Emergere nella scena techno che conta non è cosa semplice, soprattutto se si ha un carattere introverso ed un atteggiamento umile. C’è chi in qualche modo riesce a destreggiarsi bene tra i complicati equilibri che ci sono tra il fare musica e l’apparire nella maniera “giusta” in un circuito sempre più affamato di hype e primedonne, e chi per via di un’indole riservata magari preferisce passare il tempo in studio a far uscire dischi facendo parlare direttamente la propria musica. Frankyeffe ci ha dato l’impressione di essere una persona così come la si vede, determinata ma non sprezzante, consapevole della propria forza, ma non arrogante. Questa sua personalità, si riflette tutta nelle sue tracce; produzione dopo produzione si è costruito negli anni un’identità 100% techno ben riconoscibile, che riceve apprezzamenti e proposte di collaborazione da nomi di tutto rispetto del circuito Italiano ed Europeo.
Il tuo suono molto spesso viene definito grezzo, troppo d’impatto, le tue tracks sono vere e proprie bombe kill-floor, non vanno mai troppo per il sottile. Questa è la tua visione di techno?
Si decisamente si, le mie tracks sono quasi tutte accomunate dalla potenza e dall’irrequietezza che abita in me e che tendo a trasmettere attraverso la mia musica. Se possiamo definirla musica “grezza” o “troppo d’impatto” non lo so, quello che so è che è musica stimolante per me che la faccio, e per chi in serata balla e si scatena col mio sound. Credo poi che ogni artista debba avere la sua musicalità, quella particolarità riconoscibile che quando lo ascolti dici: “si è lui!”, e probabilmente questa è la mia peculiarità.
Tu nasci a cavallo tra la vecchia e la nuova generazione, di riflesso hai assorbito molto dal movimento degli anni ’90. Hai creduto in questo genere anche quando questo termine era per molti obsoleto, quando nessuno immaginava che si sarebbe poi tornati verso questa direzione.
Gli anni ’90 sono stati la mia culla, ho tratto nutrimento dalla progressive/techno. Ricordo con piacere l’entusiasmo che avevo nel comprare vinili d’importazione ed italiani, alla ricerca di questo o quel disco ascoltato su qualche dj set dell’epoca. Ovviamente come dici te quel movimento l’ho respirato solo di riflesso. Ho iniziato ad ascoltare techno all’età di 14/15 anni, ero anche molto affascinato dalle melodie trance, caratteristiche dell’Europa del nord. Come ogni ragazzino avevo i miei miti, e uno di questi era sicuramente Mauro Picotto. Poi il caso ha voluto che lo conoscessi e ci collaborassi… strana la vita!
La tua carriera è iniziata a crescere quando hai avuto un club con una struttura che permettesse di esprimerti regolarmente di fronte al pubblico della tua città e che ti ha dato modo di tessere i giusti rapporti con gli ospiti della programmazione. Il vero slancio però è arrivato seguendo la direzione della Napoli techno.
Per mia fortuna circa sette anni fa ho avuto l’occasione di diventare resident in uno dei locali più underground della scena capitolina – il Rashomon Club – che mi ha permesso di capire il mondo in cui mi stavo addentrando, l’oscurità del club, l’attenzione che ti regala il pubblico, elementi essenziali per un dj della mia categoria. Qui ho potuto dividere la consolle con molti artisti importanti e dare vita a una lunga lista di collaborazioni che hanno permesso di inserirmi sempre più nel circuito. La scena techno napoletana mi ha sempre coinvolto e influenzato; ha accresciuto la mia passione e motivazione verso il panorama techno incrementando la voglia di avvicinarmi sempre più a colonne di quel movimento come Markantonio, Rino Cerrone, Sasha Carassi e molti altri. Dopo aver diviso la consolle insieme, sono nati dei rapporti lavorativi, ho avuto la possibilità di far uscire le mie produzioni sulle loro labels, di suonare nelle loro situazioni. Mi ritengo fortunato.
Ci sono alcune tue tracks che hanno dato un input non indifferente alla tua crescita. Una tra tutte è sicuramente “Riot” su Analytic Trail proprio di Markantonio, e non a caso alla tua label Riot Recordings successivamente hai dato il nome della traccia che ha contribuito a farti conoscere nel circuito Europeo. Quali altre tracce e labels ritieni siano state incisive più di altre?
Beh, si “Riot” è stata sicuramente la traccia che ha fatto circolare il mio nome a livello europeo. Che soddisfazione quando Marco decise di produrla e che bello sentirla suonare all’Awakenings! In quel periodo venne suonata da molti djs in tanti festival in giro per l’Europa. Ricevere feedbacks dagli artisti che ho sempre considerato inarrivabili mi ha oltre che gratificato, anche motivato ancora di più ad andare avanti per la mia strada. Il nome “Riot” che di per se mi dava un senso di rivoluzionario mi piaceva, tanto che sono arrivato successivamente a dare lo stesso nome anche alla mia label. Le altre produzioni che hanno dato una spinta non indifferente alla mia crescita sono state sicuramente “Yes Or Not“, “Consciousness“, “Neaps”, “Difference“, “My Sweet Princess”, “My Rashomon”, “Twisted”, “Change It“, “Gain”. Tutte queste tracce sono diverse tra loro, ma hanno in comune una stesura da dancefloor; a me per esempio trasmettono emozioni diverse, si parte con l’adrenalina ed il ritmo, si passa per il viaggio e per la leggerezza, fino ad arrivare alla durezza. Aver avuto la possibilità di uscire su etichette come Soma Records, Truesoul, Phobiq, Driving Forces, Kombination Research ed Alchemy, mi ha portato oggi ad avere un ruolo nel circuito techno. Dovrei ringraziare i rispettivi owners per avermene dato modo.
Un passo veramente importante per un producer è la nascita della propria label. Dalle prime uscite su Riot, notiamo che non tutte le produzioni sono sulla stessa linea techno-killer, che è tua pecularietà, c’è una nuova direzione verso cui stai andando?
Ho sempre desiderato avere una mia etichetta. Abbandonate finalmente le incertezze, mi sono deciso a dar vita a Riot Recordings. Riot è giovane, il primo EP è uscito a marzo 2014, ma in breve tempo ha ottenuto consensi di alto livello e risultati inaspettati in termini di vendita e di visibilità. Devo essere sincero, non mi aspettavo un’entrata così prepotente nel mercato discografico. Diciamo che il sound e la linea che voglio mantenere per la mia label sono quelli che propongo nei miei dj set, cioè semplicemente techno nelle sue sfaccettature, nel suo significato più puro. Fino ad ora, dopo 7 release abbiamo spaziato molto mantenendo comunque l’obbiettivo di colpire chi ascolta e cercando di non lasciarlo mai deluso, sorprendendolo sempre.
Il tuo carattere, di base introverso e poco espansivo, non aiuta in questo tipo di lavoro. Traspare, nell’approccio che hai con la musica che proponi, un altro tipo di atteggiamento. Sembra quasi che quando stai lavorando tu sia un’altra persona. Che rapporto hai con la musica?
Io sono timido, ma quando c’è da parlare con la musica evidentemente non lo sono. Ho un approccio molto spontaneo con la consolle, non riesco a mettere teatralità nei miei movimenti quando sono all’opera. Quando vedete che alzo le mani è perché sto entrando in sintonia con tutta la situazione e mi sto divertendo, viceversa, quando non sorrido è perché non sono riuscito ad entrare in serata. Ogni tanto mi capita, e quando succede non mi gira affatto bene. Con la musica ho un rapporto di amore e odio, e la cosa certa è che non posso starne senza. Credo che per me sia come un legame viscerale, intenso e meraviglioso… una storia complicata ma sincera, onesta. La musica è la mia compagna di vita, la mia ragazza lo sa. Credo che essere la ragazza di un dj non debba essere cosa facile.
Un progetto con Mauro Picotto, il remix della sua storica hit “Iguana”, un remix di Alexander Kowalski Riot, e tutto questo mentre il remix della tua “Yes Or Not” a firma di The Advent & Industrialyzer su Driving Forces, sta girando il mondo ottenendo molti consensi. Ti puoi ritenere soddisfatto dei risultati che stai ottenendo, lo avresti mai detto?
E chi lo avrebbe mai detto? Questi eventi si stanno concatenando tutti insieme e ovviamente sono per me motivo di grandissima soddisfazione. Essere remixato da questi nomi e ricevere questi feedbacks è ciò per cui ho sempre lavorato. Vedere miei EP entrate in techno chart su Beatport, mi riempie il cuore di gioia; mi fa ricordare i momenti in cui il presente non mi faceva ben sperare per il futuro, e nonostante qualche tentennamento sulla validità del percorso che avevo intrapreso, mi sono sempre e comunque fidato della musica e delle sensazioni che mi dava.