Premetto che quelle che seguono sono senza dubbio tra le righe più difficili che mi sia capitato di riempire da quando scrivo di musica. E pensare che per due giorni non ho pensato ad altro se non a quanta voglia avevo di scriverle. Perché era giusto che chi ha lavorato seriamente ed è riuscito a migliorare qualcosa di già ottimo venisse celebrato a dovere. E sicuramente verrà il tempo per farlo. Ma non ora.
Verrà il momento in cui parlare di musica, di organizzazione, di mani al cielo e di tutto quello che è successo fino alla mezzanotte di ieri sera. Ma non è questo il tempo. Non si può rimanere indifferenti di fronte a un ragazzo che aveva appena finito di divertirsi e stava tornando a casa con i propri amici, rimasto prono sull’asfalto in una pozza del suo sangue, in mezzo a centinaia di noi che niente potevamo fare se non assistere alla crudeltà con cui certe volte il destino si abbatte sulle nostre vite.
Ricordo ancora le mie sensazioni quando arrivarono le notizie della Love Parade o del Pukkelpop. Era facile immedesimarsi in qualcuno che aveva semplicemente avuto la sfortuna di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato facendo quello che amava. Ed è stato solo per una serie di circostanze fortuite che al posto di Christian non ci fossi io o qualunque altro dei miei amici che erano al festival. Seduti sul marciapiede a ridere e raccontare di quanto aveva spaccato Richie Hawtin in chiusura, con le orecchie che ancora fischiavano. Ignari di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.
Verrà il tempo dei processi, dei giudici e dei boia, ma non è questo il tempo. Ora c’è solo bisogno di tanto silenzio. E mi scuserete se la voglia di raccontare questa festa si è fermata alla mezzanotte di ieri, insieme al cuore di Christian.
Uno come me, uno come tutti noi.