I Visionquest sono diventati grandi.
Siamo abituati a pensare a Ryan, Lee, Shaun e soprattutto a Seth come dei party animals se mai ce ne sono stati, inarrestabili globetrotter sempre in movimento da un club a un after e sempre al top della forma (qualunque cosa si intenda con questo): riesce difficile immaginarseli riflessivi e introspettivi, in grado di stampare sulla loro etichetta un album “da meditazione”.
Ci volevano due visionari come Clarian North e Addy Weltzman per trasformare Visionquest da icona dell’edonismo più sfrenato a etichetta “adulta”, in cui la musica è sempre una via di fuga verso territori più piacevoli, ma senza fretta, con più calma e moderazione e, soprattutto, in cui l’obiettivo della fuga non è più il degenero ma un passato idealizzato e, per certi versi, comodo.
E’ inutile che ce lo neghiamo: in molte tracce di “Escape Yourself” l’ispirazione al synthpop, all’italodisco e in generale agli anni ’80 è dichiarata ed evidentissima, ad iniziare da “The Fear Of Numbers”, che è praticamente una cover di “Enjoy The Silence” dei Depeche Mode per arrivare a “Dangers Of The Mouth” che è “Captain Of Her Heart” rifatta dai Cure, ma giudicare l’album dei Footprintz come una produzione esclusivamente derivativa e clone tardivo di un passato che non c’è più sarebbe frettoloso.
Per questioni anagrafiche è più che normale che l’immaginario a cui Addy e Clarian fanno riferimento sia quello degli anni ’80, ed è quindi tutto sommato comprensibile che il loro album sia infarcito di rimandi più o meno espliciti a quel periodo: quello che invece è speciale, lungo tutta la durata dell’album, è l’innegabile talento del duo nel costruire canzoni, un’abilità rarissima nel panorama elettronico, e nel fare in modo che già dal primo ascolto gli hook rimangano scolpiti in maniera quasi indelebile nella mente dell’ascoltatore.
Si potrebbe quindi liquidare in fretta e furia l’album come il prodotto di una coppia di nostalgici che non sono in grado di produrre nulla di innovativo, e forse a un ascolto superficiale l’impressione che dà è proprio questa, ma quando poi, finito l’album, nel silenzio, ti ritrovi a canticchiare tra te e te “Heaven Felt Like Night” o “Uncertain Change”, o “The Invisible”, capisci che c’è molto più del revival nei Footprintz.
Capisci che le citazioni degli anni ’80 sono solo un pretesto come un altro per del pop di altissima qualità, di quello da radio, festival estivi e grandi numeri, e allora capisci che i Visionquest non sono solo quelli che suonano Vinicio Capossela ubriachi agli after sulla spiaggia, ma sono ormai un gruppo esteso che comprende i quattro fondatori ma anche Addy e Clarian e volendo anche una serie di altri artisti di spessore (penso ad esempio a Benoit e Sergio), tutti ormai maturi e con un sound definito, personalissimo e più adulto, in grado di essere fruito anche a casa e in giro, negli auricolari, anzichè essere “solo” buona musica da club.
Mascherare un grosso passo avanti nella propria maturazione artistica dietro un affacciarsi al passato solo apparente, questo è quello che rende “Escape Yourself” un gran bell’album.