Sarebbe stato molto facile, facilissimo, per Sam Sheperd riaccendere laptop, modulari e synth e dopo il successo clamoroso di “Elaenia”, capolavoro per molti e pietra miliare personale, rimettersi al lavoro su una partitura pressoché simile, un ciclo continuativo, che continuasse nella scia di polvere di stelle tracciata con l’esordio, lasciando ai critici le logomachie sull’evoluzione del suono del britannico.
Così non è stato, oppure a voler essere precisi e limpidi: non è stato proprio così, per molti il cambio radicale osservato tra il disco di esordio e questo nuovo” Crush” uscito una manciata di giorni fa, può sembrare come inaspettato, addirittura azzardato, eppure bastava seguire il percorso fatto da Floating Points dal 2015 all’inizio del 2017 per capire che “Elaenia” nella carriera musicale di Sam Sheperd era una tappa, per quanto fondamentale e per alcuni aspetti seminale, ma pur sempre una tappa. Gli indizi o prove per capirlo del resto erano e sono lì da vedere.
22 luglio 2016: Floating Points fa uscire l’ep “Kuiper”, la copertina è sulla falsa riga di “Elaenia”, ma è soltanto uno sviare, non si tratta di musica nuova ma di musica vecchia pre-album, che non è finita nell’ album perché con la linearità dello stesso c’entra poco: il suono è diverso, l’apporto della band fondamentale. Floating Points sembra molto lontano dall’art jazz dell’esordio, votato più ad un post rock di altra impronta, nel lato b del 12” addirittura canta o comunque ci mette la voce.
Agosto 2016: Floating Points è in tournee in America con la sua band e si ferma nel deserto del Mojave per una session poi ripresa e finita in un corto. Anche in questo caso di “Elaenia” non c’è traccia: Sam Sheperd è in una fase “floydiana” della sua carriera, in un momento quasi lisergico, dove si concede e può concedersi tutto. Il producer elettronico, il dj che spaccava il dancefloor, non c’è più, sparito, nascosto, evoluto, cambiato. Anche qui di “Elaenia” nessuna traccia.
Gennaio 2017: gli XX hanno da poco pubblicato “I See You”, stanno per partire per un lungo tour mondiale e chiamano Floating Points ad aprire alcuni concerti europei tra cui la data al Forum di Milano. L’abbinamento è perfetto, in prima fila già si pregustano le note soffici del primo album a far trascorrere l’attesa di Jamie xx e soci. Lights down, maglietta bianca e occhialino di ordinanza e lui cosa fa? Butta dentro come primo pezzo” Des Alpx”, pezzo al tempo inedito e poi primo singolo di questo nuovo album, ad un volume spropositato, per un pezzo forse ancora non masterizzato, non pronto. Il risultato è da raccontare perché la gente rimane quanto meno spiazzata, i più soffici infastiditi, i più aperti sbalorditi, quelli che lo conoscono dicono e si chiedono: “Quindi riprende a fare dancefloor?”
Infine, l’ammissione che qualcosa è cambiato. Maggio 2017: dopo aver fatto un movimentatissimo dj set al Nuits Sonores intorno alle 3 del mattino del venerdì, lo troviamo il sabato nello stesso ristorante dove pranziamo, foto e giusto una domanda: “Ma il disco nuovo?” La risposta è semplice e didascalica: “Ci ho iniziato a lavorare ma ci vorranno altri due anni” ergo forse ci ho iniziato giusto a pensare.
Tutto questo serve per capire meglio ed affrontare meglio “Crush”, il ritorno di Floating Points su Ninja Tune: quello che per lui è un numero zero, un nuovo esordio. Affrontiamolo prima di tutto rispondendo alla domanda che tutti si fanno: che fine ha fato “Elaenia”? La risposta è semplice è qui basta cercarlo. “Elaenia” c’è in “Crush”, non manca, basta ascoltare questo nuovo lavoro con orecchio attento. Di diverso c’è che è cresciuto, fermentato e riportato ad uno stato primordiale, che per Floating Points vuol dire sporco, sudato, ma soprattutto ripensato ed avventuroso.
Fuori da una logica discografica che vuole all’apice del successo un disco ogni due anni, al massimo due anni e sei mesi, Floating Points di anni ce ne mette quattro e il motivo e semplicissimo quanto assurdo, semplicissimo quanto primordiale come dicevamo poco fa. Prima di scrivere, registrare o ideare ogni singola nota, Sam Sheperd decide infatti di resettare completamente ogni macchina modulare su cui lavorerà, decide arbitrariamente di cancellare dai synth ogni singolo frammento di preset, in favore di una macchina vergine, intonsa, una tabula rasa tra quello che è stato prima e ciò che sarà poi.
Un atto di coraggio e fuori da molte logiche, in primis quella citata poco fa. Questo perché quello che ne esce con “Crush”, non è un disco facile per chi ha amato “Elaenia”. Dei tratti art-jazz sono rimasti gli spunti e l’eleganza in cui le melodie, proprie di chi sa come trattare macchine asettiche, prendono vita; ritmicamente, si muove nei parametri di un 2step pronto all’ennesima rilettura sul genere, dimostrandosi come elemento imprescindibile di ogni produttore d’Oltremanica. Se questo sia un valore aggiunto o una colonna portante della nuova “conceptronica”, ne parleranno i posteri o attenderemo il benestare di Reynolds.
Non citiamo Reynolds a caso, perché se proprio di conceptronica vogliamo parlare questo disco sembra fatto per reggere e confermare la validità almeno del nome inventato da Reynolds. Non è un disco per ballare, eppure ci si muove molto più di quanto ci si aspetti. Non è un disco per il relax, tra cognac e divano, perché i ritmi viaggiano più veloci dei battiti quando si è distesi. Eppure, tutto regge, tutto è coeso, molto ha una sua logica. Tra Wookie, che il 2 step l’ha inventato, e l’ambient del pianoforte solitario di “Sea Watch”, o tra i bassi di “Bias” e le ritmiche forsennate di “Des Alpx”, il lavoro di Floating Points è una tela che si colora di sbuffi, di pennellate qua e là, in un quadro che sa di astrattismo e che trova la sua concretezza nei momenti più ritmici dei suoi quarantaquattro minuti di durata.
Il reset “ideologico” – sperimentale e strumentale – riesce con un colpo di autentica maestria a regalarci un produttore che scavalca l’ostacolo del secondo album, pur avallando tutto ciò che finora era stato fatto. “Nectarines” o lo stesso “Vacuum” avevano idee che rivivono in questo album, ma che innesta una ripartenza che lascia stupefatti.
Da critici è normale (e sarebbe doveroso) mettere sulla bilancia i suoi due lavori “lunghi” per un confronto. Noi però non lo faremo. Non lo faremo non per paura di fare preferenze, o per paura di elevare al migliore questo o questo altro lavoro; non lo faremo perché la sostanza di cui è fatto “Elaenia” è una sostanza diversa da quella da cui è composto “Crush”.
Valgono entrambi i lavori di Sam Sheperd, e valgono molto: perché entrambi si collocano in un preciso spaziotemporale di racconto di una quotidianità diversa, come il giorno dalla notte, ma che esattamente come il giorno con la notte fanno parte dello stesso ciclo vitale (e in questo caso artistico). Ciclo di uno dei migliori artisti non categorizzabili che ci sia capitato di ascoltare negli ultimi vent’anni.