Obaro Ejimiwe in arte Ghostpoet, ragazzone di colore proveniente da Coventry, a due anni dall’uscita sulla Brownswood Records di Gilles Peterson (BBC Radio One) del suo primo album, “Peanut Butter Blues & Melancholy Jam”, si presenta al Belpaese con ben due date (Milano e Bologna) del tour europeo di presentazione del suo secondo album, ricco di featuring e collaborazioni eccellenti (Tony Adams e l’audio ingeneer Richard Formby, giusto per citarne alcuni). “Some Say I So I Say Light”, questo il titolo dell’album in uscita per la prima settimana di Maggio sulla leggendaria “Play It Again Sam”, è un viaggio onirico tra hip hop, trip hop e dub dalle sonorità scure. Difficile davvero, però inquadrarlo in un genere definito: la musica di Obaro, in fondo, non merita nemmeno di essere descritta, non renderebbe giustizia al lavoro e alla passione che c’è dietro, oltre che al talento nello scrivere lyrics e alla splendida voce. Da uno cosi, con questo iter e queste potenzialità, t’aspetteresti un determintato tipo d’approccio alle interviste, ed invece di Ghostpoet ti colpisce subito la semplicità e la voglia di vivere la musica per quello che è, in modo scanzonato, allegro, approcciandola con l’essenza stessa della passione. Leggete e capirete!
Il 6 Maggio esce “Some Say I So I Say Light”, tuo secondo album…possiamo considerarlo il tuo album della maturità?
Dici maturità? Beh si, in un certo senso. E trasposizione di me, di quello che sono, della mia crescita come essere umano prima ancora che della mia carriera musicale. Faccio musica da quando ho 18 anni, ne ho 30 ora. E specchio dei miei tentativi di cambiare e migliorare il mio essere artista, di rendere in musica quello che ho in testa sempre più chiaramente.
Hai parlato di cambiamento. Il tuo primo album “Peanut Butter Blues & Melancholy Jam” era stato completamente autoprodotto, mentre in quest’album ti sei avvalso della collaborazione di Richard Formby, leggenda dell’audio ingeneering inglese. Com’è cambiato il tuo modo di lavorare quindi rispetto al tuo primo album?
Anche questo è praticamente prodotto da me. Le persone intorno a me, come Richard, mi hanno aiutato a sviluppare il mio sound fisicamente sugli strumenti (come il piano): mandavo loro i demo e lavoravo con loro per portare le mie produzioni ad un livello più alto, riuscendo anche a sperimentare. Parlando di Formby, è stato molto bello lavorare con lui e lo rispetto davvero molto.
Le sonorità di questo “Some Say I So I Say Light” sono molto dark, scure. C’è però a metà album la quarta traccia, “Plastic Bag Brain”, in cui a predominare è invece l’afro beat e il blues, spezzando completamente con le atmosfere elettroniche del rimanente album.
Mah io non ci faccio molto caso, la musica è espressione e basta. In quella traccia Tony Adams ha lavorato alla drum part, portando il suo “flavour”, il suo gusto molto afro beat, ed io ho costruito l’intera traccia intorno a questo suo contributo. Ma non m’importa che sia afro beat, black music o altro, è solo musica. Non mi piace lavorare concependo i generi, i “box”. Sento così tanta musica che mi riesce difficile farlo. La musica è Musica.
Rimanendo su questo punto…che musica ascolti?
[Tira fuori il suo Ipod] Tantissima musica blues, elettronica alla James Blake (adoro il suo nuovo album) e i The Knife. Poi gli Yes, che ho scoperto all’università ma che sto recuperando interamente ascoltando anche gli album vecchi. Poi musica tradizionale etiope…insomma, tanta tanta musica.
Tanta musica diversa…e l’album è specchio di questa varietà di ascolti. Non è una cosa scontata, tanti producono prodotti “preconfezionati”… fai musica perché ti piace e perché la senti.
La musica deve essere espressione di quello che sei. Cerco di essere responsabile in tutto, quindi anche nella musica.
Rimanendo sempre sull’album nuovo, c’è una traccia, “Dorsal Morsel”, in cui si parla chiaramente di chi passa le sue giornate su Amazon. Alla luce di questo, qual è il tuo rapporto con la tecnologia?
Mi tocca particolarmente perché ho scoperto più o meno un anno fa Amazon e ne sono stato davvero ossessionato. Trovavo un sacco di cose che mi piacevano e riempivo carrelli su carrelli! (ride). Detto questo, mi piace la tecnologia e penso sia importante, tant’è vero che gestisco da me i vari Soundcloud, Twitter e così via. E’ importante perché è diventato massivo l’uso della tecnologia. Ha integrato il nostro stesso modo di vivere e concepire le cose. Persino comprare i dischi non è più lo stesso.
Ecco, direi che allora è il caso di farti la domanda: supporto analogico o digitale?
Io sono super fan del supporto fisico, prima di tutto per la qualità: è indubbio che la qualità di un vinile è sempre superiore. Le etichette decidono di releasare la musica anche in digitale ed è una scelta loro, personalmente non sono contrario, ma ho spinto particolarmente perché quest’album uscisse in vinile perché lo compro ancora, lo conservo ancora e amo ascoltare la musica in vinile. D’altro canto il digitale è “qui per rimanere”, è il futuro, va accettato per quello che è. Dipende molto anche dall’audience che hai: specialmente nella musica elettronica si stampano molte releases in vinile “limited edition”, ma è perché è la stessa audience che può supportare “fisicamente” questo concetto “supportando il supporto”. Di fondo rimane che la musica dev’essere di qualità, sempre e comunque.
Musica di qualità in UK è sinonimo anche di Gilles Peterson, figura fondamentale sia per il broadcasting (è una delle figure di spicco di BBC Radio 1) che per la musica in generale (ha lavorato con Jamiroquai e Erykah Badu). Il tuo primo album è uscito sulla sua Brownswood Recordings. Vorrei sapere com’è iniziato e come si è sviluppato il rapporto artistico tra te e Gilles.
Facevo musica la sera come hobby e la postavo sul mio profilo Myspace. Saranno passati 4-5 anni, non ricordo, è stato un bel pò di tempo fa, il tempo passa velocemente ora, soprattutto nella musica. Un amico comune gli ha fatto sentire quello che facevo e lui m’ha chiesto di mandargli altri demo. Evidentemente gli sono piaciuti perché dopo mi ha chiesto, da Coventry, posto dove vivevo, di incontrarci a Londra. Ero molto eccitato perché era la prima volta che conoscevo qualcuno che lavorasse per un etichetta discografica. C’incontrammo e parlammo di musica, di come facevo la mia musica, del perché la facevo e di di quello che avevo in mente di fare nel futuro. A fine incontro mi disse “Ok, facciamolo, lavoriamo assieme!”. Così è cominciata la mia avventura.
…tutto molto semplice quindi!
Si ed è stato bellissimo perché non mi ha mai detto “voglio che tu faccia musica in questo modo, in quel modo”. Mi ha semplicemente detto: “facciamo un album”. Ecco il motivo del perché amo lavorare con Gilles e Brownswood, perchè non hanno mai dato restrizioni alla mia musica, ha sempre funzionato il concetto di “ci piace, lo facciamo”.
L’album in prossima uscita “Some Say I So I Say Light” sarà invece releasato su Play It Again Sam (PIAS), label che annovera nel suo palmares collaborazioni con Mogwai, dEUS, Dinosaur Jr, 2manyDjs e, tra gli altri, anche con David Lynch. Bel salto, no?
Si e no. Si perchè PIAS è una label molto più grossa, in tutto. Con il primo album, quando ero in tour, riuscivo a visitare le città oltre che a parlare con la stampa e fare promozione, appunto, all’album stesso. Niente contro Brownswood, ma PIAS è un livello leggermente superiore, è più grande. No perché, beh, è vero che lavoro con grandi artisti e so potenzialmente cosa può darmi lavorare in una label così, ma questo non è fondamentale per me, che so cosa voglio dalla mia musica e voglio lavorare per la mia musica. Magari può sembrare un discorso un pò presuntuoso, ma è così.
Sei una persona decisa ma semplicissima!
E sono così! Trovo difficile essere un personaggio diverso da quello che sono realmente. Vorrei essere una persona supercool, un personaggio, ma non mi riesce [ride].
Dal tuo primo album sono stati estratti 2 singoli, Liiines e Survive It, passati tra le mani di remixers del calibro di Koreless e Lando Kal. Che cosa ne pensi?
Singoli (Lines/Survive It), remixes diversi! (Land Kal & Koreless), oh fanno tutti schifo! [ride]. No sono bellissimi, adoro i remix perchè è bello vedere la prospettiva dalla quale questi artisti vedono la mia musica ed i miei testi. E’ bello anche vedere remix così diversi (Lando Kal molto più dance verted di Koreless, ndr), è entusiasmante. Anche io adoro fare remix…
Si infatti hai remixato i Metronomy…
Wow hai tutte le informazioni eh! Si, è stato cool perché ho avuto modo di supportarli anche live, in tour. Loro sono una grande band… però preferisco fare remix per gruppi o artisti che conosco direttamente, che apprezzo e che me lo chiedono. Per me fare remix non significa metterersi al laptop nei ritagliagli di tempo, devo avere il tempo di mettermi in studio e lavorarci come si deve.
Di “Survive It” è uscito anche un tuo remix, sotto il moniker di Gang Panang, nel quale ha partecipato anche la leggenda dell’hip hop made in UK Roots Manuva. Tutti ti accostano al mondo dell’Emceeing da sempre, ma l’album nuovo non ha nulla di tutto questo se non giusto qualche cenno…
Sono un grande fan di Roots Manuva e sentivo di dover fare io stesso un remix di Survive It per poter dar spazio alle sue lyrics. L’ho fatto perché sentivo di farlo, nient’altro. Ogni volta si parla di generi, non m’interessa contestualizzare la mia musica. Roots Manuva è un simbolo dell’hip hop? Si, vero, ma non è fondamentale definirilo. L’album nuovo può essere definito in 20-22 generi e l’hip hop è uno di quelli, ma non m’interessa sinceramente, non ne sento il bisogno.
Concludiamo con la classica domanda: progetti futuri dopo il tour e l’album.
Dovrò sedermi e pensare a quello che voglio fare. Mi piacerebbe sviluppare di più il mio percorso nella musica elettronica strumentale, magari verso derive più dark noise, alla starfuckers per intenderci (fa un esempio italiano, quindi). Poi adoro la radio, ho un mio radio show a Londra una volta al mese e vorrei portarlo avanti più sovente. Insomma, un sacco di cose, molto dipende dall’album in uscita col tour annesso: se va bene vedremo, se va male chissà, il mese prossimo sono a casa [ride].