Non sono molti a poter vantare una traccia nella prima posizione di una qualsiasi chat nazionale. No, non nella dance music chart, stiamo parlando proprio della chart generale. Hans Nieswandt è uno che può dire di esserci arrivato: con il suo gruppo Whirpool Productions ha raggiunto la posizione numero 1 nel ’96 proprio in Italia, con la hit “From: Disco To: Disco”. Un inno al clubbing ma anche una traccia strana, quasi sperimentale, sintomo di un’epoca completamente diversa dove da Colonia poteva arrivare un pezzo stonato di tre sconosciuti a metà tra l’intellettuale e il festaiolo e piazzarsi davanti a band come gli U2. Lo abbiamo incontrato a Seul, in Corea del Sud, dove vive e continua a portare avanti il suo progetto solista, oltre che a scrivere libri. Insieme ad Hans abbiamo chiacchierato di musica, dei fasti passati della scena italiana e di come si costruisce una hit del genere. Insomma, abbiamo fatto una camminata nostalgica tra le memorie agrodolci dell’epoca d’oro del clubbing e del giornalismo musicale, ma sempre con il sorriso e l’occhio al futuro di chi ha ancora tanto da dire.
(ENGLISH VERSION BELOW)
Cominciamo parlando del presente: come sei finito a Seoul e cosa ci fai qui?
Sono ormai quasi cinque anni che mi godo la vita qui a Seoul. Sono venuto perché a mia moglie è stato assegnato un incarico qui in Corea e come DJ, produttore musicale e scrittore posso lavorare ovunque. In passato avevo già viaggiato in Corea del Sud e mi allettava l’idea di vivere in una di queste megalopoli super moderne dell’Asia orientale. Tra l’altro è un bel momento per stare in Corea, è un posto molto avanzato e ora anche di tendenza. È molto diverso da 15 anni fa. Allo stesso tempo, ricevo molto rispetto come DJ europeo, e il fatto di aver prodotto una traccia che la gente ancora conosce e apprezza mi ha aiutato parecchio: anche se oggi non suono più molto con i vinili, mi piace ancora visitare i negozi di dischi. Così, quando mi sono trasferito qui, sono andato a visitare alcuni negozi locali e ci trovavo i miei dischi. Ai proprietari dei negozi ha fatto piacere incontrarmi e hanno cominciato a invitarmi alle loro serate. Anche gli streaming per il canale YouTube MixMixTV mi hanno aiutato a farmi conoscere.
Trovi ancora il tempo per produrre musica?
Sì, ho un piccolo studio a casa e continuo a produrre. L’anno scorso ho pubblicato un album che avevo iniziato a realizzare prima di venire qui: è un album di cover disco di alcune delle mie canzoni preferite dell’era hippie. Ho notato che c’è una connessione tra la cultura hippie e la primissima cultura disco, e ci sono molte canzoni hippie dei Chicago o dei Led Zeppelin che sono assimilabili con il primissimo stile disco, quando non era chiamata disco. Ho fatto molte ricerche sulla storia della disco music e ho iniziato a immaginare come avrebbe suonato la musica hippie se avessero fatto musica disco fin dall’inizio. L’album si chiama Flower Hans, che è anche il nome di un negozio di fiori qui a Seoul, quello che compare sulla copertina del disco. Ora ho quasi finito un altro album, questo non sarà disco, è più synthwave e kraut rock. Questa città mi da molta ispirazione, è molto dinamica e frenetica rispetto alla Germania e a molti altri paesi europei. Mi ha fatto ringiovanire di 10 anni!
So anche che la produzione musicale non è la tua unica occupazione…
Fondamentalmente faccio tre cose: scrivo, faccio il DJ e produco musica. Ho iniziato quando avevo 13 o 14 anni e ho fatto queste tre cose per tutta la vita, nient’altro. Durante la mia adolescenza avevo delle band e suonavo punk e post-punk. Sono cresciuto in una piccola città nel sud della Germania. C’è un grande lago tra Germania, Svizzera e Austria chiamato Lago di Costanza. Mi sentivo piuttosto solo e la musica era provinciale. Ascoltavo la radio e sognavo un mondo più interessante ed emozionante lá fuori. Poi, quando avevo forse 15 o 16 anni, ho iniziato a leggere riviste musicali più serie. Mi sono reso conto che ci sono firme, persone con un nome e cognome, che hanno un certo stile riconoscibile, una specie di pop star degli scrittori. Così, finita la scuola, sono andato ad Amburgo a studiare, con l’idea che forse avrei trovato delle riviste per cui lavorare. Ho iniziato scrivendo recensioni di film per una rivista locale, poi sono diventato editor della sezione cinematografica, fino a quando poi ho iniziato a lavorare anche per la rivista Spex. Per me è stato quasi il lavoro dei miei sogni: leggevo Spex Magazine da un sacco di tempo, da quando andavo ancora a scuola. Questo è il motivo per cui poi mi sono spostato a Colonia, mi è stato chiesto di trasferirmi lì per Spex. Lì ho anche creato le feste Whirlpool, grazie alle quali ho conosciuto Justus ed Eric. Inizialmente la band era un ramo del “progetto Whirlpool”, come c’erano le feste Whirlpool, c’erano anche le produzioni Whirlpool: Whirlpool Productions.
E poi è arrivata la hit, “From: Disco To: Disco”. Come vi è venuta in mente una traccia del genere?
Quando abbiamo realizzato la traccia, avevamo praticamente finito di lavorare al nostro secondo album. Avevamo fatto uscire il primo album un anno prima, si chiamava “Brian De Palma”, dal nome del regista. Era stato pubblicato da un’ottima etichetta indipendente e avevamo ricevuto delle recensioni abbastanza positive. Le vendite non erano male, soprattutto la stampa musicale tedesca lo vedeva come un grande risultato. Avevamo fatto molto sampling, con un approccio diverso dalla scuola dei produttori disco di Francoforte. Avevamo una prospettiva più alternativa. Quindi, visto che il primo disco aveva avuto un discreto successo, ci contattò una major, la ElektroMotor, che oggi è sotto Universal, e quindi avevamo un po’ di budget. Il primo album è stato realizzato nel mio salotto, questa volta invece volevamo registrare le voci per bene, quindi stavamo cercando un altro posto dove poter fare la sessione di registrazione. Avevamo saputo che in un villaggio appena fuori Colonia c’era lo studio della leggendaria band krautrock “Can”, che per rilevanza metterei allo stesso livello dei Kraftwerk. La loro sala prove era un vecchio cinema di paese costruito durante il periodo nazista. Era fantastico perché era molto alto, tutto ricoperto di enormi dipinti e murali hippie e pieno di strumenti di Holger Czukay (cofondatore della band Can, ndr). Aveva tutta la sua collezione di percussioni esotiche e c’erano tutti questi sintetizzatori modulari e analogici, pianoforte a coda, chitarre e batteria, un sacco di roba. Un’altra cosa speciale di quello studio era che non c’era separazione tra la cabina di regia e il luogo in cui suonavi. Ti invitava a sperimentare, magari a volte fumando un po’. Quindi siamo rimasti lì per due settimane e ci siamo divertiti molto.
Quindi è qui che è nata la traccia?
Sì, prima abbiamo lavorato su tutte le altre tracce dell’album, le abbiamo portate lì perché fossero finite. Una volta finito, ci rimanevano ancora due giorni in studio. Era un venerdì ed Eric, il cantante, era andato a fare un DJ set. Quindi eravamo solo io e Justus: avevamo deciso di voler comporre una traccia nuova, realizzata completamente in quello studio. Abbiamo lavorato sulla traccia base, sul loop e sulla batteria; il giorno dopo l’abbiamo finalizzata. Ho preso il vecchio basso di Holger Czukay e ci ho suonato la linea di basso, che è praticamente solo una semplice ottava. Però il basso era davvero pesante e facevo fatica a suonarlo, così ho usato due tracce per registrare la linea di basso, su una suonavo solo la nota bassa, e sull’altra quella alta, per sei minuti. Eric ha suonato il Fender Rhodes, da cui poi abbiamo tagliato le parti migliori del piano e le abbiamo arrangiate. Infine, abbiamo aggiunto il campione delle ragazze che cantano “Love”. Tutto questo prima che mettessimo la voce. Avevamo deciso, visto che tutti avevamo un background house, di registrare dei campioni vocali, qualcosa come “get down” o “feel it”. L’idea era di andare al microfono e provare delle cose per poi tagliarle e campionarle. Ma era anche un sabato sera ed eravamo molto orgogliosi del nostro album. Quindi abbiamo fatto un po’ di festa con una bottiglia di champagne, la “strumentazione” per fumare e tutto il resto, poi ci siamo posizionati attorno al microfono. L’ingegnere del suono, René, era un tipo sveglio, sapeva che il nastro doveva sempre registrare, non sai mai cosa verrà fuori. Ciò che si sente nella traccia infatti è improvvisazione totale, senza modifiche. Dopo aver scherzato un po’ davanti al microfono siamo andati dal fonico per chiedergli di iniziare a registrare e lui ha detto: “No, abbiamo finito, ho già tutto”. Abbiamo ascoltato e ne siamo rimasti stupiti. Era geniale come, non importa quanto Eric cantasse male, il campione delle ragazze arrivava sempre a tempo e intonato. Non si poteva ripulire, era perfetto così. Ci è voluto un po’ per convincere l’etichetta ma alla fine il singolo è finito nell’album e quando siamo andati in tour in Germania è stato ovviamente uno dei preferiti del pubblico.
Com’è stata l’esperienza del tour?
È stata dura, non lo nascondo. Fare il DJ è una cosa, perché suoni solo di venerdì, sabato, forse il giovedì. Fare il DJ significa anche viaggiare da soli, magari anche su un treno di prima classe. Stai in hotel, ti invitano a cena, torni per un pisolino e poi vai al club, oltretutto guadagnando anche un sacco di soldi. Andare in tour con una band significa viaggiare in un furgone puzzolente e suonare tutte le sere. Ogni locale e ogni pubblico hanno un’atmosfera diversa, ma tu devi suonare sempre più o meno lo stesso set. Con un live elettronico hai ancora meno flessibilità di una band con batteria e chitarre. Non puoi cambiare la dinamica o la lunghezza del set. Dopo un po’ eravamo sfiniti e abbiamo iniziato a scannarci un po’ a vicenda.
Poi è arrivata la notizia inaspettata…
Sì, erano i primi di febbraio del 1997, la nostra label manager mi ha chiamato e mi ha detto: “La vostra traccia è al numero 36 delle classifiche italiane“. Oh wow, fantastico. Poi mi ha chiamato una settimana dopo e mi ha detto: “Adesso siete al numero 27“. Poi è diventata più seria. Una o due settimane dopo: “Siete al numero 18, e entrerete nella top 10 delle classifiche italiane, quindi preparatevi“.
Suona un po’ come una minaccia!
Già, e poi è successo davvero: mi ha chiamato di nuovo per dirmi che eravamo al numero 1 in Italia. È stato fantastico. Eravamo al numero 1, sopra gruppi come gli U2, che erano arrivati solo al secondo posto. È divertente perché in Germania eravamo considerati una band intellettuale e progressista, eravamo considerati un progetto interessante. In Italia invece eravamo una band nuova, tre clown sbronzi arrivati dalla Germania, la nostra immagine completa non è mai passata in Italia. Però ho dei ricordi molto belli legati alle nostre esperienze in Italia, come quando eravamo ospiti ad una trasmissione in radio da Albertino, c’erano i bambini fuori a chiedere gli autografi. Bellissimo! Sono grato alla vita per aver potuto sperimentare qualcosa del genere. Siamo stati anche ospiti di un programma televisivo chiamato Jammin, condotto da tre bellissime ragazze italiane. Siamo addirittura arrivati in limousine. In realtà, siamo usciti dalla porta sul retro, c’era un vicolo laterale e lì c’era una limousine, siamo entrati con le ragazze e abbiamo guidato per 50 metri. È così che fanno in TV le persone che arrivano in limousine! Abbiamo fatto anche un altro paio di programmi televisivi all’aperto, uno con Jovanotti, e abbiamo ricevuto molti inviti a suonare nei club italiani, tipo al “Celebrità”, ma ci siamo subito resi conto che eravamo lì solo per suonare la stessa canzone a ripetizione. Ci è sembrato un po’ stupido.
Perché l’Italia? Pensi che ci fosse qualcosa di speciale in quel periodo in Italia? Qualcosa che ha fatto scattare la scintilla con la vostra traccia.
Se sei con una major, loro mandano il loro repertorio alla compagnia gemellata in Italia, in Francia, in Inghilterra. Quindi hanno mandato il pezzo alla PolyGram di Milano e lì hanno fatto una sessione di ascolto. Si sono seduti attorno a un tavolo e hanno ascoltato il nostro disco. C’era un tizio, Emilio Lanotte, della Zac Music, che ha ascoltato “From: Disco To: Disco” e ha detto: “È fantastico, lo trasformeremo in un successo.” E poi l’hanno trasmesso alla radio. Penso che il successo in Italia sia dovuto molto al fatto che ai DJ radiofonici piaceva davvero suonarlo. Forse perché la musica spensierata, la musica passionale e la disco music sono molto più care al gusto italiano e al popolo italiano rispetto ad altri posti. In Germania alla radio c’è molto più rock. C’è una tradizione disco in Italia, molto più lunga, profonda e più elegante, non solo il lato stupido della disco music.
Pensi che le cose siano cambiate? Rispetto agli anni ’90 la scena del clubbing italiano non sembra più così rilevante come un tempo.
Beh intanto molti altri paesi siano entrati nel circuito. All’inizio degli anni ’90 non c’erano così tanti dischi provenienti dal Portogallo, dalla Spagna, dalla Scandinavia o addirittura dall’Asia. C’erano principalmente gli Stati Uniti, il Regno Unito, l’Italia e poi anche la Germania, con la techno minimale. Ogni tanto vedo dei dischi che mi piacciono su Bandcamp di qualche produttore italiano, ma non saprei nemmeno dirti i nomi in questo momento. Però sicuramente qualcosa è cambiato: ricordo che la cultura dei DJ e lo status dei DJ erano molto diversi in Italia rispetto alla Germania. Nel ’92 i DJ italiani avevano il cellulare… In Germania nessuno aveva il cellulare! Quando lavoravo come giornalista musicale, prima del successo con Whirlpool Productions, sono venuto in Italia per scrivere un articolo e la nostra guida era Ivan Iacobucci. Ricordo che ero in questa macchina pazzesca e potevo fare chiamate con il cellulare, una cosa inaudita all’epoca! Ricordo molto bene quando sono andato all’Ethos Mama a Riccione: la gente era così bella, alla moda. Il suono era avvolgente come un bagno caldo, era bellissimo. Ricordo perfettamente quando una traccia si era fermata ed era entrato l’organo di Gypsy Woman. Era la prima volta che sentivo quel pezzo: quasi piangevo. Tutto era così colto, così raffinato, curato per il massimo divertimento. Anche la dedizione dei frequentatori dei locali era impressionante, viaggiavano molto nel weekend, risparmiavano e mangiavano patate per tutta la settimana, solo per permettersi l’ingresso e i vestiti.
Tornando a te e ai Whirlpool Productions, come sono andate le cose dopo aver ottenuto tutto quel successo?
Eravamo sexy per l’etichetta perché avevamo un disco numero uno, quindi erano felici di darci più soldi, ma le aspettative erano molto alte. Per produrre l’album successivo abbiamo deciso di andare in Giamaica, che non è stata una buona idea. Avremmo dovuto restare nello stesso studio e poi magari, una volta finito, saremmo andati in vacanza in Giamaica. Faceva un caldo incredibile, non l’ideale per il tipo di musica dance energica che volevamo fare. Inoltre, stavamo in una “prigione” di lusso, in un resort, senza andare nei villaggi. Quindi la produzione di quell’album non andò benissimo e non riuscimmo a ottenere un altro successo. La ElektroMotor ci lasciò. Circa un anno dopo la Warner Brothers ci contattò per farci firmare. Ricordo che eravamo seduti nel loro ufficio ad Amburgo tra i dischi d’oro di Neil Young, Joni Mitchell e Madonna. Sfortunatamente, la chimica tra noi aveva smesso di funzionare. Abbiamo iniziato ad avere idee diverse su come affrontare il successo, per dirla in modo educato. Abbiamo pubblicato un altro album ma poi abbiamo deciso che non saremmo andati in tour, quindi anche la Warner Brothers ci ha lasciato. Fu allora che decisi che avrei finalmente lavorato al mio libro.
Il tuo libro? Dimmi di più.
L’idea per il primo libro mi è venuta nel ’98, tornavo da una città chiamata Lipsia dov’ero andato a mettere i dischi. A Francoforte, quando ho cambiato treno, sul binario ho incontrato un tizio che conoscevo da Colonia, era a capo di un’ottima casa editrice; molte persone che lavoravano per la Spex avevano scritto libri per loro. Quindi eravamo sul treno e gli ho parlato di Lipsia, di come non te la potevi immaginare se non ci eri stato. Ero una delle poche persone della Germania Ovest che andava nella Germania dell’Est e vedeva oltre lo stereotipo, una visione molto più profonda dell’Est tedesco, quindi avevo molto da raccontare e lui mi ha suggerito di scriverci un libro! Ci sono voluti anni prima di trovare finalmente il tempo di scriverlo, ma è da lì che è nata l’idea.
Più parliamo, più mi rendo conto che c’è molto di più oltre l’Hans che ha scritto From: Disco To: Disco! Forse possiamo chiudere l’intervista con un suggerimento per qualcuno che vorrebbe esplorare il tuo repertorio. Qual è una traccia o un album da cui suggeriresti di iniziare?
Prima di tutto voglio dire che sono molto orgoglioso di quella canzone. Non è una canzone normale: è decisamente insolito e improbabile riuscire a pubblicare qualcosa del genere. È una pura espressione di ciò che eravamo, l’umorismo, la stravaganza, lo spirito liberale. Non è stato un successo cinico calcolato, è una traccia quasi sperimentale che viene ancora remixata e ripubblicata al giorno d’oggi. Proprio l’anno scorso è stata concessa in licenza a Hugo Boss per una campagna sui social media di tre mesi con Naomi Campbell. Ma se vuoi ascoltare più cose nostre, tutte le altre canzoni dell’album danno sicuramente un quadro più sfumato. Ho fatto anche molti album da solista, ho scritto altri tre libri e sto lavorando al quarto, che ha molto a che fare con la mia esperienza in Corea. Quindi sì, c’è molto materiale là fuori se le persone vogliono approfondire. Penso che l’album Hippie Disco di cui ho parlato prima sarebbe una buona opzione per cominciare, penso che la gente in Italia lo apprezzerebbe.
English Version
Let’s start talking about the present: how did you end up in Seoul and what are you doing here?
I’ve been enjoying my life here in Seoul for almost five years now. I came because my wife was appointed with a job here and as a DJ, music producer, and writer, I can work anywhere. I had already traveled to South Korea in the past and the idea of living in one of these East Asian super-modern megacities was very appealing. It’s a great time to be here because Korea is very advanced and hip. It’s very different from how it was 15 years ago. At the same time, as a European DJ, you get a lot of respect, and the fact that some time ago I made a track that people still love very much helped. Although I don’t DJ so much with records these days, sometimes I still like to visit record shops. So when I moved here I visited some of the local shops and started to find records I made. The record shop owners were usually very happy to meet me and started to invite me to their nights. The shows I made for the YouTube channel MixMixTV also helped me get more known in Korea and I got quite a lot of bookings.
Do you still find the time to work on new music?
Yes, I have a little studio at home and I’m constantly producing. Last year I released an album that I had started to do before I came here: it’s an album of disco cover versions of some of my favorite songs from the hippie era. I noticed that there is a connection between the hippie culture and the very early disco culture, and there are quite a lot of hippie songs by Chicago or Led Zeppelin that were part of the very early disco style, when it was not called disco. I did a lot of research on disco history and started to imagine how it would have sounded if the hippies had made disco music from the beginning. The album is called Flower Hans, which is also the name of a flower shop here in Seoul, featured on the cover of the record. Now I’m almost done with another album, this one won’t be disco, it has more to do with dark synth-wave and kraut rock. I’m getting a lot of inspiration from the city, it’s very dynamic and fast-paced compared to Germany and many other European countries. It made me 10 years younger!
And I know music production is not your only occupation…
Basically, I do three things: I write, I DJ, and I produce music. I started when I was 13 or 14 and I’ve done this my whole life, nothing else. In my teenage years, I had bands and I would play punk and post-punk, stuff like that. I grew up in a small town in the south of Germany. There is a big lake between Germany, Switzerland and Austria called Lake Constance. I was quite lonely there and the music was provincial. I was listening to the radio and I was dreaming of a more interesting and more exciting world outside. And then I started to read when I was maybe 15 or 16, I started to read more serious music magazines. I realized that there are writers, people with names and who have a certain style and characters, sort of writers pop stars. So when I finished school, I went to Hamburg to study, with the idea that maybe I would find some magazines to write for. I started by writing movie reviews for a city magazine, then became the movie editor, and even started working for Spex magazine. That was almost like a dream job for me. Because I had read Spex Magazine since when I was at school. That was the reason I then moved to Cologne, I was asked to move there for Spex magazine. There I started the Whirlpool parties, through which I met Justus and Eric. Initially, the band was a branch of the “Whirlpool project”, like there are the Whirlpool parties and then the Whirlpool productions.
And then came the hit, From: Disco To: Disco. How did you come up with such an unusual track?
Well, by the time we made the track, we were basically done working on our second album. We had a first album one year prior that was called Brian De Palma, after the movie director. It was released on a very good independent label and we got pretty positive reviews. Also, the sales were okay, but especially the German music press saw it as a great achievement. We did a lot of sampling, with a different approach from the Frankfurt school of disco and music producers. We were coming more from an alternative angle. So, because the first record was very successful, we got picked up by a major label, ElektroMotor, which nowadays is Universal, and we had a bit of a budget. The first album was made in my living room studio, but this time we had decided that we wanted to record the vocals properly, so we were looking for another place where we could go and do a proper recording session. We heard that outside of Cologne, in a small village, there was the studio of the legendary Krautrock band Can, which in terms of relevance I would put right next to Kraftwerk. Well, their rehearsal space was an old village movie theater that had been built during the times of the Nazis. It was great because it was very high, all covered with huge hippie wall paintings and tons of instruments by Holger Czukay. He had all his exotic percussion collection and there were all these modular and analog synthesizers, grand piano, guitars and drums, everything. Another special thing about that studio was that there was no separation between the control booth and the place where you play. It was a place that was very inviting for experimenting and hanging out, maybe sometimes smoking a little bit. Stuff like that. So, we stayed there for two weeks and enjoyed it a lot.
So that’s the place that gave birth to the track?
Yes, first we worked on all the other tracks of the album, we brought them there to be finished. Once we were done with that, we still had two more days in the studio left. It was a Friday and Eric, the vocalist, went away to DJ. So it was just Justus and me: we had decided we wanted to make one full new track completely made in that studio. We worked on the basic track, the loop, and the drums; the next day we worked on finalizing it. I took the old bass guitar of Holger Czukay and I played the line, which is just a simple octave. The bass was really heavy and I was struggling to play it, so I used two tracks to record the bass line, on one I was only playing the down note, and on the other one the up note, for six minutes. Eric played the Fender Rhodes keyboard, and we cut the good parts of the piano out and arranged it. Finally, we added a sample of the girls singing “Love”. That was all done before the vocals. Finally, we decided, since we were coming from a house music production approach, to record some vocal samples ourselves, something like “get down” or “feel it”. We would go to the microphone and just try some stuff to then chop it up, and put it on the track. It was also a Saturday evening and we were very proud of our album. So, we had a little celebration with a bottle of champagne, the smoking gear, and everything, and placed ourselves around the microphone. The engineer, René, was very smart and knew that the tape always has to run, you never know what you’re going to get. What you hear in the track it’s real-time improvisation, no edits. After we messed around a bit we went to the engineer to ask him to start recording and he was like “No, it’s all done, I got it”. We listened back and we were amazed. It was genius how, no matter how wrong Eric would sing, the sample of the girls would always come on time, perfectly in tune. We thought we couldn’t clean that up, it was perfect like that. It took a little bit to convince the label but finally the single ended up on the album and when we went on tour in Germany it was a big favorite with the crowd, of course.
How was the touring experience?
It was tough, I won’t hide it. You know, DJing is one thing, because usually you DJ only on Friday, Saturday, maybe Thursday. DJing also means you travel alone, sometimes even on a first-class train. You go to a hotel, you have a nice dinner, you go back for a nap and then you hit the club while getting a whole lot of money. But touring with a band means you are in a stinky van and you play every night. Plus each venue and each crowd has a different vibe, but you’re always playing more or less the same set. With an electronic project, you even have less flexibility than a band with drums and guitars. You can’t change the dynamic or the length of the set so much. So after some time we were pretty wasted and we got a bit on each others’ nerves.
Then the unexpected news arrived…
Yeah, it was early February 1997, when our label manager called me and said: “Your track is number 36 in the Italian charts.” Oh wow, this is great. And then she called me one week later and said: “Now you are number 27 in the Italian charts.” And then she got more serious. One or two weeks later: “You are number 18 now, and you will go top 10 on the Italian charts, so be prepared.”
Sounds like a threat!
Yeah, but then it happened: she called me again to tell me we were number 1 in Italy. This is so great. We were number 1, above bands like the U2, who only reached number 2. It’s funny because in Germany we were considered quite a progressive intellectual and we were a very interesting project. In Italy, we were like a novelty act, three drunk clowns from Germany, which was funny for us. The bigger picture never translated to Italy. But I still have very nice memories from our experiences in Italy, like when we were guests at a radio show by Albertino, we were driving up to the station and children were asking for autographs. This is amazing! I’m very grateful to life to have experienced something like that. We were also guests on a TV show called Jammin hosted by three gorgeous Italian girls. For that one, we arrived in a Limo. Actually, we went out the back door, there was a side alley and there was a stretch limo, so we went into the stretch limo with the girls and we drove 50 meters. That’s it, that’s where the people that arrive on a limo usually come from! We did a couple more open-air TV shows, like one with Jovanotti, and we got a lot of invitations to play at Italian clubs, like “Celebrità”, but we quickly realized we were just there to perform that one song over and over again, it felt a bit stupid.
I wonder why Italy? Do you think there was something special at that time in Italy? Something that made your track click.
You know, if you are on a major label, they send their repertoire to the sister company in Italy, in France, in England. So they sent it to a PolyGram in Milan and they had a listening session. They sat around a big table and they listened to our record. There was one guy, Emilio Lanotte, from Zac Music, who heard “From: Disco To: Disco” and said, this is great, we will make this into a hit. And then they pushed it on the radio. I think the success in Italy had a lot to do with the fact that radio DJs really loved playing it. Maybe it’s because fun music, passionate music, and disco music are much more dear to the Italian taste and the Italian people than other places. In Germany, there is much more rock on the radio. There is a disco tradition in Italy, much longer, deeper, and more stylish, not just the stupid side of disco.
Do you think things have changed? Compared to the 90s, the Italian clubbing scene doesn’t seem as relevant as it used to be.
Well, I think first of all many other countries are now in the game. In the early 90s, there were not so many records coming from Portugal, Spain, Scandinavia, or even Asia. It was mainly the US, UK, Italy, and then also Germany that started to come in with the minimal techno stuff. Every now and then I see records I like on Bandcamp by some Italian producer, but I could not even tell you names right now. But definitely, something has changed: I remember that DJ culture and the status of DJs were very different in Germany. I mean in ’92 they all had mobile phones and nobody had a mobile phone in Germany! When I was working as a music journalist before we had that hit, I came to Italy for a piece and our guide was Ivan Iacobucci. I remember I was sitting in his fantastic car and making phone calls, which was unheard of at the time! I remember very well when I went to that club, Ethos Mama in Riccione, and the people were so beautiful and very fashionable, and the sound was like a gigantic bubble bath, it was so good. I remember so clearly when one track stopped and then the organ of Gypsy Woman by Crystal Waters came in. It was the very first time I heard that song: I almost cried. Everything was so cultured, so tasteful, curated for maximum enjoyment. The dedication of the clubbers was also impressive, traveling long ways every weekend, saving money, and eating cold potatoes all week, just to afford the night and the outfit.
Going back to you and Whirlpool Productions, what happened after you had that big success?
We were sexy for the label because we had a number-one hit, so they were happy to give us more money, but the expectations were also very high. To produce the next album we decided to go to Jamaica, which was in my opinion not a good idea. We should have stayed in the same studio and then maybe when we had finished we would have gone to Jamaica for holidays. It was so hot there, not ideal for the kind of energetic dance music we wanted to make. Also, we were staying in a luxury “prison”, at a resort, not going to the villages. So the production side of that album didn’t go very well and we did not get another hit and ElektroMotor dropped us. About a year later Warner Brothers signed us. I remember that we were sitting in their office in Hamburg among gold records by Neil Young, Joni Mitchell, and Madonna. Unfortunately, the chemistry wasn’t working. We started to have different ideas on how to deal with success, to put it politely. We released another album but then we decided that we wouldn’t go on tour, so Warner Brothers dropped us too. That was the time when I decided that I would finally write my book.
Your book? Tell me more about it.
The idea for the first one came in ‘98, I was coming back from a city called Leipzig from DJing. In Frankfurt, when I changed the train, on the platform I met a guy I knew from Cologne who was the head of a very good book publishing company. Many people working for Spex had done books for this company. So we were on the train and I told him about how you cannot imagine Leipzig, I was one of the few people from West Germany who would go to East Germany and see a different kind of East Germany, get a much deeper insight into the East German world, so I had a lot to tell and he suggested I should write a book about this! Took many years to finally find the time to write it, but that’s where the idea came from.
The more we speak the more I realize the so much more beyond Hans who wrote From: Disco To: Disco! Maybe we can close the interview with a suggestion for someone who would like to explore your repertoire more. What’s a track or an album you’d suggest to start from?
First of all, I want to say that I am very proud of that song. It’s not a normal song: it’s very unusual and unlikely that you’d get away with something like that. It’s a pure expression of what we were, the humor, freakiness, the liberal spirit. It wasn’t a calculated cynical success, it’s quite an experimental track that is still being remixed and re-released nowadays. Just last year it was licensed by Hugo Boss for a three-month social media campaign with Naomi Campbell. But if you want to listen to more stuff, all the other songs on the album give a more nuanced picture. I also did a lot of solo albums, I wrote three more books and I am working on the fourth one, which has very much to do with my experience in Korea. So, yeah there’s a lot of material out there if people want to dive deeper. I think the Hippie Disco album I mentioned earlier would be a good option to begin with, I think people in Italy would enjoy it.