Sia chiaro: non bisogna fare lotte fra poveri, ogni minimo spiraglio di luce è positivo di per sé. Ma ad un certo punto bisogna anche rendersi conto di una cosa – il tempo dei provvedimenti-placebo per “prendere tempo” è sempre più esaurito. A maggior ragione se questi provvedimenti sembrano fare figli e figliastri, tanto per rinverdire la tradizione familista italiana.
E’ quello che sta succedendo. E’ quello che continua a succedere.
Allora, i fatti. Col solito sistema delle bozze spifferate non si sa come e non si sa perché alla grande stampa (che, al solito, fa da acritico megafono – quando l’informazione si fa cane da riporto), il Ministero guidato da Franceschini ha fatto sapere urbi et orbi che si sta lavorando ad una riapertura di cinema e teatri per il 27 marzo, esclusivamente in quelle che saranno le zone gialle. Bene, è un passo. Ma questo dovrebbe essere solo una notizia interlocutoria fra tante, rispetto alle attività in cantiere nei think tank ministeriali, invece a giudicare dall’enfasi con cui è stata fatta circolare pare quasi un enorme trionfo.
Siamo alle solite: il mondo si esaurisce coi cinema (che poi: merita più sostegno un cinema d’essai che fa qualità e ricerca o le catene di multisala in mano a magnati? Massì, tanto è tutto un film…), coi teatri, coi musei. Il comparto della musica non lirica, dell’eventistica di ricerca e in generale dell’intrattenimento continuano ad essere sottintesi come un comparto “minore”, meno significativo insomma, in quella fantastica visione impolverata delle cose del mondo che già negli anni ’50 iniziava a mostrare la corda e ad essere pre-moderna, figuriamoci nel 2021 cos’è.
Molto di ciò che è stato spina dorsale dell’innovazione, dei consumi e degli interessi di chi ha meno di quarantacinque anni, del turismo 2.0 in grado di creare un ricambio generazionale semplicemente continua a non esistere, agli occhi delle istituzioni. Una “bagatella da giovinetti”. Ormai siamo ad un anno e passa di pandemia, e mentre altri paesi – l’Inghilterra del tanto vituperato Boris Johnson, per non parlare della “solita” Germania o della “artistica” Francia – hanno creato dei fondi robusti e strutturati per la sfera di cui stiamo parlando, in Italia siamo alle mancette irrisorie al confronto. E’ umiliante.
Ecco. E’ sulla base di tutto ciò che troviamo altamente fastidiosa la retorica attorno al 27 marzo franceschiniano. Lo ripetiamo: viene spacciato come un notevole traguardo, come una grande conquista del Ministero e del suo indefesso lavoro; invece è solo la certificazione di quanto poco e male sia stato fatto, e si stia facendo. Soprattutto, sarebbe stato bello che il Ministero avesse posto l’attenzione nei suoi spifferi e nelle sue bozze su un altro 27 del mese, quello di febbraio e non quello di marzo. Cioè, oggi.
Sì. Oggi rischia di essere “L’ultimo concerto” per tantissime realtà. Un rischio serio. Avevamo già anticipato i prodromi di questa operazione un po’ di tempo fa, con alcune amare considerazioni; oggi si arriva ad una celebrazione forte, disperata, importante. Decine e decine di locali in tutta Italia – locali che sono stati strategici per la musica live migliore, quella più rilevante per chi non è rimasto fermo a Wagner ma vive attivo nella contemporaneità culturale – ospiteranno concerti che saranno ripresi in diretta web. Tra gli artisti coinvolti nell’operazione Subsonica, Cosmo, Brunori, Zen Circus, Marlene Kuntz, Lo Stato Sociale, 99 Posse, Ministri, Manuel Agnelli, ma l’elenco è lunghissimo. Tutti insieme per dire: basta cazzate, questo potrebbe essere davvero l’ultimo concerto per molte delle strutture che ci stanno ospitando e per chi ci lavora. Oltre che per i tecnici che lavoreranno ai vari eventi, tutta gente molto in gamba e professionalizzata, che si fa un mazzo tanto.
Questa è la situazione del comparto della musica live, e quello dell’intrattenimento – che spesso si sovrappone – non è messo per nulla meglio. Sì, c’è stata qualche apertura estiva, fatta per salvare stagioni turistiche, ma poi vergognosamente non è stato fatto nulla a livello istituzionale per evitare il linciaggio morale che c’è stato attorno a club e discoteche (chiusi dal 17 agosto, eppure non è che da quel giorno in avanti la situazione epidemica sia andata in netto, progressivo miglioramento: nessuno dice che bisogna riaprire le discoteche ora, sia chiaro, ma questa fola di dar loro tutta la colpa dei contagi è spregevole, e smentita dai numeri e dalle circostanze).
Attenzione. Una luce in fondo al tunnel si inizia a vedere, almeno potenzialmente. Il vento sta cambiando, in Europa. Ci sono festival che hanno già iniziato a confermare il loro svolgimento per agosto e settembre 2021, ed altre notizie arriveranno, anche grosse, anche in Italia. Questo significa che è possibile, anzi, è urgente “guardare avanti”; ma “guardare avanti” significa anche capire e sostenere ora ed adesso chi si è dimostrato in questi anni dinamico, innovativo, chi ha saputo camminare con le proprie gambe, chi ha fatto cultura e socialità – e l’ha fatto senza aspettare di essere attaccato alla tetta dello Stato.
Significa poi ragionare su protocolli che coinvolgano tutti gli attori in gioco, tutti!, non solo cinema e teatri. Non ce ne facciamo nulla dei soli cinema e teatri, caro Ministro: bisogna ragionare tutti insieme, bisogna pensare “a sistema”, non “a spot”, men che meno quando questo “spot” va anche inteso nel senso di “manovra autopubblicitaria di facciata”, come il rilancio via bozze – sempre le maledettissime bozze: basta, basta, basta – di questa fantomatica riapertura del 27 marzo ha decisamente l’impressione di essere.
Le cose devono cambiare. Vero: nel comparto della cultura “nuova”, quella degli eventi, dell’intrattenimento, della musica che non sia di secoli scorsi, c’è ancora tanta confusione, tanta incapacità di organizzarsi unitariamente, tanti personalismi e tanti litigi che fanno davvero cadere le braccia (tutto questo ad esempio poteva essere evitabile, da entrambe le parti). Ma per anni si è pensato di andare ognuno per la sua strada, magari pure disprezzando chi non faceva parte del proprio orticello: ma si sta finalmente iniziando a comprendere che non è più così, che è ora di parlarsi, di coordinarsi, di mantenere le proprie specificità ma di elaborare piattaforme comuni (e nascono nuove associazioni virtuose e dallo sguardo fresco, qui un esempio).
Tuttavia il Ministero non deve nascondersi dietro a questa situazione ancora magmatica: un Ministero ha il dovere di massimizzare le risorse del settore a cui sovrintende, per porne i risultati positivi e propulsivi al servizio della collettività. Ha il dovere di prendere la situazione in mano. Ha il dovere di avere una visione complessiva delle cose. Ha il dovere di non rifugiarsi in vecchi riti, in visioni della società che non vanno più bene da decenni, in protezione di rendite di posizione ormai insostenibili.
Franceschini, basta. Bisogna fare un salto di qualità: com’è andata finora – anche per le amministrazioni prima della tua, sia chiaro – non va più bene. Non va più bene.