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[tab title=”Italiano”]È una delle persone più sincere, disponibili e pure simpatiche che ci sia capitato di incontrare e sappiamo bene come in certi ambienti che comportino un minimo di esposizione mediatica questa sia merce più unica che rara. Gareth ha costantemente i piedi per terra, nonostante l’indiscutibile successo meritatamente conquistato da artista, e personalità da vendere. Abbiamo cercato di farla emergere con questa chiacchierata, troppo breve ma molto intensa, che abbiamo avuto con lui subito dopo il suo set all’Electronic Family di Amsterdam.
Questa è la seconda volta che ci incrociamo in pochi mesi. A dire la verità, per un paio d’anni ti avevo perso di vista, ma nel 2016 ti ho visto esibirti già all’ASOT Festival ad Utrecht, poi oggi, ed entrambe le volte mi sei piaciuto molto. Direi che quest’anno stai viaggiando sulla cresta dell’onda, o sbaglio?
Si, devo dire che finora è stata una grande annata. Non ho viaggiato molto l’anno scorso, sono diventato papà per la prima volta quindi ho preferito rimanere a casa più tempo possibile. Ora vivo a Los Angeles e sono stato abbastanza fortunato ad avere dei buoni agganci a Las Vegas che mi hanno permesso di suonare una manciata di volte senza allontanarmi troppo da casa. Quest’anno invece ero deciso a tornare in tutti quei posti da cui ero mancato, dal Tomorrowland all’Electronic Family, dal Creamfields ad Ibiza e via dicendo. È stato bello prendermi questa specie di anno sabbatico, con tutto quello che ha comportato, ma ora è altrettanto bello essere di nuovo in tour.
Sai, sembri davvero felice ed entusiasta quando sei sul palco. Hai un’interazione costante con chi è in pista e si vede che ti diverti. Credo che questo abbia delle ripercussioni sulla tua musica…
Si, assolutamente! Ogni volta che ti esibisci, hai una sola chance, non puoi tornare indietro. Prendi oggi, per esempio, quell’ora e un quarto in cui ho suonato è venuta una volta sola, e cerco sempre di tenere a mente che è tempo preziosissimo. Quando ti trovi davanti a cinque, diecimila persone per settantacinque minuti, devi dare il meglio, divertirti più che puoi, gustarti il momento. Ma ti devi anche ricordare che sei in qualche modo debitore nei confronti delle persone che hai davanti. Hanno speso dei soldi per essere lì a vederti – oggi i festival sono piuttosto cari – il più delle volte hanno diversi stage tra cui scegliere, come oggi che ce ne sono quattro e tutti pieni zeppi di grandi artisti, quindi significa che se qualcuno sceglie di ascoltare me nutre un minimo di fiducia nei confronti del mio set, fiducia che mi devo sforzare di ripagare dando sempre il 100% quando sono in consolle. È prima di tutto una forma di rispetto. E poi, come dicevi tu, il fatto che mi diverta così tanto a suonare ha dei riflessi sulla musica stessa. Il mio ultimo album “100 Reasons To Live”, per esempio, è un album dall’atmosfera positiva. Mentre lo componevo, passavo un momento felice della mia vita e credo si senta molto, nelle melodie, nei testi etcetera…
Era esattamente dove volevo arrivare: se dovessi usare una similitudine, direi che in “Northern Lights” si sente l’Inghilterra, mentre “Drive” e “100 Reasons To Leave” sanno di California, sei d’accordo?
Certo, credo che un album in qualche modo rifletta sempre il momento che stai vivendo quando lo produci. Se guardo indietro ai miei tre album sento che ognuno di loro si adatti perfettamente a come ero allora. Quando ho fatto “Northern Lights” vivevo a Manchester, pioveva sempre, era buio e anche la musica doveva in qualche modo essere scura. Mi trovavo anche in uno stadio meno maturo per quanto riguarda la mia carriera, molto prima che le cose si mettessero bene, e te ne accorgi anche guardando la copertina dell’album: c’è della rabbia sul mio volto, come un ardente desiderio di farcela, di venire fuori ed è esattamente come mi sentivo allora. In “Drive” mi ero appena trasferito negli Stati Uniti, guidando attraverso il paese da New York a Los Angeles. L’album è la storia del viaggio stesso, della corsa all’ovest, della Route 66, del deserto… “100 Reasons To Live” è arrivato dopo un paio di anni in cui non ero al massimo della felicità, ero diventato un po’… non so come dire. Mi presentavo nel club dove dovevo suonare con aria scazzata del tipo “dove cazzo è il mio champagne” e roba del genere, cose che ti possono succedere quando hai tante gig, se non ci stai attento. L’album è sul riscoprire la positività, realizzando quanto siamo fortunati a poter fare quello che facciamo quotidianamente, a maggior ragione come artista. Ci sono un sacco di paesi nel mondo in cui non puoi andare ad un festival e ballare, non puoi fare le stesse cose che stai facendo qui oggi, quindi credo che avere un’attitudine alla riconoscenza, sia che tu sia in mezzo alla folla che dietro la consolle, sia sempre un ottimo approccio.
Tra i tanti crossover della trance, secondo me ce n’è un filone che sta correndo veloce verso il pop, con certe melodie, certi cantati, certe strutture. Ne ho sentiti frammenti nel tuo ultimo album, ma anche nei lavori più recenti di Armin van Buuren, Markus Schulz, per non parlare di Paul Oakenfold che è sempre stato a metà tra i due mondi. È un modo per portare di nuovo la trance su un piano mainstream, secondo te?
Ad essere sincero, lo spero proprio! Per me si tratta di canzoni. È una bella canzone? Bene! Mentre produco non sto lì a pensare “sto facendo un disco trance? O commerciale?”. Se mi emoziona, col vocal, con la melodia, con qualunque cosa, per me va bene. Sai, quando ho fatto “Concrete Angel”, che era un pezzo parecchio commerciale, l’ho fatta sentire ad un po’ di persone e tutti mi dicevano “mah, mi sembra un po’ troppo pop, non so se piacerà a chi ascolta trance”, ma a me piaceva davvero tantissimo, ho avuto la pelle d’oca fin dalla prima volta che l’ho suonata. Alla fine l’ho pubblicata così com’era, ed è diventata uno dei pezzi trance più forti di quel periodo. Davvero, questa è una cosa a cui non presto minimamente attenzione mentre faccio musica. Dopotutto, se un disco trance diventasse una hit sarebbe una cosa positiva per il genere e resterebbe comunque un disco trance. Sarebbe bello che i fan della trance riuscissero a supportare tutti i bei dischi trance, quelli belli belli intendo, portandoli in cima alle classifiche al posto di, che so, il David Guetta o l’Afrojack di turno. Ma credo che i trancers abbiano ancora un istinto conservativo nei confronti della loro musica, del tipo “non vogliamo che quella traccia diventi una hit, non vogliamo che la scena si commercializzi”. Secondo me questo potrebbe solo portare ad una maggiore diffusione, a più eventi come quello di oggi, con più persone, ne avremmo tutti da guadagnarci.
Dall’altra parte però, e con i tuoi singoli in particolare, vediamo un sacco di remix fatti su generi diversi, quasi a voler coprire tutto il ventaglio…
Si, certo! Credo che sia una cosa positiva per una canzone, se funziona in diverse versioni, in diversi stili. È il motivo per cui qualche volta proviamo anche ad avere dei remix, che so, future bass o dubstep, oltre alla classica versione uplifting se la mia original è un po’ più lenta, e così via… Semplicemente mettiamo nelle condizioni sempre più dj di suonare la traccia, è molto importante per il successo della canzone stessa.
So che qualche anno fa, prima che tutto iniziasse per davvero, sei passato attraverso un periodo piuttosto buio, ti va di parlarne?
Si, è stato tra la fine del 2005 e l’inizio del 2006. Ci sono stati tre mesi in cui non ho avuto neanche una data, e non perché fossi impegnato in studio, ma semplicemente perché nessuno mi voleva a suonare. Passavo le mie giornate svegliandomi nel pomeriggio e cercando il mio nome su Google, ero incredibilmente pigro. Vivevo con i miei genitori, quando gran parte dei miei amici si sposava, comprava casa, faceva figli. Alcuni mi dicevano che forse era ora che mi trovassi un lavoro, avevo 25 anni e avevo passato gli ultimi tre a fare musica full time credendo che avrebbe funzionato, ma alla fine non era stato così. Mi sono accorto di essere su una strada sbagliata, quindi mi sono dato sei mesi per sistemare le cose. Ho iniziato “The Gareth Emery Podcast”, che poi diventerà il mio radioshow attuale “Electric For Life”, e verso la fine di quell’anno ho fatto un pezzo con Lange, “Another You, Another Me”, che ha significato molto sia per me che per Stuart, anche lui non se la passava troppo bene, allora. Andò piuttosto bene e da quel momento per i successivi cinque, sei anni l’ho riascoltata ogni volta che mi sfiorava l’idea di mollare tutto. Per me è importante condividere questo messaggio, perché le persone ora vedono che ho ottenuto un discreto successo, suono su grandi palchi e tutto quanto, quindi magari pensano che sia stato facile arrivare fin qui o sia sempre stato a questi livelli e ci tengo a far sapere che, no, non è stato facile, è stata fottutamente dura. È bene che la gente lo sappia. Se vuoi farcela, se vuoi arrivare – diciamo – dove sono io oggi, sono sicuro che ce la farai, ma sarà dura. Ci metterai cinque, forse dieci anni, dovrai rinunciare ad un sacco di figate, scordati di uscire tre o quattro sere a settimana, ti perderai matrimoni, funerali, natali, compleanni e molte altre cose, ma alla fine ne varrà la pena.
Hai menzionato Electric For Life, che ora è il nome del tuo radioshow nato dalle ceneri del tuo vecchio podcast, ma sta diventando anche un brand forte, con un suo merchandising, una serie di eventi e persino un progetto benefico…
Si, cerco di dare qualcosa indietro. Non credo che abbastanza persone lo facciano, come non credo di aver fatto abbastanza io stesso. Tutto il merchandising che vendiamo è no-profit e i ricavi vanno a favore di progetti benefici. Devo ringraziare mia sorella Roxanne per questo, è lei che dirige il marchio e ne è la mente, molto più di me. Anche oggi durante il mio set ho visto persone con il cappellino o la t-shirt di Electric For Life, per me è stato un grande piacere sapere che per ogni persona che vedevo indossare il mio snapback, dieci dollari andranno in beneficenza a qualcuno che ne avrà bisogno. Mi piacerebbe arrivare a raccogliere un milione di dollari, è l’obiettivo che mi pongo per questo progetto.
Ammirevole. Senti, ti abbiamo visto molto impegnato su diversi fronti negli ultimi due anni, in studio, in tour etcetera. Per il prossimo futuro, invece, che piani hai?
Allora, ho appena finito una manciata di nuovi remix, tra cui uno per i Tritonal che è appena uscito, uno per Ferry Corsten, uno per Lost Frequencies… Ho un bel po’ di musica niente male pronta per il resto dell’anno, continuerò a viaggiare e spero di trovare qualche fonte di ispirazione per dei nuovi pezzi. Sono in una specie di percorso di auto-miglioramento, cerco costantemente di diventare una persona migliore, un padre migliore, un marito migliore, un musicista migliore, un producer migliore, quindi credo che la mia musica migliore debba ancora venire!
Un’ultima curiosità: CVNT5, il tuo progetto-parodia insieme ad Ashley Wallbridge. Non saprei neanche come descrivere la cosa con una sola parola, non capisco se sia un vero progetto musicale o meno. Come vi è venuta l’idea? Avete in mente qualche follow up o esibizione dal vivo?
Io e Ash abbiamo sempre fatto cose stupide insieme, come il video di “Mansion”, ricordi? Già quello era decisamente stupido! Ash è sempre pronto a farsi una risata e a fare cose divertenti. Ricordo che stavamo lavorando sulla traccia che poi è diventata “CVNT5”, nel periodo in cui Mat Zo su Twitter si stava scagliando contro i ghost producers etcetera, allora ci siamo detti “dovremmo fare un video su ‘sta roba”. Siamo partiti con l’idea di fare un video low budget, poi pian piano la cosa ha preso piede e ci siamo accorti che ci avrebbe potuto far divertire parecchio. Il punto è che davvero non me ne frega nulla se qualcuno ricorre ai ghost producers o chissà che, noi ci siamo divertiti e basta. Metà delle stronzate nel video sono cose che ho fatto per davvero, anche io sono stato uno di quelli che spruzzava champagne sulla folla, per un certo periodo. Non mi vergogno ad ammetterlo, perché poi ho realizzato quanto la cosa non mi appartenesse e fosse patetica. In sostanza abbiamo voluto fare un video che riassumesse tutte le cose più stupide che avessimo pensato portandole all’esagerazione ed è stato molto divertente. Stiamo pensando a come girare una piccola serie tv, con episodi di 5 – 6 minuti, non video musicali ma proprio una specie di documentario sull’essere stronzi. Credo che il primo episodio andrà in onda verso ottobre negli Stati Uniti. Non vedo l’ora di iniziare a girare, alla fine è divertente fare gli scemi di tanto in tanto, no?[/tab]
[tab title=”English”]He’s one of the most honest, kind and even funny person who we had the chance to meet, and we all know how this could be a rare quality among certain environments with a bit of media exposure. But despite his undeniable success as an artist, Gareth keeps constantly his feet on the ground and has a great personality which we tried to highlight with this brief yet intense chat we had straight after his set at Electronic Family in Amsterdam.
This is the second time we meet in a few months. To be honest, I’ve missed you for a couple of years back in the days, but then I saw you at ASOT Festival in Utrecht back in February, now today, and both the times you totally rocked the stage. I would say that you’re definitely riding the wave this year, isn’t it?
Yeah, it has been a good year so far. I didn’t travel a lot last year as I became a dad for the first time, so I wanted to stay at home most of the time. I live in Los Angeles now and I’ve been lucky enough that I had some good deals in Las Vegas which is quite close to my home, so I’ve been able to do some gigs and be present at home at the same time. This year I was like “right, I wanna go back in all the places I’ve missed”, so I’m currently touring from Tomorrowland to Electronic Family, from Creamfields to Ibiza and so on. Has been amazing to take a sort of year off, but is good to be back on the road as well.
You look really happy and enthusiast when on stage, interacting with the fans and truly enjoying what you’re doing, and I feel this has some kind of reflection in your music…
Yes, definitely! You know, you only have one chance to do a show. Like today, that one hour and fifteen minutes only came once and I constantly remind myself that this is precious time. When you get to spend seventy five minutes in front of five, ten thousand people, you gotta get the best out of it, enjoying as much as you can, have fun and cherish the moment. But also you have to keep in mind that you somehow owe something to the people you have in front of you. They spent money to come here – nowadays festivals are quite expensive – most of the time they have different stages to choose from, like today they have four stages, each and everyone with great artists performing, so for anybody that’s out there when I’m playing it’s like showing some confidence in me. And I have to repay that confidence, giving always my 100% when I’m at the decks, it’s a form of respect. And also, yes, the fact that I enjoy playing music has some reflections on the music itself. My latest album for instance, “100 Reasons To Live”, it was a positive one. I was trough a positive time in my life and I think you can hear it in the melodies, in the lyrics…
That’s exactly where I was going: If I had to say it with a simile, I’d say that “Northern Lights” sounds like England and “Drive” and “100 Reasons To Live” sound like California, do you agree?
Yeah, you know, I think that an album always has to reflect the way you are on your life at that time, and if I look back at my three albums, they all for me feel suitable for where I was at that point. When I made “Northern Lights” I just moved to Manchester, where it’s raining there all the time, it’s dark, so the music was dark, but it was also an early stage of my career, it was really before things took off for me, and if you look at the album cover you can spot some anger on my face, like a burning desire of making it, and that how I was at the time. In “Drive” I moved to the United States, we drove across the country from New York to Los Angeles, so the album was the story of the drive itself, it describes the american west, the Route 66, the desert… “100 Reasons To Live” came after a couple of year where I guess I wasn’t the happiest, I became a little bit… I don’t even know how to describe it with words, I showed up at gigs being like “where the fuck is my champagne?” and stuff like that, which might happen when you get a big amount of gigs. “100 Reasons To Live” was about rediscovering positivity and realizing that we’re all incredibly lucky to be able to do this, as an artist in particular, because there’re a lot of places in the world where you can’t just go and dance to music, there’re a lot of countries where where you can’t do what we’re doing here today, so I think that having an attitude of gratefulness, both if you’re in the crowd or in the booth, is always a good mindset.
Among all the other crossovers, I feel that some kind of trance Trance is somehow going toward pop, specially with certain melodies, vocals and structures. I can hear something like this in your latest albums, in some Armin van Buuren’s productions, as well as in some Markus Schulz and Paul Oakenfold, just to name a few… Do you think this could be a way to bring back trance to a mainstream scale?
To be honest, I hope so! I mean, for me is always just about songs. Is it a good song? Good! While making a track I don’t usually think “is it a trance song? Is it a commercial song?”. It has to touch me, with the vocal or with the melody. You know, when I made “Concrete Angel” that one was a really commercial song, and when I played it to a few people most of them were like “mmm it’s a little bit poppy, I don’t know if trance crowd gonna like it”, but I really loved it, I had goosebumps from the first time I played it. In the end they made me release it and it became one of the biggest trance record, so I don’t really mind it in the process of making music. What I think is that if a trance record becomes a hit record, it would be good for the genre and still being a trance record. It would be amazing if trance fans could get behind a trance record, whichever one is really good and should be a hit and go like “let’s make this a fucking global hit, instead of having, I don’t know, David Guetta or Afrojack on top of the charts for once”. But I think trance fans often think “we don’t want the track to become a hit, we don’t want the scene to be commercialized”, but it could eventually lead to more trance events, and more people to come to events like this today and I think it would be a good thing for the scene.
On the other side, and for your singles in particular, you have a lot of remixes in different styles to cover the full spectrum of different sounds…
Yes of course! I think a good song would work in many different styles, and that’s why sometimes we try to get even some future bass or dubstep remix, an uplifting remix if my version is a little bit slower, etc… It just allowed more dj’s to play the track, and I believe this is really important for the success of the song itself.
Looking back in the days, I know you’ve been trough some tough times a few years ago. Do you feel like talking about that period a little bit?
Yeah, it has been around 2005 – 2006. I had three months without a single gig, not even because I was busy in the studio making music, but basically because no one wanted to book me. I was spending my days waking up in the afternoon and googling my name. I was lazy. I was living with my parents while all my friends was buying houses, getting married, having kids and stuff. I’ve been told that maybe the time had come for me to give up and get a job. I was 25 at the time, I’ve been making music full time for three years and I thought things should have worked out, but they hadn’t. I realized that I was on a wrong path and gave myself six months to turn things around. So I started “The Gareth Emery Podcast” which later became the “Electric For Life” radio show, and towards the end of the year I made a track with Lange called “Another You, Another Me” which has been really meaningful both for me and for Stuart. It became quite a big track, and I used to listen to it every time in the next five or six years I was close to think about giving it all up. I think it’s important to share this message, because people now see me having a decent success, playing big stages and whatever, and they often assume it was easy or it always been that way, and I just wanna be like “it wasn’t easy, it’s really fucking hard”. I think it’s good to let people know. If you want to make it, if you wanna get, let’s say, where I am today, you gonna absolutely do it, but it’s gonna be fucking hard. It’s gonna take you five or ten years, you’re gonna miss a lot of cool things in your life, forget going out three or four nights a week, you’re gonna miss weddings, Christmas, funerals, birthdays and lot more, you will sacrifice a lot, but it’s worth it.
You mentioned Electric For Life which is now your radioshow risen from the ashes of The Gareth Emery Podcast, but I know EFL is also a powerful brand with its own merchandise, events and even a charity project…
Yes, I’m just trying to give something back. I’m not sure enough people do it and I don’t feel like I’ve done enough either. Now all the merchandise we sell is no profit and the incomes go to charity projects. I have to thank my sister Roxanne for doing this, she runs the brand and she’s much more the brain behind it than me. Even today during my performance I saw a few people in the crowd wearing EFL caps or t-shirts, and for me is a great feelings knowing that for every person wearing a snapback, 10$ went to somebody who really needed. I’d love, in the next five years, to raise a million dollar, that’s my task for this project.
Inspiring. Listen, you’ve been really busy in the last couple of years, both in the studio and on tour. Could you give us any anticipation about what are planning for the near future?
I’ve just finished a bunch of new remixes, one for Tritonal which just came out, one for Ferry Corsten, one for Lost Frequencies… I feel I’ve got some decent music coming out for the rest of the year, plus I’ll be keep on traveling a lot and hopefully find some good inspiration for new pieces of music. I’m on some kind of self improvement path, I’m constantly trying to become a better person, a better father, a better husband, as well as a better musician and producer, so I believe my best music is yet to come.
One last curiosity: CVNT5, your spoof side-project with Ashley Wallbridge. I don’t even know how to describe it with one word, whether it’s a real musical project or not. How did the idea came to you? Will it have any follow up or live show?
Me and Ash have always done like stupid things together, like the video for “Mansion”, remember? That was kinda stupid. Ash is always up for laugh and do funny things. I remember that we were making the track, which became CVNT5, and it was when Mat Zo was on Twitter going crazy and ranting about ghost producers and stuff and we were like “oh, we should make a video about that”, so we started off with the idea of making a very cheap video and the concept gradually grown and we realized that it could have been really fucking funny! The point is that I don’t care if somebody uses ghost producers or whatever, we just had fun. Half of the stuff in the video is stupid shit I’ve done myself, I’ve been that guy on stage spreading the champagne on the crowd, I have no shame to admit it because that wasn’t really me and later I realized how lame it was. So I wanted to make a video summing up the most stupid things that I’ve done but exaggerate them, and it was a lot of fun. We’re gonna do a little television series, like 5-6 mins per episode, not music videos, more like a documentary about being a cunt. I think the first episode will probably be aired in October in the United States. I can’t wait to start filming the episodes, in the end is fun to act like douchebags once in a while![/tab]
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