi al “degrado culturale” rappresentato dai bufali pedalatori e dagli sciabolanti scamiciati. Non è questo il punto. Né deve esserlo. Esistono piuttosto linee d’equilibrio meno polarizzate – e più narrativamente interessanti, sfaccettate – che andrebbero invece percorse con convinzione ed interesse, di modo da avere poi una ricaduta positiva sia per sé che per tutto l’ecosistema a cui si appartiene. Ma nulla, questa cosa dell’”ecosistema” ancora fatica ad entrare in testa: è sempre un po’ troppo ognun per sé. Così alla fine si fa l’asta per avere Sven da una parte o dall’altra, no? Col risultato inevitabile che l’anno dopo Sven chiederà ancora più soldi, per andare di qua o di là, in una infinita corsa al rialzo in cui Sven è sempre Sven, la Riviera è sempre la Riviera e chi organizza è, invece, sempre più a rischio e ricattabile sia ai piani alti che a quelli bassi della piramide alimentare di settore (…per motivi ovviamente differenti ma, in entrambi i casi, riconducibili al fatto di avere meno in mano il proprio destino ed avere rinunciato ad “educare” e far evolvere il proprio target trovando il compromesso fra novità, spettacolarità, ricerca, sicurezza del risultato).
Quindi ecco, ci sentiamo di dirlo davvero: finché c’è Sven, c’è Speranza. Ovvero: finché ci attacchiamo troppo a Sven come headliner “necessario”, lo Speranza di turno potrà sempre facilmente considerarci non indispensabili, non utili, non strategici, non prioritari.
…ovvero, gente che puoi tenere in anticamera, fuori dalla stanza dei bottoni e delle prebende, perché in fondo non è troppo furba e pensa solo a farsi le guerrette o le messe cantate costruite per spolpare un pubblico che, proprio da questi stessi imprenditori stessi del settore, è visto come ottuso, manovrabile, di bocca buona. Nella corsa al ribasso, in Italia, siamo (troppo) spesso e volentieri campioni del mondo. Ed esultiamo pure.