Non è certo la questione più importante, oggi come oggi; ma non è nemmeno una questione secondaria – come abbiamo più volte scritto nei giorni passati. La cultura è importante. Anche la “nostra” cultura (musica, clubbing…) lo è, e pure qui ci siamo sempre orgogliosamente spesi parecchio, confortati anche da dati e fatti concreti. In tempi di isolamento forzato, di venue e club chiusi, di contatti sociali ridotti al minimo, la cultura si trasforma da collante (e facilitatore) sociale a strategia di resistenza: tenere in vita la propria voce artistica, tenere in vita rapporti di condivisione, tenere in vita una rete di relazioni e – perché no – di imprese che fino a nuove evoluzioni del corso delle cose sono, per legge e necessità, impossibilitati ad esserci. Una trasformazione non da poco. Una trasformazione che ci può anche spingere a qualche interrogativo, con risposte che potrebbero venirci buone (anche) per eventuali scenari futuri.
L’attenzione e gli sforzi si riversano infatti ora sull’on line. Ve ne sarete accorti, e se non ve ne siete accorti fatelo: lì fuori, sul web, iniziano a fioccare le iniziative. Dall’esperienza di Spread Good Vibes (generata dal “nostro” Mirko Carera insieme a Chiara Longo), spontanea e spontaneista, a cose più strutturate come le dirette del Tempio Del Futuro Perduto o quelle di Minù dal Circolo degli Illuminati targate House Delivery, arrivando poi a quelle dei singoli dj (citiamo ad esempio Luca Agnelli sabato 14 marzo alle 23, o l’interessante esperimento di playlist collaborativa di Luca Guerrieri); senza contare che molto bolle in pentola, e ci sta parlando parecchio tra operatori per fare qualcosa di unitario – nei prossimi giorni potreste avere notizie. Non è ovviamente una cosa che riguarda solo il clubbing: di nuovo per fare un esempio fra tanti, sintonizzatevi per dire su quello che farà stasera mercoledì 11 marzo 42 Records su Spreaker (anche qui di mezzo il “nostro” Emiliano Colasanti).
In generale, tutta una serie di energie si è (giocoforza) riversata sul web. Temporaneamente, unica opzione. Comunque, un modo per sentirsi ancora vivi, attivi, propositivi, pronti ad esserci – nella vita reale allora come, ora, in quella virtuale. Tutto questo si è intersecato in qualche maniera col percorso di Pøgo Productions, una delle diramazioni del Music Innovation Hub milanese con sede a BASE (deus ex machina Dino Lupelli, già co-fondatore di Elita e Linecheck): prima hanno dato vita – quando ancora la serrata sembrava temporanea – a Milano Suona Ancora, inizialmente maratona on line di 10 ore con vari attori del clubbing cittadino sotto il patrocinio anche di Zero, ora hanno rilanciato la sfida. Lupelli lo dice chiaramente, quando ha modo di parlare con le persone o aggiorna i suoi social network personali: è diventato vitale iniziare ad estrarre valore (ovvero: guadagnare soldi) dalla musica che viene messa on line. E’ ora cioè di introdurre il principio del Pay Per View anche per la musica live e il clubbing, evitando di riversare tonnellate e tonnellate di materiale gratuito che, alla fine, fa guadagnare solo ed unicamente i Facebook di turno che di soldi, come dire, ne stanno raccogliendo già abbastanza.
Il ragionamento di base è giusto: nel momento in cui l’on line sta diventando davvero non più un vezzo eccentrico ma un banale mezzo di di vita quotidiana, non bisogna farsi cogliere impreparati e bisogna imparare a dare valore anche a quello che vi troviamo dentro: se siamo fruitori di un bene artistico dobbiamo pagare (esattamente come ci pare normale pagare i dischi o i concerti o i vestiti o il cibo), se ne siamo artefici è giusto che veniamo retribuiti almeno in misura minima (visto che stiamo dando valore aggiunto sia a chi ci ascolta che a chi ci ospita come piattaforma). Pøgo poi si spinge ancora oltre, immaginando un futuro non troppo remoto in cui sia possibile pensare ad una vera e proprio produzione di eventi live a tutto tondo pensata in primis per il web e che dalla circuitazione web deve trarre il suo sostentamento. La domanda che pone a tutti Lupelli, in questa bella intervista uscita su Rockit è: “Se sei disposto a comprare un biglietto per andare a un concerto, perché non dovresti pagare anche per vedere un concerto in streaming, direttamente da casa tua?”.
Portare l’esperienza del clubbing (e/o del live) sullo schermo di un monitor e, di conseguenza, a casa propria – o ovunque si stia: bello? Sì. Ma anche un po’ no…
E’ una domanda interessante. Come in ogni domanda interessante, la risposta non è semplice. Perché di primo acchito ti verrebbe da rispondere “Cazzo, sì, è giusto!”, ti viene da plaudere in maniera incondizionata all’iniziativa (e ad essere contento che ci sia stato l’aiuto anche di parti terze come Nastro Azzurro e la Fondazione Cariplo che, racconta Lupelli, hanno messo a disposizione “…12.000 euro a favore della filiera musicale e dei promoter”). Ti verrebbe sullo slancio anche da dire a tutti coloro che ora stanno riversando la propria musica e i propri dj set in rete “Fermatevi, organizzatevi prima, rendete on demand quanto state buttando in rete, ora che in queste settimane non avete altra forma di guadagno sarebbe vitale farlo, oltre che per il principio in sé”.
Facciamo un passo indietro. Boiler Room. Bene: ormai è un fenomeno che abbiamo “digerito” tutti (anzi, ormai qualcuno si è pure stufato, con l’effetto collaterale non buono che si sta perdendo un bel po’ di cose interessanti che il team dietro alla BR ha portato avanti nell’ultimo periodo), ma per un sacco di tempo andavano tutti pazzi per essa. Migliaia e migliaia, anzi, milioni e milioni di visualizzazioni on line; attesa messianica attorno alla “prima Boiler Room” nel proprio paese (vi ricordate in Italia che can can?). Ci sono state poi varie filiazioni (una locale, molto carina, fu 180 Grammi), altre sicuramente ne arriveranno, più d’una saranno interessanti, il concetto comunque focale è: portare l’esperienza del clubbing (e/o del live) sullo schermo di un monitor e, di conseguenza, a casa propria – o ovunque si stia.
Bello? Sì, ma anche un po’ no. Bello perché comunque serve ad immettere bella musica, begli entusiasmi, bei contenuti all’interno del web – tiriamo un sospiro di sollievo ogni volta che vediamo condivisa una Boiler Room e non qualche sito cospirazionista del cazzo stipendiato segretamente da Putin a cui gli italiani spesso cadono come allocchi. Un po’ meno bello però che passi questa convinzione per cui la musica in versione dj set nei club o live su un palco possa essere fruita, con sufficiente soddisfazione, anche in una dimensione da laptop. Non è così.
Prendiamo a prestito il claim che usano i nostri amici di Fat Fat Fat Festival: “You can’t download the experience”. Ci sono alcune cose che non possono e non devono essere considerate come “buone anche per il web”: il web è un succedaneo. Soprattutto per il clubbing. Già perdiamo troppo tempo a fissare la console e il dj invece di concentrarci sul ballo, sul flusso del ritmo, su sapori, odori, bellezze e sorrisi di chi ci balla attorno o, altra faccia della medaglia, quando siamo in un club spendiamo più tempo con lo smartphone in mano che con le emozioni più istintive accese; figuriamoci se inizia a passare questa linea per cui il clubbing on line può essere una nuova linea di business, se ascoltare il dj set di questo o quello attraverso il proprio monitor e le casse o il jack cuffie del proprio laptop può essere una esperienza sufficiente. Nessuno ha mai provato in passato a dire che la radio può sostituire il clubbing (al massimo, era la radio che ci andava a ruota: quanti di voi sono cresciuti con le dirette dalle discoteche il sabato sera o la domenica pomeriggio, sulle varie FM più o meno locali?). La radio può servire come sottofondo, come accompagnamento o come approfondimento – in caso di interviste – su alcuni artisti ed alcune tematiche. Non iniziamo noi a farlo adesso con la scusa dell’on line. Una Boiler Room, per quanto bella e con artisti fighi (e la crew di BR è semplicemente strepitosa nel tenere sempre in alto l’asticella della qualità, ora più ancora di quando era di moda e la volevano tutti) non sarà mai all’altezza di una serata nel vostro club preferito. Mettiamocelo in testa.
Certo: soprattutto nel caso dei concerti più che dei dj set, si può pensare a qualcosa ad hoc, ad una produzione “in vitro” pensata per il pubblico dei fruitori on line, diventando così un prodotto a sé. Speriamo però che sia sempre un’eccezione e non la regola. Perché se è vero che nei concerti spesso quello che ti sta accanto non si è lavato le ascelle, quello che ti sta davanti è troppo alto, quello che ti sta dietro continua a parlare, l’emozione di suoni, sapori, voci, fisicità è, resta e resterà qualcosa di unico e non replicabile nemmeno dalla migliore e più curata delle dirette on line. Ce ne stiamo accorgendo indirettamente anche ora col calcio e i vari eventi sportivi: quanto sono tristi, a porte chiuse? Anche se fruiti dal salotto di casa, col nostro sano abbonamento a Sky o DAZN, e riprese fatte da dio? Il pubblico, il fattore umano fa la differenza. Perfino in remoto, figurati quando invece allo stadio o al palazzetto dello sport ci vai. Per tutta una serie di motivi si sono sforzati di farci credere che è molto ma molto meglio lo sport fruito (a pagamento!) nel salotto di casa nostra. Mmmmmh. Ok, sì, in questa maniera il fatturato è decuplicato se non centuplicato per molti degli attori in gioco, ma sinceramente non ci pare una evoluzione positiva, e sul lungo periodo uno svuotamento degli stadi non può che procurare disaffezione e doloroso, fragoroso collasso del sistema (e questo lo sanno bene i management di Sky e DAZN, tra l’altro).
Concludendo, e tornando a noi: è bello che in questi giorni ci sia un moltiplicarsi di iniziative on line. E’ bello che ci siano dj, pagine che nascono spontaneamente, club e crew che si consorziano, etichette discografiche, più ce n’è meglio è. Ma questo solo perché stiamo vivendo una dannata emergenza. Solo per questo. Non deve diventare, secondo noi, una “nuova frontiera”: il clubbing e la musica live vanno vissute in primis alzando il culo e andando a vedere i concerti e a ballare i dj set, tutto il resto è un contorno, un “di più”, un potenziale approfondimento o un bonus sfizioso (che puoi anche pensare di pagare, se contenuto di valore, certo), ma non è e non deve essere il focus dell’esperienza. Soprattutto adesso che la musica in sé, grazie allo streaming, è ovunque e a prezzi ridicoli, se non direttamente gratuita. Naturalmente, se stessimo a casa daremmo moooolti meno problemi alla società: se stai a casa non disturbi, non fai schiamazzi, non crei incidenti per strada, non diffondi malattie, non crei problemi di ordine pubblico, non ti rendi conto che possono esserci altre persone (che non conosci!) come te, con le tue passioni, coi tuoi sogni e quindi non ti metti strani grilli in testa.
Però ecco, quando finirà questo periodo assurdo e doloroso del Coronavirus non vogliamo avere in eredità mille nuove piattaforme e forme di fruizione on line del clubbing o del live; no, vogliamo avere persone che bruciano dalla voglia di uscire di casa. Riabbracciando la musica, riabbracciando la club culture, riabbracciando l’umanità – e non il wi-fi di casa.