Parlando di Gianni Bini viene automatico legarlo ai vari progetti che tra la fine degli anni ’90 e l’inizio dei ’00 lo hanno visto in prima fila nel panorama house grazie a produzioni eccellenti condite da un sound ricercato e originale che sembrava una consacrazione de facto culminata all’epoca con numerose collaborazioni, una fra tutte quella con Paolo Martini, sfociate in hit internazionali su Azuli e sulla sua Ocean Trax, label diventata all’epoca un riferimento del genere. Dopo un periodo molto intenso ma anche relativamente breve, la carriera di dj e produttore dance viene messa da parte focalizzandosi sul lavoro nel suo studio House of Glass, almeno fino agli ultimi anni dove torna con numerose produzioni e Ocean Trax riprende vita. Il curioso abbandono e il recentissimo ritorno sulle scene, tra cui anche il lancio della prima piattaforma di crowdfunding tutta italiana RYMO pensata espressamente per i musicisti, ci ha fatto venir voglia di indagare per saperne qualcosa in più. Siamo stati anche cattivi, volutamente provocatori, ma ne è valsa la pena perché abbiamo potuto conoscere un punto di vista schietto e diretto non solo sul panorama musicale, ma anche su quelle cose spesso non dette che succedono nel mentre, magari proprio quando sei lì per fare davvero il salto di qualità.
Molti ti hanno conosciuto principalmente attraverso il tuo lavoro come dj e produttore nonostante tu abbia comunque portato avanti la tua carriera tra label, studio e altri progetti paralleli. Per cominciare in salita e inquadrare meglio il tuo personaggio ti faccio subito una domanda difficile: chi è Gianni Bini oggi?
Non è una domanda così difficile, dopo 9 anni di psicoterapia, credo di poter affermare di conoscermi abbastanza bene; sono essenzialmente un romantico, innamorato della vita, della musica, dell’amore e continuo nonostante tutto a credere fortemente che in tutti i campi la qualità paghi, l’impegno paghi, la costanza e la determinazione paghino. Sono irrequieto, estroverso, sposto sempre più in alto l’asticella e non mi rassegno mai fino a che non la raggiungo, salvo poi spostarla ancora più in alto; si può dire che sono un’anima senza pace. Cerco, soprattutto in quest’ultimo periodo di affermarmi, in tutti i campi, come uomo, come padre, come imprenditore; non mi sento, ne credo mi sentirò mai arrivato ed inseguirò probabilmente per tutta una vita un successo che non arriverà mai, e questo è anche il mio stimolo più grande. Continuo a commettere errori, do fiducia, vedo il buono della gente e spesso mi amareggia essere deluso, ma fa parte del gioco, a 47 anni non credo che cambierò più, ma mi piaccio e mi basto. Faccio mille cose e sono normalmente concreto, il 90% dei progetti che penso di fare poi li realizzo. Ho subito batoste che ancora oggi bruciano, ma l’importante non è cadere ma rialzarsi, per cui sono qui, con le mie cicatrici a ricordarmi chi sono e da dove vengo.
Dopo più di 20 anni nel settore, cosa ne pensi dell’attuale panorama musicale? Che cosa pensi sia cambiato da quando hai cominciato? Abbiamo fatto solo rinunce o trovato anche nuove opportunità? Nello specifico, tu cosa hai fatto per adeguarti e rimanere sempre consistente?
Purtroppo gli anni nel settore ormai sono quasi 30, dalla fine degli anni ottanta ad oggi di cose ne sono cambiate eccome, la cosa più evidente è che la figura del produttore e del disk jockey (mi piace chiamarlo così) si sono fuse in un unica identità “il dj/producer”, quando ho cominciato io c’erano persone che vivevano producendo dischi per altre persone che vivevano suonandoli, oggi come oggi non sei dj se non sei produttore e viceversa, ma non credo che sia la causa di tutti i mali del mondo questa. Le opportunità offerte dal mondo globalizzato sono innumerevoli, così come la possibilità per chiunque di poterci provare; purtroppo, il fatto di poter “mettere il gettone nella slot machine” offerto a chiunque, anche a chi a 15 anni non ha nemmeno un minimo di basi culturali, musicali, imprenditoriali, ha abbassato la qualità dell’offerta, aumentando a dismisura la domanda; ormai le celebri frasi “se dovessi spendere 1500€ al mese di dischi col cazzo che faresti il dj” hanno un fondo di verità; io non me la prendo per questo, ma punto il dito contro quella cultura che spinge chiunque, senza, basi, senza insegnamenti, senza formazione ad intraprendere un viaggio che non può che essere quasi impossibile. Io nello specifico ho cercato di essere sempre al passo con i tempi, aggiornando sempre la mia strumentazione e sperimentando il più possibile tutto quello che la tecnologia mi ha messo a disposizione, non mi sono mai fossilizzato sulle mie convinzioni ne ho pensato che il mio “know how” bastasse per tutta la vita. La fortuna è stata quella di poter imparare tutto piano piano, e passare dall’ATARI all’ultimo Mac gradualmente; oggi uno che inizia ha da imparare tutto e subito, la cosa che si tralascia quasi sempre è la musica, l’80% dei produttori di musica dance sono convinto che non distinguano un DO# da un LA.
Parliamo di supporti e prendiamo come esempio la tua etichetta Ocean Trax; come molte label del settore, sei passato dallo stampare 12”, ai cd fino ad arrivare alle più recenti produzioni principalmente in digitale, in un percorso molto comune che sembra quasi obbligato, ci racconti i motivi reali, il perché di questa scelta e relativi vantaggi e svantaggi? Secondo te, quali prospettive ci sono nell’attuale rinascita del vinile?
Si, l’evoluzione dei supporti seguita da Ocean e molte altre label è stata natura e per certi versi obbligata da logiche di mercato e commerciali; i vantaggi riguardano l’abbattimento dei costi di produzione prima abbastanza elevati (transfer, galvanica, stampa, label, grafica copertina ecc.), gli svantaggi invece sono relativa ad una smisurata offerta che il mercato stesso non è più in grado di gestire perché c’è troppo di tutto. Il vinile secondo me non ha un futuro migliore di quello che già ha, relegato a una piccola ma fierissima nicchia di sostenitori.
In una recente intervista hai raccontato gli inizi della tua carriera, da dj a produttore fino allo studio, un percorso molto condiviso da chi ha trasformato la passione della musica in una carriera. Se pensi al passato, qual è stato il momento in cui hai capito che avresti potuto vivere con la musica e qual è il tuo più grande rimpianto, l’occasione persa per eccellenza?
L’ho capito il giorno che a 20 anni ho detto a mio padre che avrei smesso di giocare a tennis (ero serie B) e di andare all’università (ingegneria elettronica), mi rispose che a 30 anni sarei tornato strisciando e lo avrei supplicato di prendermi nella sua azienda (tomaificio); in quell’istante capii che la mia era la scelta giusta. Il mio rimpianto più grande invece è quello di aver dovuto rinunciare a causa degli attacchi di panico, a tutto quello che sentivo di meritare, parliamo di 12 anni, da 30 a 42 dove sono arrivato a pensare di vivere chiuso in casa e non uscire mai più. Con Paolo Martini avevamo appena affermato un sound che ci ha dato molta visibilità e una conseguente richiesta di serate a cui ho dovuto pian piano rinunciare. Mi maledico per aver accettato passivamente la situazione invece di combatterla ma purtroppo indietro non posso tornare.
Recentemente hai annunciato la partnership con SAIFAM, la più grande etichetta nazionale nell’ambito dance. Considerando le difficoltà dell’attuale mercato discografico è sicuramente un buon modo per dividere i rischi e supportarsi a vicenda, per cui in quest’ottica, per te e per i tuoi artisti sembra avere prospettive ottime, cosa pensi cambierà da qui in poi e quali saranno le evoluzioni future della tua label? Rimarrai sempre tu al timone o dovrai cedere un po’ di potere a fronte di una maggiore copertura e stabilità?
Con Mauro Farina (come con Simone) credo sia stato “amore a prima vista”, ci conoscevamo solo per sentito dire e non c’eravamo mai incontrati prima (strano ma vero!), dopo soli 6 mesi di piccole partnership Mauro ha acquisito il controllo del vecchio catalogo Ocean e poco dopo anche del nuovo. E’ una persona davvero speciale, corretta, pratica, concreta come ne sono rimaste poche in giro. Gode del massimo rispetto di tutti e rappresenta per me e per tutta la Ocean un salto di qualità non tanto per le produzioni (che rimangono prodotte e gestite da me) ma nei rapporti con le terze parti, nel publishing, nel clearing dei sample e nella promozione e distribuzione. Non ho intenzione di scendere dal ponte di comando di Oceantrax che negli ultimi 18 mesi credo di aver riportato ai vertici del panorama “pure house” mondiale, almeno stando ai risultati che otteniamo su Traxsource che a mio parer è l’unico portale attendibile per l’HOUSE al mondo. Mauro non ha alcuna intenzione di interferire con tutto questo, il ruolo di Saifam è sostanzialmente quello di rendere più proficuo il nostro lavoro andando a recuperare denaro la dove io non riuscirei ad andare, oltre a quello di chiudere accordi commerciali in grado di ampliare gli orizzonti per Ocean oltre che la sua reputazione e visibilità.
A maggio hai lanciato RYMO, acronimo di Raise Your Music Online, una piattaforma di crowdfunding rivolta agli artisti che desiderano trovare forme di finanziamento per i propri progetti. Sebbene nel mondo esistano già piattaforme simili, si tratta di un’iniziativa a suo modo innovativo per il territorio italiano, anche se proprio per questo motivo potrebbe non avere il riscontro dei più blasonati colleghi internazionali, quali sono le motivazioni che ti hanno spinto? Qual è la filosofia e cosa ti aspetti da RYMO? In un mondo dove il social è più un concetto condiviso che una realtà tangibile e dove il problema principale di tutti è la fatica a trovare i contatti “giusti”, pensi che ce ne sia davvero bisogno?
Credo moltissimo in RYMO, per il quale con altri due soci abbiamo pianificato investimenti importanti e si, credo che ce ne sia estremo bisogno. Non immagino né che sia facile né sia immediato, ma come al solito, non mi rassegnerò mai e darò, anzi daremo tutti il massimo. L’idea è mia e nasce dalla constatazione che in studio da me sono molti i personaggi di gran talento che vorrebbero realizzare le loro produzioni, i loro sogni, ma che non riescono a farlo per mancanza di fondi e di prospettive; io offro a loro la possibilità di poterlo fare senza passare dal “collo di bottiglia” di un A&R legato a logiche completamente diverse e molto spesso, se non sempre, legato alla propria sedia che non ha intenzione di perdere con investimenti “a rischio”. Il sito è www.rymo.it.
Nel 2011, a distanza di 2 anni dal tragico incidente di Viareggio del 2009 che distrusse anche il tuo vecchio studio inauguri il tuo House of Glass v2 e finisci in nomination tra i 4 migliori del mondo secondo Resolution Magazine nel 2013, posizionando la tua struttura tra una di quelle di riferimento nel panorama mondiale. Si tratta di un risultato notevole cui si unisce un cambio di rotta e un’apertura verso il mondo del pop che ti ha portato collaborazioni con artisti internazionali come Mario Biondi, Raffaella Carrà e Gianna Nannini. Col senno di poi, se non fossi dovuto ripartire da zero, come sarebbe oggi House of Glass? L’apertura al mondo della musica pop è stata una scelta o una necessità?
Se lo studio non fosse stato distrutto, sarebbe comunque molto simile a quello che è adesso con la differenza che avrei ancora con me alcune delle apparecchiature vintage, che non troverò più e che nessuno mi restituirà; da un punto di vista estetico invece è sicuramente molto più curato l’HOG V2, ma a farle 2 volte le cose vengono sempre meglio no? La svolta verso il pop nasce soprattutto dalla mia esigenza di confrontarmi anche con nuovi generi e provare nuove esperienze, sentivo di avere dato alla dance tutto il possibile e di non poter dimostrare molto altro (ma su questo mi sbagliavo). Ad ogni modo grazie a Max Moroldo che ha sempre creduto in me e mi ha supporranno sin dall’inizio alcuni dei miei sogni si sono realizzati, ma c’è molto altro da fare…
So che sei un amante dell’hardware analogico eppure in un tuo tutorial racconti come sia la tua catena di mastering per la dance e in quel caso è tutto ITB e digitale, si tratta di un puro caso oppure le produzioni elettroniche, grandi nomi a parte, visti anche i budget limitati, i guadagni spesso inesistenti e la controparte dei costi di gestione elevati non possono permettersi troppi fronzoli?
Mi sembra abbastanza inutile stare a fare un tutorial su come usare 65.000€ di macchine! Chi le ha non ha bisogni dei miei consigli, mentre l’ITB raggiunge molto più interesse, questo è il motivo. Ma ad ogni modo, ho recentemente fatto un consistente upgrade della sezione mastering e molto presto pubblicherò un video dove per l’occasione presenterò le macchie che uso. I risultati che ottengo in questa maniera con l’ITB me li sogno…
Ci sono sempre molte domande che chi inizia vorrebbe fare a un produttore e a chi possiede uno studio di registrazione tra i migliori del settore, sfruttiamo l’occasione e ti faccio quella che secondo me è la più rappresentativa: se dovessi partire da zero, quali scelte faresti per iniziare la carriera del dj/produttore e quali investimenti consiglieresti?
Per prima cosa, studiare uno strumento, meglio se è il pianoforte, conoscere l’armonia ed il solfeggio. Poi comprarsi un MAC, trovare una stanza, renderla acusticamente trattata e dare sfogo alla creatività cercando di copiare il meno possibile.
Consigliaci 5 album o brani che consideri un riferimento e raccontaci il perché.
Saturday Night Fever – Colonna sonora
Michael Jackson – Thriller (album)
Seal – Seal (1994) (album)
Incognito – Still a friend of mine
Nu Colors – Desire (MAW dub3)
ma non vi dico perché, sono cazzi miei.