Chi segue FJAAK sa bene quanto questi tre ragazzi tedeschi siano fuori dalle righe. Dissacranti, sempre sul filo tagliente dell’ironia, quanto emerge da questo faccia a faccia è la loro forza di scherzare sempre, e di non prendersi sul serio, mai. Uno “split” è uno “split”, una battuta comica inserita nel flow della traccia è una battuta comica, lì solo per far ridire. Una leggerezza opposta alla solidità della loro musica. Dal punto di vista artistico, però, i tre hanno provato qualcosa di diverso stavolta. “Havel” è meno “dritto” rispetto al passato, ma più completo e sperimentale, forse anche più maturo. A rimanere inalterato, invece, è l’approccio caratteriale che vi sta dietro. Un approccio, quello che emerge qui sotto, che è “vero” – semplice se vogliamo, ma “vero” . Lo stesso che traspare attraverso i social, senza condizionamenti né filtri. Perché i FJAAK sono fatti così.
“Havel” rivela un gradino ulteriore nella vostra coscienza di produttori. L’atmosfera è, sì, vicina a quella che senza ombra di dubbio possiamo definire tipicamente FJAAK, ma qualcosa sembra suonare decisamente nuovo. Vedi la presenza di interludi più sperimentali, la mancanza di vere e proprie bombe per il dancefloor (se si escludono “MARTIN” e “ALL MY FRIENDSALL MY FRIENDS ARE IN THE BATHROOM”) e la comparsa di tracce più introspettive rispetto al vostro passato. Tutto questo mi incuriosisce. Quali sono state le vostre influenze? Cioè, cosa vi ha portato a questo nuovo approccio?
Durante il tour non abbiamo – ovviamente – solo viaggiato molto. Abbiamo anche trovato il tempo per metterci al lavoro. Pensa che siamo riusciti a creare delle jam persino nelle camere di albergo che ci ospitavano, grazie agli strumenti e agli speaker portatili che di volta in volta avevamo con noi. Quelle pause sono state fondamentali per provare la musica da club… in luoghi che effettivamente non erano club (ridono, NdI). Così riesci a testare la tua roba più di una volta a settimana durante le feste. E ovviamente l’esperienza del club vero e proprio, di ascoltare proprio quella roba lì, ci ha permesso di diversificare le nostre produzioni tra ciò che creavamo in studio o… in aereo.
Due aspetti sottolineano questa nuova miscela, a mio avviso: l’uso delle parole, le collaborazioni con altri artisti. Per esempio, “I COULD NEVER LIVE WITHOUT YOU BY MY SIDE” è costruita soprattutto attorno al discorso lamentoso di un uomo che ricorda molto la voce modulata di… Thom Yorke. Una grossa mano ve l’ha data Koogan, il cantante che ha collaborato con voi in “Havel”. In più, qual è stato l’apporto di Fadi Mohem e Tobi Neumann in “APOLLO TAG 2”? Come hanno contribuito nello specifico alla traccia?
Quel passaggio che citi è un sample in realtà, che abbiamo manipolato grazie a Herse, che trovi nella sezione dei Key Devices nel Plug In Max4Live. Herse ci ha permesso di distorcere la struttura del tempo e del grid, del pitch, del volume… insomma, tutto. Fantastico, no?! Ti fa rendere conto di quanto possono essere fighi e versatili i plug in digitali di oggi. Aspetta poi di vedere il video, fidati! Per quanto riguarda invece “APOLLO TAG 2”, tutto è nato quando siamo stati inviti da Toby Neumann nel suo studio a Berlino. Lo studio si chiama Apollo, per via del suo aspetto esterno, perché assomiglia a una specie di navicella spaziale: una bomba! Fadi Mohem si è aggiunto alla jam che stavamo tirando su (è un nostro amico di lunga data, oltre a essere l’assistente di Tobi). Il titolo nasce dal fatto che la traccia è venuta fuori al secondo giorno di quelle registrazioni. Abbiamo fatto tutto insieme, letteralmente. Da una parte, loro interagivano soprattutto con la loro strumentazione analogica, dall’altra ci hanno lasciato completa libertà nel farci sperimentare qualsiasi cosa ci venisse in mente. Questo è il risultato.
Pic by Paul Krause
Sotto il segno della voce c’è anche “ALL MY FRIENDSALL MY FRIENDS ARE IN THE BATHROOM”. C’è bisogno che ve lo dica? È la mia preferita! Come accadeva in “Keep The Funk”, il climax arriva proprio quando il sample pronuncia quella buffa frase e il drop la segue a ruota. Che ci facevate tutti insieme chiusi in bagno?! Quella frase è connessa a un momento realmente accaduto, oppure è stata selezionata per mero divertimento?
Beh, come dire, il testo cantato da Koogan è abbastanza esplicito… ti racconta una storia che, se frequenti i club in generale, potresti conoscere abbastanza bene.. (ammicamento, NdI). Quindi, sì, è certamente legata a episodi reali, però è stata pensata soprattutto per la dose di umorismo che ne sta alla base.
“Havel” è la quarta uscita della vostra omonima etichetta, FJAAK. Come mai avete deciso di interrompere i legami con la famiglia Monkeytown pubblicando l’album sulla vostra, che era inattiva da circa quattro anni? Da quando è nata nel 2014, su FJAAK sono apparsi solo titoli di vostra produzione. Cosa accadrà in futuro? Continuerete su questa linea o ospiterete qualche altro artista? Se sì, state pensando già a qualcuno?
In realtà, non ci siamo allontanati affatto da Monkeytown. Siamo in contatto e, anzi, vi diamo una notizia: molto a breve usciranno tre nostre tracce propria sulla loro nuova etichetta, Seilscheibenpfeiler, figlia minore di 50Weapons e Monkeytown. La linea futura di FJAAK è semplice. Fare uscire l’album su un nostro spazio significa farlo nel nostro modo, senza alcun consiglio, senza alcuna prescrizione, ma contando al cento per cento sui nostri tre cervelli. Liberi.
Se foste costretti ad abbandonare il vostro studio a causa di un incendio, mettiamo, e foste così di fretta da dover scegliere solamente tre strumenti da portare con voi, quali scegliereste? Alle persone che volessero iniziare a produrre suggerireste di partire dagli strumenti analogici rispetto a quelli digitali?
Salveremmo le più costose! Senza dubbio. Poi le rivendiamo e con i soldi riprendiamo tutte quelle più piccole che abbiamo abbandonato durante l’incendio (ridono, NdI).
Se un persona volesse davvero iniziare a produrre, credo non sia una grande idea partire subito dagli strumenti fisici. Potrebbe essere una scelta sbagliata, anche per i costi elevati. Credici, anche i software ti danno un’infinità di scelta dal punto di vista della produzione e della creatività.
Pic by Kasia Zacharko
Siete dei grandi utilizzatori di Instagram. Non credete che l’estetica rave, quella techno, dovrebbe essere ciò che di più lontano c’è da Instagram? Come sta cambiando la scena dell’elettronica e del clubbing con l’impatto dei social network? In definitiva, quali considerate i lati negativi di Instagram e quali, invece, quelli positivi?
Instagram è come un Vaso di Pandora, ma digitale. C’è il bene, c’è il male (strizzano l’occhio, NdI). Certamente espande la club culture verso lidi che sarebbero impossibili da raggiungere senza il corredo social. Allo stesso tempo la scena ne esce di sicuro trasformata: cambiano i punti d’interesse e gli aspetti importanti per gli artisti ma anche per l’industria in sé. Pensa alla ricezione: la gente consuma sempre più velocemente e la musica sta diventando un cazzo di fast food. Spesso per il pubblico il consumo è più importante del contenuto: divorata una, si passa subita alla prossima traccia, senza focalizzarsi realmente su nessuna in particolare. Questo è quello che accade anche per la tua ultimissima Instagram Story, per i post sul feed ma… è così che funziona. Allo stesso tempo con Instagram avrai anche tutti quei “veri” fan della musica più vicini a te. E l’interazione con loro diventa semplificata, perché appunto più ravvicinata, a portata di mano. Avremo sempre il loro supporto, per sempre, è questo è fondamentale, perché chi fa musica dovrebbe farlo sempre per amore!
Uno degli aspetti che con più risalto appare sulla vostra pagina Instagram è la cannabis. Cosa rappresenta per voi? Semplice chillout? In più, tantissimi Paesi stanno facendo passi da gigante verso politiche di legalizzazione. Ma per esempio in Italia questo non è ancora successo. Secondo voi, perché? Quali sono i fattori che bloccano le istituzioni dal regolamentare l’uso della marijuana?
Guarda, davvero non abbiamo idea delle diverse politiche interne riguardo a questo argomento. E non c’è nessuna dietrologia in ciò che condividiamo: amiamo fumare, amiamo la techno, amiamo i rave (ridono, NdI). Soltanto questo!