Riprende il nostro viaggio fra le collaborazioni che hanno arricchito “La commedia” de Il Quadro Di Troisi. Dopo Francesco Messina, Tommaso Cappellato e Stefano Di Trapani è il momento di passare ad Aimée Portioli, in arte Grand River. Italo-olandese, ma berlinese acquisita da ormai un po’ di anni, è uno di quei nomi preziosi in cui ci si imbatte molto facilmente se si percorrono i sentieri dell’elettronica più sperimentale ed al tempo stesso emotiva, elegante, immaginifica. Senza tanto clamore, e con la sola forza del talento, ha raggiunto una dimensione internazionale. Peraltro proprio Donato Dozzy, assieme all’amico e socio Neel, fu uno dei primi ad accorgersi del talento di Aimée: l’esordio discografico di Grand River avvenne infatti sulla label Spazio Disponibile. Da lì in poi i percorsi e le affinità lavorative ed umane tra lei e Donato sono rimasti sostanziosi: naturalmente, organicamente, con una bellissima calibratura. Questa chiacchierata che ci siamo fatti parlando de “La commedia”, ma non solo, lo dimostra in maniera perfetta.
(Grand River in un ritratto di Maria Louceiro; continua sotto)
Allora Aimée, andando subito al punto: come sei finita a far parte della “Commedia”?
Beh, avevo già partecipato al primo album del Quadro Di Troisi. E stiamo parlando ormai di un po’ di tempo fa. Ma in realtà Donato lo conoscevo da molto prima: il mio primo EP era uscito proprio sulla label sua e di Neel, Spazio Disponibile, e stiamo parlando del 2017. Considera che era già almeno un anno che eravamo in contatto, parlando di musica, di lavoro, quindi almeno dal 2016. Nemmeno mi ricordo quando per la prima volta si è parlato di coinvolgermi nel Quadro, per dare qualche piccolo contributo esterno: per il primo album avevo suonato due strumenti diversi, nella “Commedia” ho messo invece delle parti di synth. Ecco, una cosa bella di Donato è che è sempre molto preciso e rispettoso nell’usare delle parti altrui per i suoi progetti. Mette sempre una bellissima delicatezza.
Quando tu e lui vi siete conosciuti eravate entrambi berlinesi di residenza? A occhio sì, se il calendario e la memoria non mi ingannano…
No, no. Lui era già tornato a Roma. Ci eravamo effettivamente incontrati di persona per la prima volta a Berlino, vero, ma lui era già di nuovo residente in Italia. E comunque era già da un po’ che ci stavamo sentendo via mail.
Per motivi musicali già concreti e specifici?
Sì. Si parlava già appunto della produzione del mio EP.
(eccolo, “Crescente”; continua sotto)
Che idea avevi di Donato, prima di conoscerlo di persona? Perché lui comunque ha un certo tipo di carisma e di autorevolezza, che spesso lo precede; al tempo stesso, è anche una persona che ha avuto artisticamente più vite – prime le residenze “eclettiche” al Branca, poi il trasferimento a Berlino, con produzioni anche piuttosto diverse stilisticamente ma comunque rigorose, e comunque un profilo via via sempre più alto e più ricercato come dj.
Ovviamente lo conoscevo sia per le produzioni che per il suo essere dj. Non potevo non ammirarlo, come non potevo non ammirare il lavoro fatto su Spazio Disponibile con Neel. Il lato da dj era quello che conoscevo di meno, ammetto, ma questo perché io di mio non è che sia una grande party-goer quindi capisci… (risate, ndi) È stato comunque un processo molto naturale. Abbiamo iniziato a parlare di musica, di lavoro quindi, e poi piano piano siamo diventati amici. Nel frattempo poi succedeva pure questa cosa bella: senza che noi facessimo nulla o quasi per farlo accadere, spesso finivamo coinvolti nelle stesse cose. Cosa che succede tuttora. Che ne so: or ora sia lui che io siamo stati chiamati a fare dei rework per la stessa etichetta olandese, ma anche in passato, per dire, penso quando al Barbican a Londra c’erano lui e Neel da un lato ma dall’altro in line up c’ero pure io. Un momento importante è pure quando ci siamo ritrovati assieme in Giappone, al Labyrinth, che già è una esperienza forte di suo, ma quell’anno per giunta c’era stato il tifone che aveva bloccato tutto facendo finire tutto e tutti in emergenza… È molto bello avere a che fare con Donato. Con lui è possibile avere bellissime conversazioni, anche perché tra l’altro non è uno che mette una distanza tra sé e le altre persone. Diventare amici con lui è un processo spontaneo.
Ecco, hai menzionato il Labyrinth, il Barbican… Domanda scomoda: ok il talento, ma quanto è necessario sapersi gestire ed essere strategici per raggiungere delle tappe importanti nello sviluppo della propria carriera? Fino a che punto oggi è uno skill decisivo, ineludibile?
Che dire… Sicuramente, tutti quanto ci ritroviamo a fare delle scelte strategiche: perché se hai un’agenzia di booking, di management, comunque devi fare delle scelte su tutta una serie di cose, è inevitabile, e sono scelte comunque oggettivamente strategiche. Cerchi di farle in maniera sensata e non a caso. Sono convinta che ci siano persone che sono proprio più portate ad effettuare scelte strategiche, a costruire dei piani: è qualcosa che gli piace, qualcuno per cui sono magari portati di loro. Ma al tempo stesso, che sia tu a farlo o che abbia delegato ad altri, devi sempre ricordare quanto il nostro mondo e il nostro contesto sia imprevedibile. Poi chiaro, specifichiamo: io per prima sono convinta che la musica venga prima della strategia. Puoi essere il miglior stratega del mondo, ma se non hai delle qualità artistiche che ti sostengano cosa resta? Fino a quanto puoi durare? È però difficile seguire certe cose, certi aspetti complementari. Porta via molte energie. Pensa che ne so al rapporto con le label: loro giustamente hanno le loro esigenze, le loro necessità, i loro calendari… e per te musicista ogni tanto questo può essere molto, molto faticoso da capire, perché tu nel tuo disco hai investito tutto emotivamente, fai fatica a concepire che ci possano essere fattori esterni che ne influenzino la vita. Il punto, in generale, è che il lavoro di un musicista è un po’ come stare sulle montagne russe: una priorità assoluta è imparare a gestire le curve. Vale per i musicisti, vale in generale per chiunque faccia un lavoro creativo. Bisogna cioè imparare ad essere flessibili. Io sono molto contenta del percorso che ho fatto finora, e sono molto curiosa di vedere che altro mi aspetta in futuro. Questo sì. Voglio essere sempre viva, attiva. E la miglior assicurazione sul fatto che lo faccia nel modo giusto è tenere sempre il focus sul contenuto, sulla musica, più che su tutto il resto.
Trovo che il Quadro e in particolar modo “La commedia” siano qualcosa di per certi versi molto pop. Sentendo il disco, ti è venuta la tentazione di misurarti col pop anche tu?
Beh, in passato facevo musica molto vicina al folk e al pop… Quando ero adolescente suonavo in una band, cantavo, il mio percorso iniziale da musicista è molto legato alla forma-canzone. Oggi però non è una dimensione a cui abbia tanta voglia di riavvicinarmi. E non perché non la consideri valida, o importante. Anzi: trovo che cantare sia un modo incredibilmente personale di esprimersi, ti esponi molto più direttamente e senza filtri che facendo musica strumentale. Chissà, forse ho scelto da tempo la via più strumentale proprio per avere più conforto, sentirmi più al sicuro… È anche vero tuttavia che negli ultimi anni molti dj e producer hanno provato ad avvicinarsi al pop: ma magari per scelta strategica più che per esigenza personale.
(continua sotto)
Tu musicalmente dove stai andando?
Non sono una di quelle musiciste che si ripete, che segue sempre la stessa identica formula. D’altro canto ogni giorno che passa non siamo più la persona che eravamo il giorno prima, no? Al tempo stesso, credo sia comunque possibile individuare i miei riferimenti e i confini del mondo sonoro entro cui mi trovo a mio agio – confini peraltro sempre fluidi, se necessario. Il disco fatto uscire a febbraio 2023 è sotto certi punti di vista, riprendendo la questione di prima, molto pop per i miei standard; ma nulla vieta che quello successivo invece sia molto più sperimentale, più dilatato, più droneggiante. La cosa più bella però sai qual è? Che questa scelta dipende solo ed esclusivamente da me.
In tutto questo, quanto è stato importante trasferirsi all’estero, a Berlino?
Sai che non lo so? Io a Berlino mi ci sono effettivamente trasferita, e sono contenta di averlo fatto, contenta del percorso che ho creato. Il mio “lavoro” è nato qui: faccio musica come ti dicevo fin da quando ero ragazzina, vero, ma la mia vera identità professionale l’ho trovata stando qui a Berlino, non altrove. Verrebbe allora da dire “Sì, è servito trasferirsi a Berlino…”: però che ne so che magari non sarebbe successo lo stesso fossi rimasta in Italia? È vero che qui è tutto un po’ più facile: perché è più semplice incontrare e legare con certe persone, è più facile entrare in contatto con agenzie ed etichette, e anche se le suddette agenzie ed etichetta non hanno sede qui per un motivo o per l’altro comunque di qui ci passano. Indubbio. Ma ci tengo a dire che io non ero fuggita dall’Italia pensando che se ci fossi rimasta non avrei trovato sbocchi: no, mi sono trasferita a Berlino semplicemente perché volevo un cambiamento. Volevo provare qualcosa di diverso.