Probabilmente nominando Funk D’Void, al secolo Lars Sandberg, cuore e orecchie vi riporteranno dritti dritti al successo di “Diabla”. Correva l’anno 2001, e mancava poco di sentire quel disco pure nei bar tabacchi. Lars però è tanto altro, chi lo conosce lo sa. L’università di provenienza è di quelle prestigiose, la Glasgow a cavallo fra anni ’80 e ’90 con autorevoli rettori gli Slam e la loro Soma Records. Da lì in poi ne ha fatta di strada questo talentuoso “scotsman”, e per conto suo. Nel panorama techno è riuscito a farsi un nome, ma soprattutto è riuscito a farsi un suono. Melodica, diversa, la sua techno è muscolare senza rinunciare ad essere soulful. D’altronde parliamo di una personalità eclettica, schizofrenica al punto da cambiare nome e nazionalità quando si esprime (alla grande) con sonorità deep. Via il kilt e il nome rubato a un disco di George Clinton, ed ecco il basco alla francese di Francois Dubbois. Da questa doppia personalità arrivano produzioni diverse ma dal denominatore comune: la qualità. Lars è un artista nel senso più genuino del termine, non produce su richiesta di gusti e mode del momento. Il piacere di far musica guida i suoi lavori e la Outpost Records, label di proprietà, garantisce le mie parole. Lars è largamente rispettato e riconosciuto per talento, passione e competenza in un ambiente dove non mancano invidie e sgambetti. Nient’altro da aggiungere, intervistarlo è proprio un gran piacere.
Partiamo dall’inizio. Grazie a tua madre, pianista per professione, hai cominciato a suonare il piano sin da bambino. Guardandoti alle spalle, quel tipo di educazione come ha influenzato i tuoi gusti musicali e il tuo modo di produrre musica?
Penso che essere stato trascinato ogni weekend nei concerti me li abbia sicuramente fatti piacere! A volte mia madre portava a casa dei sintetizzatori e li lasciava in salotto, io poi ci giocavo tutto il giorno come può fare un bambino, catturato dal suono che usciva dalle casse. Quindi sono stato abbastanza fortunato ad essere circondato da tutta quella musica fin da giovane, questo è certo.
Più tardi, drum machine e la prima house Chicago hanno aperto una breccia importante nel tuo percorso musicale. L’unicità del tuo suono è stata però forgiata dagli Slam (fondatori della storica etichetta Soma), con la loro opera di evangelizzazione techno a Glasgow. Puoi parlarci meglio di questa contaminazione, di quel periodo e del tuo rapporto con la Soma?
Gli Slam erano dj e promoter a cui guardavo con ammirazione, anche se avevo già cominciato ad appassionarmi a suonare come dj per conto mio. Diciamo che rappresentavano la scelta naturale quando è arrivato il momento di consegnare ad una label il mio primo demo (“Jack Me Off”). Slam e la Soma sono stati il punto di riferimento per Glasgow sin dall’inizio ed è grazie a loro che è decollata la mia carriera a metà anni novanta. In quel periodo, quando ancora vivevo lì, era un momento magico. La techno emergeva prepotentemente.
Dal 2001 Francois Dubois, il tuo alter ego francese, è apparso sulla scena. Si è distinto per una produzione deep house ricercata, come ad esempio la dolcemente ipnotica “Tenori” o il grande successo underground “Blood”. Ti sei sentito intrappolato dall’eredità techno di Funk D’Void? Come gestisci questa “bipolarità”?
Ho bisogno di entrambe le personalità per trovare ispirazione in studio, ho periodi in cui compongo più sotto l’influenza di uno dei due, dipende dai miei gusti in quel particolare momento. Adoro entrambi gli stili ma la mia anima ha bisogno di più musicalità o “profondità” quando il beat più pesante non riesce a fare altrettanto. Il suono di Francois tornerà a breve…
Dimostri di essere estremamente a tuo agio quando ti esibisci, sei sempre in grado di creare un legame emozionale con la gente. Oltre al tuo talento musicale, questo è il motivo per cui sei così richiesto. Come riesci ad innescare questa alchimia?
Per me è qualcosa di naturale, da quando ero bambino sono stato sempre affascinato nel coinvolgerel gente che non conoscevo alla musica che mi piaceva. Posizionavo le casse di mia madre vicino alla finestra per sparare musica ad alto volume e vedere la reazione delle persone per strada.
Hai passato gli ultimi 20 anni a suonare in giro per il mondo. Quali sono state le esibizioni che ti ricordi con più piacere? Quali i club che ti hanno maggiormente emozionato?
Tantissimi ricordi! La mia prima serata all’Air di Tokyo è stata incredibile, un’altra volta mi sono quasi commosso all’Audio Tonic Club 360, a Dubai. Anche suonare “Diabla” per la prima volta al Detroit Music Festival è stata una grande emozione. Un altro momento memorabile è stato un afterparty nella villa di Sven Vath a Ibiza, guardando Richie Hawtin ballare ad occhi chiusi mentre Sven suonava la prima copia promo di “Emotional Content”. Il Sub Club di Glasgow ha probabilmente i migliori ricordi, è stata la mia università!
Lars, sei per metà svedese e per l’altra australiano, nato e cresciuto a Glasgow, residente a Barcellona ma spessissimo in giro per il mondo a suonare. Da un punto di vista musicale, quale è casa tua?
Ovunque sia il mio studio! Ho registrato in tutti questi posti ma penso di ricordare con maggiore affetto il mio primo piccolo monolocale nella zona ovest di Glasgow, attrezzato solo con un Atari, un piccolo sampler e un paio di drum machines…
Passiamo alle tue produzioni. Hai dichiarato di aver sempre preferito la qualità alla quantità. Oggi il mercato della musica elettronica sembra essere arrivato al punto di saturazione, con molte cianfrusaglie in giro. Quando hai cominciato le risorse tecnologiche erano ben inferiori e produrre musica era molto più difficile. Cosa ne pensi? Come vedi il futuro?
Penso che se ogni produttore facesse uscire solamente lavori eccellenti (o almeno quelli che pensano siano eccellenti) invece di quelli buoni o appena accettabili, allora si potrebbe liberare spazio per far nascere qualcosa di nuovo. Ponetevi una domanda: c’è davvero bisogno di copiare un classico? Forse non si dovrebbe copiare lo stile di un altro produttore? Se senti di avere qualcosa di unico e speciale nel fare musica, allora inseguila. Per amore. Se fai questo per altre ragioni non pensarci nemmeno, e lascia che sia la voce degli artisti veramente appassionati ad essere ascoltata. Oggi è abbastanza difficile bloccare la spazzatura di massa che viene introdotta con ogni mezzo dalla nostra società. Adesso è la musica elettronica ad essere sfruttata, e non è la prima volta, ma stavolta è l’America a farlo maggiormente. Per usare un vecchio gergo minimal: less is more. E date anche un po’ di riposo alle vostre orecchie, c’è bisogno di spazio in mezzo a tutto a questo casino per riuscire ad ascoltare il suono più profondo, il suono vero.
Di fronte allo sconfinato numero di produzioni la tua selezione è una guida molto importante. Quali artisti o label dovrebbero tenere sott’occhio i nostri lettori?
Sono un grande fan di Arkist e Guy Andrews, hanno fatto due grandi uscite esclusive sulla compilation Balance. Anche Baumont Stanfors dalla Florida e il giapponese Takuya Yamashita sono i miei produttori preferiti al momento. Adoro il loro approccio verso il nostro, amato, suono techno.
Due anni fa hai creato la tua etichetta, Outpost. Techno di qualità, in buona parte prodotta da te ma anche preziose collaborazioni, specialmente quella con il producer israeliano Guy G. Tempo di bilanci: cosa ricordi più volentieri e cosa meno. Cosa dobbiamo aspettarci in futuro?
Penso che 15 uscite siano un ottimo risultato per una etichetta che esiste da soli due anni. É un lavoro duro ma considero ogni uscita come se fossero dei bambini, devi crescerli e poi farli andare per conto loro. Ce ne sono alcune di cui sono più fiero, ma tutte hanno avuto un percorso speciale e un momento di felicità. Per l’anno prossimo aspettatevi un suono più viscerale e futuristico, oltre a nuovi e misteriosi artisti…
La tua musica è sempre stata senza compromessi, disinteressata alle mode del momento. Spesso questa scelta ha allontanato le tue produzioni dall’ascolto di massa, mantenendole underground. Hai qualche rimpianto?
Per niente. C’è già abbastanza gente fasulla che sta facendo un ottimo lavoro anche senza di me! Ci mancherebbe solamente che producessi di tutto per riuscire a vendere. Ho abbastanza soldi per vivere tranquillamente e il giorno che smetterò di far musica per l’amore di farla sarà il giorno in cui cercherò un altro lavoro. Non posso fare un prezzo per la mia integrità artistica. “I soldi sono una cosa, ma la tua anima è un’altra…”
English Version:
Probably, mentioning Funk D’Void (a.k.a. Lars Sandberg), hearth and ears will bring you straight back to the hit “Diabla”. Back then, it was 2001, that track was close to be played even at 24hr shops. But Lars is much more, who knows him is aware of that. His original university is among the most prestigious, it was Glasgow between 80s and 90s. The Slam with Soma Records were eminent and demanding rectors, but from those days this talented “scotsman” walked a long path, on his own. Within the techno scene he succeed in making his mark and, most importantly, he succeed in carving out his sound. Melodic, diverse, his techno is muscolar without renouncing to be soulful. After all, we are talking about an eclectic personality, schizophfrenic enough to change his name and nationality when it comes to (beautifully) express himself using deep sonorities. In that case, his kilt and the name stolen from a George Clinton character are thrown away, in favour of a french beret worn by Francois Dubbois. From this double personality come different productions but with a common denominator: quality. Lars is a genuine artist, he does not produce “on demand”, following tastes and fashion of the moment. The pleasure of composing music drives his works and Outpost Records, his own label, guarantees my words. Lars is widely respected and recognized for talent, passion and expertise in a world where envy and spites are surely not missing. Nothing else to say, interviewing him is a truly great pleasure.
Let’s start from the beginning. You became familiar with piano at a tender age, fostered by your mother, a professional pianist. Looking behind, how that education influenced your musical tastes and the way you produce music?
I think that being dragged along to concerts every weekend definitely gave me a taste for gigs! Sometimes she brought home synthesizers and left them in the living room. I would then play them all day as a young child, blown away by the sounds that was coming out of the speakers…so I was lucky enough to have been surrounded by all that music from a young age, for sure.
Later on, drum machines and the early Chicago sound made a serious breakthrough in your musical pattern. However, your unique sound has been shaped when Slam (founders of Soma Records) started evangelising techno in Glasgow. May you tell us more about that contamination, that period, and your relation with Soma records?
They were djs and promoters who I looked up to, even though I was already getting the taste for playing out as a young dj myself…so they were the natural choice when it came to giving a record label my first demo (“Jack Me Off”). Slam and The Soma label have been the benchmark for the Glasgow seen since the beginning in my eyes and really started off my career since the mid-nineties. It was a magical time to be around then, listening to the techno sound emerge fully over that decade when I still lived there.
In 2001 Francois Dubois, your french alter-ego, appeared on the scene. He distinguished himself for accurate deep house productions, as the softly hypnotic “Tenori” or the huge underground success “Blood”. Have you felt entrapped by the techno legacy of Funk D’Void? How do you manage this “bipolarity”?
I need both musical personalities in order to be inspired in the studio, I have periods when I write more under one than the other, depending on where my taste lies at that particular time, l love both styles but my soul needs more musicality or “deepness” when the tougher stuff doesn’t do it for me as much. The Francois sound is coming back very shortly…
You look fully at your ease performing on decks, always capable of creating an emotional bond with the dancefloor. Besides your music talent, this is the reason why you are so requested. How do you trigger this alchemy?
It does feel like second nature to me, since I was a kid I’ve always been fascinated with connecting with strangers though playing music that I like…I used to place my mother’s Hi-fi speakers next to the window to play loud music and watch the people’s reactions in the street as they walked by.
You’ve been around djing for the last 20 years, ferociously touring all around the globe. May you tell us which gigs have been the most memorable and which clubs provided you the best vibes?
Lots of memories! My first gig in Air, Tokyo was mind-blowing, I was brought to tears once at Audio Tonic at Club 360, Dubai…and playing Diabla for the first time at the Detroit Electronic Music Festival was a great moment. Another time was an afterparty at Sven Vath’s Ibiza villa watching Richie Hawtin dancing with his eyes closed when Sven played the first promo record of “Emotional Content”. Sub Club, Glasgow has probably the most memories of them all, it was my University!
Lars, half Swedish and half Aussie, born and grown in Glasgow, living in Barcelona, but touring all over the world. Musically speaking, which place do you call home?
Wherever my studio is! I’ve recorded all over the place, I suppose the fondest memory is my first small bedsit in the west end of Glasgow, armed only with an Atari, small sampler and a couple of drum machines…
Regarding your productions, you claimed to have always preferred quality over quantity. Nowadays, the electronic music market seems to be overloaded, often with junk works. Back in the days when you started, tech resources were far less and producing music was harder. What do you reckon? How do you see the future?
I think that if every producer only puts out brilliant work (or at least if they think it is), instead of just good, or passable disposable tracks then it might free up some of the airwaves for the real game-changing sounds to break through. Ask yourself a question: Do you really need to rip off a classic? Maybe you shouldn’t copy another producer’s style? If you feel you have a unique and special take on this music, then pursue it. For the love. If you’re into this for any other reason, then forget it, and let the real passionate artist’s voice be heard. It’s hard enough to block out the mainstream garbage that’s pumped out into every medium of society these days and now it’s electronic music’s time to be exploited (again, but now it’s America’s turn). To use an old minimal term: Less is more. And give your ears a rest too, you need space between all this noise in order to hear the sound from within, the true sound.
Within this boundless number of productions, your selection is an extremely valuable guide. On which labels or artists our readers should keep an eye?
I’m a big fan of Arkist and Guy Andrews, they did two great exclusive tracks on the Balance compilation. Also Beaumont Stanford from Florida and Japan’s Takuya Yamashita are my fave producers right now. I love their take on our beloved techno sound!
Two years ago you started your own label, Outpost. Most of the quality techno delivered is coming from yourself but there are some precious collaborations, especially the one with the Israeli producer Guy G. It’s time to draw a line: may you tell us something about remarkable (or less remarkable) moments and future releases?
I think 15 releases is pretty good for just being a two-year old label, it’s hard work but I look at all the releases as being like children, you have to raise them and then release them out into the world. There are some I’m more proud of than others, but all of them have a special process and moment in time that I’m happy with. Expect some more visceral futuristic sounds and new artists to come over to the darkside the next year!
Your music has always been uncompromised, distant from the fashionable sound of the moment. Often, this choice pushed your productions away from the mainstream, keeping them underground. Do you have any regrets?
None whatsoever. There’s enough fakers out there doing a great job without me trying to sell out! I have enough money to live comfortably and the day I stop making music for the love of it is the day I’ll look for another job…I can’t put a price on my artistic integrity. “Money is one thing, but soul is another…”