In effetti ha un senso che François X fosse nella line up di un festival come Sea Star: perché se da un lato è un festival molto vario in termini di stili (arrivando tranquillamente nel pop, rock, nell’EDM…), dall’altro ha comunque un solido spazio techno al 100%, dove c’erano leggende vere come Luke Slater; dall’altro, François X l’abbiamo visto apparire più di una volta nella line up del Dragstor, il “Berghain di Belgrado”, e Sea Star è un festival sì in Croazia con un ottimo radicamento nel territorio, ma è comunque uno spin off di Exit, il festival che ha reso la Serbia famosa nel mondo (nel modo giusto: perché è un festival fantastico, dall’atmosfera super e dal DNA politico e sociale aperto nel modo migliore possibile). Ad ogni modo: l’artista francese è uno di quelli al di sopra di ogni sospetto, pur amando comparire di tanto in tanto non solo negli ambiti strettamente techno. Una label sopraffina (la DEMENT3D), un cursus honorum che parla prima di tutto un legame fortissimo col Concrete (probabilmente il meglio club francese, quello più “autentico” e legato all’eccellenza della club culture), più di una puntata in santuari come Berghain, Fabric, Robert Johnson: se parla lui, c’è da stare ad ascoltarlo. Esattamente come quando suona, con la sua techno-e-dintorni eclettica, comunicativa, coinvolgente ma mai facile e paracula.
Hai iniziato a fare musica nel 2009, ma la tua passione per la musica elettronica ovviamente parte da molto prima. Cosa ti ricordi del cosiddetto “French Touch”, di quel periodo lì? Ora il termine è abbastanza un detrito del passato, ma c’è stato un momento in cui era davvero sulla bocca di tutti. Tu, da francese, pensi che quell’hype sia stato positivo o abbia avuto anche degli effetti negativi?
Beh sai, come puoi immaginare non era esattamente nelle mie traiettorie, in fatto di gusti, però sì, era qualcosa che ad un certo punto era davvero un po’ dappertutto. E per dappertutto intendo proprio a livello mondiale: i Daft Punk, Cassius, gli Stardust e la megahit “Music Sounds Better With You”… Questa popolarità io la vedo comunque come un fattore positivo, perché tutta l’esposizione avuta in quegli anni ha aiutato parecchi artisti ad essere più conosciuti ma soprattutto più rispettati anche al di fuori della ristretta scena di appartenenza, però al tempo stesso che ti devo dire, ad un certo è sembrato che tutto ciò che provenisse dalla Francia, nel campo della musica elettronica, potesse essere solo ed unicamente “French Touch”: il che, insomma, ci siamo capiti… Poi guarda: come vedi ne stiamo parlando ancora! Pensa a quanto profonda è stata l’influenza a livello mediatico, è un fenomeno che non esiste più da anni ma stiamo ancora qua a parlarne. Divertente, no?
Anche se è una delle principali metropoli mondiali, Parigi negli anni non ha mai espresso una scena techno e house particolarmente grossa a livello di numeri, di club, e quelli che sono i fari di tutto il movimento – penso a Rex e Concrete, per esempio – sono spazi di dimensioni relativamente ridotte. Come mai a Parigi non è mai nato un Fabric o un Berghain, pur avendone tutte le potenzialità?
Parigi è una città storica, con un sacco di zone monumentali. E’ come se fosse un museo a cielo aperto, e l’amministrazione pubblica fa di tutto per proteggerlo. E’ difficile trovare degli spazi giusti, per riuscirci devi andare ben fuori dalla cerchia urbana. Credo che questa sia una delle spiegazioni. Un’altra, beh, è il fatto che forse a noi piace proprio così: a noi della scena non piacciono le mega-adunate, preferiamo qualcosa di più intimo…
Quanto sottile ma al tempo stesso quanto profonda è la differenza fra techno e house? E in che modo tu gestisci i confini fra queste due musiche – se esistono?
Io guarda non vedo tanta differenza, sarò sincero. Quando c’è di mezzo la musica, quello che conta per me è l’anima – e deve essere sognante e molto, molto profonda. Techno o house che sia: sono caratteristiche che puoi trovare in produzioni di entrambi i generi. Davvero, è prima di tutto questione di atmosfere, di sensazioni. Io sono uno che ama viaggiare attraverso generi diversi per poter ricreare atmosfere e sensazioni giuste. Come se fossi uno storyteller. Uno storyteller che tenta di portare le persone nel proprio mondo.
Come potresti descrivere la tua evoluzione artistica, partendo dalla tua primissima release fino alle ultime uscite?
Beh, credo di essere in evoluzione costante. Il mio processo creativo si basa molto sull’istinto; quindi sì, effettivamente negli anni le mie competenze tecniche e sono migliorate parecchio, ma il vero indirizzo su quello che faccio è dato sempre e comunque da ciò che mi circonda – e dai sogni che si agitano nella mia testa. Sì: posso dire che tutto ciò che creo è guidato dalla fantasia e da un senso di utopia.
Sei stato chiamato a suonare al Sea Star, un festival di notevole portata ma soprattutto con una line up particolarmente varia: non solo in campo elettronico, dove ci sono molte cose diverse fra loro dall’EDM alla techno pura, ma proprio in generale come stili musicali. Quanto può cambiare la direzione che dai a un set a seconda del contesto in cui ti trovi a svilupparlo? Quanto differenza c’è tra il François X che suona in un club di quelli belli underground e un festival invece a trecentosessanta gradi dalla grande affluenza?
A me piace molto suonare in contesti differenti. Perché in questo modo ogni volta è una sfida. Non cambio molto il mio indirizzo musicale, quello no, ciò che cambia è l’energia che ci devi mettere. Un conto è se hai davanti qualche centinaio di persone, un conto se ne hai davanti migliaia: nel secondo caso devi spingere di più, devi metterci più forza, perché solo così riesci a “prendere” veramente il pubblico e a portarlo dove vuoi tu. Devo però dire che con l’esperienza impari una cosa molto importante: ad essere paziente. Perché vedi, non è solo questione di quante braccia fai levare in aria, anzi, questo è un fattore in parte secondario; ciò che conta è l’atmosfera che crei, che tipo di intensità riesci ad ottenere, che tipo di connessione mentale si crea con la pista. Se riesci a raggiungerla, beh, da quel momento in avanti puoi suonare semplicemente qualsiasi cosa… e al tempo stesso è il pubblico di fronte a te che ti porta a suonare qualsiasi cosa. Il viaggio è reciproco. Non accade sempre, ma quando accade… beh, è grandioso. In venue più piccole spazi più intimi aiutano a rendere più immediata questa connessione, ma è in qualche modo più “prevedibile”, sai che è una cosa che puoi ottenere con più immediatezza, con più facilità.
A ‘sto punto ti chiedo: ok, come descriviamo allora il termine “underground”, messo nel contesto della musica elettronica dance?
Sinceramente, credo che oggi il termine “underground” più di una volta sia usato a sproposito. Essere “underground” significa stare nascosti, reclusi, agire nell’ombra, lontano dalla luce dei riflettori, non uniformarsi alle regole comuni. Insomma, per certi versi significa proprio porsi ai margini della società. Bene: tutto questo nella musica dance, parliamoci chiaro, raramente succede. Soprattutto in questi anni. Molti tirano fuori il termine “underground”, e dicono orgogliosi di appartenere ad una scena “underground”, solo per farsi belli del fascino di un termine di cui in realtà non conoscono per niente bene le implicazioni, ma in questa maniera una cosa è certa – perdono ogni possibilità di essere veri, autentici nei confronti di se stessi. Perché accettano una distorsione dei termini e della questione in sé solo per poter in qualche modo giovare del fascino che circonda ciò che è undeground o, altro caso, per rivendicare l’appartenenza a determinati hype che si spacciano per “underground” ma che sinceramente, se prendiamo per buona la definizione che ho provato a dare prima, non possono essere “underground” proprio per definizione, nel momento in cui finiscono nel meccanismo dell’hype. Per quanto riguarda me, invece di rivendicare chissà quale appartenenza preferisco dire che la mia anima è ancora pura e la mia concezione etica attorno alla musica anche. Se ogni giorno quando ti svegli riesci a guardarti allo specchio e ad accettare ciò che vedi, significa che la tua anima non è ancora stata corrotta! Questo è il modo in cui vedo le cose.
Ormai sono dieci anni che sei in ballo. Dj, producer, hai anche un’etichetta, il tuo ultimo album è uscito l’anno scorso: prossimi piani per il futuro?
Continuare a sperimentare. Soprattutto: continuare a sognare. Spero davvero di poter fare un altro album entro la fine del prossimo anno, perché significherebbe che sono riuscito di nuovo a costruire una storia da raccontare. E questa, per me, è la soddisfazione più bella.
(foto di Vanni Bassetti)