Due ragazzi come i Flashmob fanno parte di quell’Italia che affonda le sue radici nel dancefloor. Tech House come viene, senza sterili ricerche per apparire più raffinati e garantirsi l’assoluzione da possibili critiche. È questo credere in ciò che si fa, senza temere di essere etichettati come “mainstream”, che va apprezzato in due come loro. Le esperienze recenti stanno portando alla luce il lato più oscuro del duo; “Flashmob Records”, la loro label, ne è l’esempio. In questa intervista ci siamo fatti raccontare un po’ di loro, dentro e fuori dallo studio; abbiamo cercato di ripercorrere i grandi successi senza tralasciare le ambizioni di due artisti che hanno ancora tanto da dare e dimostrare al pubblico, più o meno grande che questo possa essere.
Sin dall’inizio eravate consapevoli del duro percorso di fronte a voi, oggi a distanza di tre anni da “Brick House”, la vostra prima release su Get Physical, sembra tutto più chiaro, vorrei chiedervi come è iniziato tutto, lo spirito che per certi versi avete ritrovato, la passione; insomma, cosa c’è dietro Flashmob?
C’è tanta voglia di fare musica senza troppi sbattimenti, che è, e rimane naturalmente la cosa più importante. Non nascondiamo la nostra ambizione e la voglia implacabile che ci spinge ad emergere sempre più, ma comunque rimaniamo due ragazzi a cui piace stare in studio a comporre musica e che amano esaltarsi se trovano un bel disco nuovo da suonare il Sabato successivo. Dietro Flashmob ci sono due bravi manager, Ed e Jay, della Volume Group, un agente della Paramount Artists, Andrew, e tanti promoter e fan che amano la nostra musica e il nostro modo di offrirla, interpretarla e suonarla.
Facendo un passo indietro, tornando alle vostre origini, chi sono i vostri punti di riferimento? A parer vostro è sufficiente avere una conoscenza del solo lato “elettronico” della musica per mettersi in gioco?
Noi crediamo che la musica elettronica la si debba avere un po’ dentro, è come un colore preferito o un tipo di cucina; se la scopri e quando la scopri è come se l’avessi inventata tu perché ne riconosci subito una tua possibile interpretazione. Certo conoscere la musica, tutta, e in particolare la storia della musica (specialmente elettronica) ti permette di non essere banale e magari riuscire ad essere innovativo, la cultura rimane sempre un’arma eccellente per distinguersi dalla volgarità.
Tra i vostri lavori quello che ha maggiormente catturato il dancefloor, a dirla tutta non solo quello, è sicuramente “Need In Me”, come nasce questa “hit”?
Per caso. Un pomeriggio di studio; due ore per dire il vero. Rischiava di rimanere sul desktop del mac in studio, poi una mattina Alessandro senza dire nulla a Danny la spedisce alla Defected: rischiamo, mi sono detto. Sapendo che fosse crossover avevamo paura di fare un disco che venisse letto come “commerciale”, parola da noi artisti underground temutissima, per fortuna l’hanno suonata da Kerri Chandler a Jamie Jones a Pete Tong e il pericolo è stato sventato. Certo i 6 milioni e più di ascolti fatti su YouTube rimangono un problemino nel senso che a volte la gente ci identifica in quello, tuttavia, per fortuna, ci stiamo facendo conoscere anche per molto altro!
Parlando di “Need In Me” si parla del vostro rapporto con Defected, siete legati a questa big label da un paio di anni ormai, cosa ci raccontate a proposito?
Con la Defected ormai si fa ben poco, nell’ultimo anno e mezzo abbiamo fatto uscire un remix per i Pet Shop Boys e poco altro. Il nostro e il loro sound sono cambiati radicalmente; per fortuna parte di ciò che facciamo può andare bene per la loro seconda label DFTD, per cui abbiamo fatto un EP uscito a Novembre e per cui abbiamo mixato una compilation. Le prossime uscite sono su W Label di DJ W!ld, Moon Harbour con un remix per i Luna City Express, Avotre, Viva Music e Objektivity come FMOB per dare un segnale ulteriore di cambiamento, oltre che su Flashmob Records con un disco che sta riscuotendo tantissimo successo in Inghilterra, “Don’t Leave”. In conclusione la DFTD è una bella realtà e continueremo a coltivarla, i loro party sono sempre garanzia di successo.
Di recente ha visto la luce Flashmob Records con la prima uscita “Who” firmata da voi, Kevin Knapp e Hector Moralez, perché la scelta di una label tutta vostra? Qual è l’idea dietro?
L’idea di Flashmob Records è di essere al passo con i tempi e i modi con cui si promuove e si fa uscire la musica. Oltre a questo avere una label ti offre la possibilità di dare ai fan una idea continua di cosa stai facendo in studio.
A proposito di mix, release, qual è il vostro modo di lavorare? Hardware o software?
Come dicevo prima abbiamo remixato DJ W!ld per una delle tracks del suo nuovo album e anche i Luna City Express, progetto berlinese di vecchia data. C’è poi un remix per il mitico DJ LeRoy, producer dietro un mare di grossi nomi, oltre che per la label di Steve Lawler che comunque è sempre sulla cresta dell’onda. Poi abbiamo una uscita di tre tracce sulla label di Dennis Ferrer a Febbraio. Tutto questo su vinile così come la nostra nuova traccia “Don’t Leave” su Flashmob Records che ha già avuto il supporto di artisti come Maya Jane Coles, Disclosure e Annie Mac su Radio BBC 1, insomma, ci stiamo dando dentro. In merito al nostro modo di lavorare in studio facciamo tanto on the road e poi ci scambiamo i progetti ma poi a casa anche tanto hardware.
Flashmob nasce dopo una riflessione sul rapporto dell’industria musicale tra quantità e qualità; oggi più che mai facciamo i conti con un mercato musicale che è letteralmente invaso, gli artisti vengono costruiti e dimenticati con facilità e spesso è il web che governa, cosa pensate in merito? Non credete che tutto si stia consumando un po’ troppo velocemente?
“Ace or bull’s eye” come si direbbe in inglese, hai perfettamente ragione. Infatti la nostra label ha proprio a che fare con questo. Vi porto ad esempio la nostra track “Don’t Leave” che ha un potenziale pazzesco secondo noi e i feedback lo dimostrano. Se la dessimo ad una label grossa e questa facesse una promozione “pret a porter” anzi “pret a manger” come quasi sempre fanno le grosse label, perché durerebbe due settimane, poi il disco sarebbe quasi certamente bruciato. Noi amiamo la musica e ci piace fare le cose per bene, non abbiamo fretta di vederla uscire e dunque la stiamo promuovendo pian piano già da 4-5 mesi. Sarà questo che farà prendere al disco la sua strada naturale (che sia di grande successo o meno) e solo così ci sarà il tempo di esprimersi. Chart di Beatport, smania di uscire, voglia di farsi vedere, non sono nel nostro stile.
E la situazione italiana?
Gli italiani sono fortissimi a fare musica ma pessimi e pigri nell’ambito professionale, i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Per fortuna ci sono ancora dei promoter di nuova generazione che hanno voglia di fare e che fanno booking al di fuori delle logiche di potere. Vi pare possibile che i Club di riferimento facciano delle programmazioni che non rispecchiano assolutamente quello che succede là fuori? Oltre le alpi intendiamo. Non siamo qui a fare i soliti discorsi, per questo preferiamo fare tutto all’estero, senza nessun compromesso.
Se vi chiedessi un disco, qual è il primo titolo che vi viene in mente?
Todd Terry con “Keep On Jumpin” e Winx aka Josh Wink con “How’s The Music”.
In conclusione chi sono Danny e Alessandro al di fuori dello studio e della consolle; le vostre passioni nel tempo libero, le cose a cui non potete rinunciare?
Danny e Alessandro sono due persone a cui non piace perdere tempo e che sono riusciti a fare della musica una cosa seria. Siamo due ragazzi come tutti gli altri con tanta volontà, che quando salgono in consolle ci salgono con la grinta e non guardano in faccia a nessuno, gig dopo gig. Sappiamo qual è il nostro destino e stiamo facendo di tutto per incontrarlo. Non possiamo fare a meno di lavorare con gente seria e noi stessi cerchiamo di non prenderci troppo sul serio, abbiamo bisogno di una dimensione reale per tenerci affamati e crescere. Abbiamo bisogno di musica nuova e stimoli e abbiamo l’affetto dei fan che comunque fa tanto piacere; abbiamo un rapporto speciale con la gente, amiamo stare in mezzo alla gente.