Un mesetto fa Four Tet ha fatto a tutti un bel regalo di Natale mettendo in circolazione un bel po’ di materiale inedito: da un lato “Parallel”, dall’altro “871”. Se non li avete già ascoltati, lanciatevi subito sui player embeddati, e fatevi un po’ la vostra idea. E’ vero che il buon Hebden fa ormai il diavolo che gli pare (è discografico di se stesso, non deve sottostare a nessuna tempistica o routine promozionale che non sia quella che sceglie lui), ma effettivamente se lanci nell’etere così due album in un periodo come quello natalizio lo fai comunque sapendo che è materiale “collaterale” (vogliamo dire “parallelo”?), non delle vere e proprie release su cui conti tantissimo – e a cui chiedi di cambiare le regole del gioco.
Quindi sì, è materiale da collezionisti, e no, non è parificabile ad altri album di Four Tet. Detto questo è comunque molto interessante, ed oggi che puoi ascoltare musica a costo zero o quasi, mentre un tempo avresti dovuto sganciare venticinque sanguinonose mila lire o quindici sanguinosi euro, ti puoi permettere di fare il completista e di farti un’idea approfondita su un artista andandoti a cercare anche i suoi scarti di suoi lavorazione, i suoi abbozzi, le sue mezze idee.
E questo non è un lusso da poco. Ce lo dimentichiamo troppo spesso. Ci si lamenta tanto della “superficialità” degli ascolti nell’era dello streaming ma ehi, è veramente un paradosso: mai come oggi abbiamo infatti i mezzi per non essere superficiali. Mai come oggi. Tutto sta nel decidere se approfittarne o meno. E se non ne approfittiamo, non è colpa di nessuno se non nostra. Poi chiaro, non basta “ascoltare”, bisogna anche metterci la testa. Ascoltare con discernimento ed attenzione, insomma. E’ lì che sta la distinzione.
E’ proprio per questo motivo che un materiale “secondario” di Four Tet come “Parallel” e “871” diventa ancora più importante. Tanto più adesso che abbiamo tempo, è assolutamente utile andare a tuffarsi nel materiale di un complemento che è una delle più curiose ed atipiche case history di successo nel mondo del clubbing. Non di questi anni, ma proprio di tutti i tempi. In assoluto. Ma prima di approfondire questo punto, che è focale, ascoltatevi un po’ “Parallel”, che è più il Four Tet così-come-lo-conoscete-tutti-oggi, giusto un po’ più ambient e un po’ più sognante e slabbrato (un brano atipico è la terza traccia, che pare un Vince Mendoza fine ’80, primi anni ’90, quando cioè tributava più di un omaggio ed un riferimento allo Zawinul digitale e scarnificato post-Weather Report).
Ecco. Può anche essere che prima di passare all’ascolto vi siate chiesti “E chi cazzo è Vince Mendoza?” o, caso ancora più grave, “E chi sarebbe Zawinul”, ma se partite così sappiate che con “871” butta ancora peggio, per voi, almeno in potenza. Si tratta di materiale antichissimo, con più di vent’anni di anzianità in qualche caso, visto che si tratta di roba risalente al periodo 1995-1997, quando Four Tet facevo parte di un trio, Fridge, e mai avrebbe immaginato di finire protagonista nei marosi del clubbing (di più: ancora non era uscito solitaria diventando, appunto, Four Tet e non più Kieran Hedben dei misconosciuti Fridge). Ecco di che si tratta.
Il filone, in realtà, è chiaro. Quello della sperimentazione post-rock, con concessioni al folk. Una cosa interessante da dire, venticinque anni più tardi o giù di lì, è come il filone della sperimentazione non abbia fatto poi passi da gigante. Questa è musica che potrebbe essere stata prodotta ancora oggi, e finire su The Wire (prendendosi anche dei moderati complimenti). Tutto ciò che è sperimentazione rock pare insomma essere entrato un po’ nel cul-de-sac in cui era entrata la musica classica contemporanea soprattutto nel Dopoguerra, e da cui ancora fa fatica ad uscire: diventare maniera, adagiarsi su binari consolidati. Forse semplicemente perché non ci sono alternative, perché ormai tutto è stato detto, tutto è stato fatto, tutto è stato sperimentato; o forse perché ci si è impigriti, ed essere nicchia è una comoda comfort zone.
Ma ok, questa è magari una discussione che non vi interessa, Soundwall di solito è sintonizzato su altre rotte. Bene: proprio partendo da queste rotte riprendiamo il discorso prima accennato, quello di Four Tet come case history particolarissima. La storia della musica elettronica è fatta per lo più di non musicisti che sono diventati musicisti grazie alla tecnologia, grazie ai computer, grazie ai software; i pochi musicisti presenti (pensiamo ad esempio agli Underworld: Karl Hyde era turnista negli studi di Prince, per dire quanto era bravo alla chitarra) hanno trovato proprio “liberatorio” buttare a mare tutto quello che avevano imparato e tutto quello che rappresentava il loro armamentario artistico, per entrare nell’elettronica. Quello volevano, quello hanno pervicacemente cercato.
Four Tet è uno dei primi e pochissimi casi (non casualmente, assieme ad alcuni suoi amici storici: Dan Snaith aka Caribou, Floating Points) di persona che ha usato il suo background da strumentista e da conoscitore di musica non-elettroniche e di nicchia, e lo ha usato diffusamente. Anzi: lui, più ancora di Snaith e FloPo, si è divertito ad immettere nella sua produzione da dancefloor stranezze e stramberie. Cosa che, a rigor di regola, lo avrebbe dovuto portare al fallimento ed all’irrilevanza (e questo è successo a quasi tutti quelli che hanno provato ad “arricchire” la musica da dancefloor, in tutti gli anni ’10, ma in parte anche prima), mentre con lui improvvisamente ha funzionato.
Si è trovato ad essere la persona giusta al momento giusto. E’ anche bravura, certo, ma il punto decisivo è essere stato la persona giusta al momento giusto. C’era un bisogno quasi inconscio di cambiare, di scompaginare dei pattern troppo consolidati, di inserire dei piccoli elementi di rottura nella musica a quattro quarti, e lui lo ha rappresentato. Ma moltissimi di quelli che adorano Four Tet oggi e lo ballano al Sónar, a Printworks o ad Ibiza non hanno la minima idea di quali siano le radici musicali di Four Tet – e non hanno probabilmente la minima idea di cosa sia The Wire, e di quale sia la musica che “spinge”. Four Tet però arriva (anche) da lì. Per capirlo bene, e capirlo oggi, è fondamentale ascoltare “871”. Non è un ascolto divertentissimo, non è “instant satisfaction” (mentre invece ciò che va su danceflooor deve essere o tool specifico o instant satisfasction, in alcuni casi riesce ad essere entrambe le cose), non è nemmeno materiale geniale, perché come dicevamo rientra veramente nello standard di un certo tipo di scena alternativo-sperimentale, né più né meno; ma è assolutamente fondamentale per capire meglio l’anima creativa di Four Tet e, un po’, anche per provare ad indovinare perché diavolo sia riuscito ad avere così tanto successo sui dancefloor ed a diventare un artista da venticinque, cinquantamila euro a data lui che, la prima volta che venne in italia, radunò qualche sparuta decina di persone a dieci euro l’ingresso. La risposta è: ha avuto successo sui dancefloor perché ha rappresentato la “stranezza”, il “granello di sabbia nel sistema delle certezze consolidate” al momento giusto, così giusto da essere diventato certezza consolidata pure lui. Ecco. Queste due natalizie, quella più inascoltabile ancora maggiormente di quella più ascoltabile e gradevole, aiutano molto a “capirlo” e, di conseguenza, ad apprezzarlo ancora di più.