Sapevate che in Pulp Fiction, durante la scena del primo massacro, Jules Winnfield (Samuel L. Jackson), facendo quell’assurdo discorso al ragazzo seduto sulla sedia ha in realtà cantato un pezzo fatto di synth e distorsioni? Beh, non è che l’abbia fatto proprio lui, gliel’hanno fatto fare i Frank Sent Us! Questa rock band audio-visiva made in Italy ha avuto qualche anno fa una grande idea, quella di suonare live i video, trasformando questi ultimi in uno strumento come tutti gli altri. Mastro, Frank Sandrello, Frenetik Beat e Mr. Orange hanno fatto cantare e suonare gente come Clint Eastwood, Milla Jovovich, Charles Bronson, i Simpson, Samuel L. Jackson tanto per citarne alcuni. Il progetto si configura come una vera e propria band, abbiamo il chitarrista, il bassista, l’electronic performer e infine colui che trasforma pistolettate, parole, sorsi di coca e cazzotti in beat. Pochi giorni fa è uscito il loro primo album “Watch the sound”, ovviamente non poteva che essere un doppio: CD+DVD! Lo scorso sabato li siamo andati ad ascoltare e vedere al Brancaleone per il lancio del loro ultimo lavoro: beh, un live pulito, sincero, senza sbavature, carico di energia, grandi visual e rifinito in ogni dettaglio; un Brancaleone colmo, colmo di gente con il sorriso in viso e voglia di assistere con entusiasmo a qualcosa di nuovo. Una festa nel vero senso della parola! Ovviamente non potevamo farci sfuggire quest’occasione, così, qualche ora prima del live, li siamo andati a disturbare in studio per chiedergli: “Ma che diavolo significa guardare un suono?”.
Ciao ragazzi, benvenuti su Soundwall! Allora, partiamo subito con il parlare della nascita di questo progetto: come e dove vi siete conosciuti? A chi vi siete ispirati? Raccontateci un po’ la vostra storia…
Ci siamo conosciuti in giro per locali… Chi suonando, chi lavorando, coprendo un po’ tutti i ruoli che si possono coprire nei locali notturni, dal tecnico luci al dj, al barista. In poche parole ci siamo conosciuti di notte, nei club. Il progetto è partito con Mastro e Frank Sandrello. Ci siamo ispirati a progetti tipo gli “Ecstatic”, gli “Addictive TV”, gruppi che fanno sempre audio-video, ma in maniera diversa, ad esempio utilizzando i dvd. Noi invece, vedendo i loro lavori, abbiamo avuto l’idea di farlo dal vivo, quindi prendendo un film, spezzetandolo in mille parti, mettendolo sul campionatore e suonandolo come fosse una batteria. Da qui è nata l’idea: fare una band, un gruppo che suonasse live i video! Chiaramente la cosa, partendo come un duo, era profondamente elettronica agli inizi; quindi due computer e due persone che “smanettano”. Io inizialmente seguivo la parte elettronica, quindi casse, synth… Mentre adesso, finalmente, torno al mio amore che è la chitarra… Questo perché è arrivato il terzo elemento: Frenetik Beat, il rasta! Inizialmente entrò come fonico, poi ha iniziato a partecipare alla fase propriamente compositiva. Io poi non vedevo l’ora di abbandonare la parte elettronica a favore della chitarra e quindi si è andato a formare un vero e proprio gruppo con l’entrata di Mr. Orange, il bassista.
Non è difficile trovare su internet la motivazione del vostro nome, ma raccontatecelo voi! Come è andata la cosa?
Il nome Frank Sent Us viene dal film “C’era una volta il West”, di Sergio Leone. Nella prima scena Charles Bronson scende dal treno e ad aspettarlo ci sono 3 scagnozzi, gli scagnozzi di Frank (il cattivo per eccellenza). Quindi Bronson scende dal treno e chiede “And Frank?”, e gli scagnozzi “Frank sent us!”… E dopo si ammazzano come dei veri cani! Quindi i primi lavori sono stati sul genere Spaghetti Western, su quel filone insomma… Quindi “C’era una volta il West”, “Per un pugno di dollari”, “Per qualche dollaro in più”, “Giù la testa” e “Il buono, il brutto, il cattivo”. Abbiamo iniziato a far cantare Clint Eastwood, Henry Fonda, tutti gli storici cattivoni, quindi pistolettate, cavalli, treni… Abbiamo tirato fuori un set di 45 minuti fatto di spaghetti western…
E questo quanti anni fa?
Questo nel 2008-2009. Poi abbiamo partecipato e vinto l’ElectroWave. Abbiamo fatto tutto il tour con il festival, quindi la serata finale alla fortezza di Livorno e da lì ha preso definitivamente il via questa rock band audio-video, come piace dire a noi.
Dal punto di vista tecnico come nasce una traccia dei Frank Sent Us, arriva prima l’audio o il video?
Non ci sono regole. Può essere che qualcuno di noi dopo aver visto per la milionesima volta “Ritorno al futuro” venga in studio e dica “Ei, sentite come suonano queste 3-4 parole di Ritorno al futuro… Cantano!”. Allo stesso modo, magari, uno potrebbe stare a casa e trovare un giro da cui poi nascerà un pezzo; o magari qualcuno se ne esce con una traccia al computer… Insomma ogni volta procediamo in maniera diversa.
Quindi avete video e audio da fondere, dove l’audio si divide in elettronica e real instruments…
Elettronica, real instruments e anche l’audio del video: pizza in faccia, rumore della pizza in faccia!
Giusto, e quali sono le difficoltà maggiori che incontrate nell’amalgamare questi 4 aspetti?
Dici dal punto di vista tecnico?
Esatto.
Beh, più che altro è un processo molto lungo: dal momento in cui vedi il film a quello in cui chiudi la traccia ce ne passa. Prima vediamo tutto il film, poi lo tagliamo, facciamo le dovute conversioni di formato per poter utilizzare i suoni e i video dal vivo… Magari c’è un punto in cui contemporaneamente ci sono un treno che passa, una bomba che esplode, un cavallo che nitrisce e tu vuoi solo il cavallo… Quelli sono i punti più ostici! Vai a isolare il cavallo o a trovare il giusto suono da abbinargli. Non è una cosa facile! Tutto invece diventa più immediato nel momento in cui abbiamo i vari tools pronti, quindi ci vediamo in saletta, cioè dove siamo adesso, e a quel punto il processo compositivo è quello di un qualsiasi altro gruppo: ognuno dice la sua e si organizza il brano.
Perfetto. Passiamo a “Watch the Sound” ora, la vostra ultima fatica. Come mai avete deciso di dar vita a questo CD+DVD? Quali idee vi hanno spinto?
Prima di tutto nasce dalla classica necessità che hanno tutti i gruppi, cioè quella di fare semplicemente un disco! Inoltre avevamo il bisogno, fondamentale, di creare qualcosa di nostro, di originale. Noi, utilizzando spezzoni e suoni di film esistenti, non possiamo pubblicare un disco con “Ghostbuster”, “Ritorno al futuro” e “C’era una volta in West”, ci sarebbero da affrontare problemi di copyright inimmaginabili. Dal vivo è diverso, è come se stessimo facendo delle cover. Così abbiamo deciso di girare dei video, di tagliarli, campionarli e fare dei nuovi pezzi, dei pezzi che fossero al 100% Frank Sent Us! La necessità quindi è ovviamente anche quella di poter creare un prodotto che possiamo pubblicare e quindi vendere a nostro nome.
Entriamo po’ nel dettaglio. Parliamo di “I love Rio”, il primo video del DVD. Ovviamente avendo a che fare con Rio non poteva che essere pieno di colori e di una carica unica! Su quel idea si fonda il video?
L’idea è molto semplice e allo stesso tempo fantastica secondo noi. In poche parole abbiamo creato un pezzo che mettendo in cuffia a degli sconosciuti incontrati per strada, faceva sì che questi reagissero nei modi più disparati, modi che siamo andati a riprendere e che avrebbero poi costituito il video della traccia. Abbiamo approfittato di alcuni nostri amici che erano a Rio, Edoardo Carlo Bolli e Lorenzo Casadio. Loro erano lì per lavoro, per girare un documentario, così ne abbiamo approfittato. Fra l’altro era anche il periodo di Carnevale, quindi puoi immaginare. Questi nostri amici sono andati in giro per le strade di Rio con delle cuffie, il nostro brano e una videocamera, tornando qui con del materiale incredibile; hanno incontrato in giro dei freak allucinanti, gente mascherata e non che ha reagito al nostro pezzo in maniera fantastica. Ad esempio il ritornello ci è venuto in mente proprio vedendo quei video: una ragazza, in perfetto stile punkabestia, sentendo il brano, ha detto in portoghese “Il basso pompa, che figata!”, e con la sua voce abbiamo costruito il ritornello!
Beh, fantastico! Però stavo pensando, non c’è il rischio che l’ago della bilancia si sposti troppo dalla parte dei visual dando così un’importanza minore ai brani in sé?
Mah guarda, in realtà non sarebbe neanche un gran problema perché il video è fondamentale per il concept che proponiamo. In effetti, ora che ci penso, all’inizio era un po’ strano vedere gente che ballava senza sosta e contemporaneamente gente immobile con gli occhi sbarrati davanti a un video. La nostra prima reazione è stata della serie “Gli fa schifo, non va!”… E visto che il video è fondamentale e quindi ineliminabile, abbiamo pensato che magari il progetto non potesse funzionare più di tanto. Invece poi, parlando con il pubblico, abbiamo scoperto che la gente era più che felice di rimanere a fissare lo schermo, perché ne veniva letteralmente catturata; altri invece preferiscono e amano ballare per tutto il tempo… Diamo ad audio e video lo stesso peso, lo stesso valore. A volte infatti preferiamo eseguire un pezzo di musica un po’ meno di impatto per dare più importanza al video, a volte invece il contrario… Siamo noi a gestire la dinamicità delle correlazioni fra audio e video.
E per quanto riguarda la libertà sul palco? Voglio dire, può essere che il gioco audiovisivo che studiate e organizzate in studio vi limiti nell’improvvisazione e nell’interpretazione dei pezzi durante il live? Magari soprattutto per quanto riguarda i visual…
Ma no guarda, ti assicuriamo che abbiamo molta libertà sul palco. Chiaramente sono tipi di libertà diversi, la libertà che hai lavorando con i video non è quella che ti può dare uno strumento come la chitarra; magari con questa puoi fare dei riff sul momento, sfruttare delle scale, ma anche il video ti offre delle opportunità, degli effetti che puoi usare live. Hai delle libertà sì, libertà diverse da strumento a strumento. Inoltre questo utilizzo del video è qualcosa di nuovo, quindi scopriamo cose con il tempo, suonando, sperimentando.
Dateci uno slogan o un buon motivo per far sì che il pubblico compri il vostro ultimo lavoro.
Per guardare un suono!
Mi avete fregato alla grande! Direi che è un’ottima motivazione! Per concludere diteci quel è, fra tutti quelli che avete fatto fino ad oggi, il lavoro che ognuno di voi sente più suo, a cui è più affezionato!
Sandrello: Guarda sicuramente uno di quelli a cui sono più affezionato è “Ali Buma Ye”. Di video ne abbiamo fatti molti e ognuno ha le sue peculiarità, uno magari è per così dire più pop, uno è più cattivo… Secondo me quello con Ali è il più carico di significato in assoluto. Siamo andati a cercare l’incontro, non un incontro qualsiasi, ma proprio quell’incontro, quello che ha fatto in Zaire con Foreman… Lavorare su un video così carico di significati è stato bellissimo. A differenza degli altri lavori quello è stato veramente un’esperienza unica, poi sto facendo sempre una distinzione della serie “mi piace 9, mi piace 10”. Inoltre è stato uno dei primissimi che abbiamo fatto e devo dire che mi ha veramente toccato!
Mr. Orange: Per quanto mi riguarda “I’ve got The blues”, adoro suonarlo. Il riff di basso ad inizio brano, la chitarra con l’armonizer in stile Maiden, il ritornello distorto, i vocal, il video in bianco e nero, per non parlare del testo e del messaggio: “Love anybody, e anche se non hai soldi per pagare l’affitto di casa ti rimane comunque il blues”… Mi fa letteralmente impazzire! Adoro in particolare quando il vocal del video si sposa perfettamente con la musica, sono quelli i casi in cui ho la netta sensazione che la mia band ha un video come cantante. Andy Warhol ci avrebbe appoggiato!
Mastro: Mmmh… Pulp Fiction! è uno dei miei film preferiti e al contempo la traccia è di una potenza rara! Quando la suono mi sento metallaro come quando avevo 15 anni: ritorno al metallo! Sì, mi hai scoperto [ride], io vengo dal Metal, quello pesante, magliette con i teschi e tutto il resto! Tornando a Bomba il video poi è potentissimo! [Entra in studio un altro componente dei Frank] Ah guarda chi si vede, Frenetik Beat! Dacci la tua e presentati…
F.B: [ridendo] Ciao a tutti sono Frenetik Beat, l’electronic performer come dice il nostro video! Un nostro lavoro a cui sono particolarmente legato?! Sicuramente quello sul basket: “Not in my house”!
Guarda se non l’avessi tirato fuori sarei andato via con l’amaro in bocca! Questi ragazzi che giocano a Basket ovunque, per le strade, nelle case, nei supermercati… Qual è il senso?
F.B: Guarda il senso è questo: la partita infinita come la partita della vita, fino alla morte! Qualsiasi cosa accada si continua a giocare… The show must go on… Not in my house bitch!