Nel Giant Steps di oggi ci addentriamo nei territori della sonorizzazione video, nella commistione in libertà tra jazz, progressive rock ed elettronica al servizio delle immagini in movimento. I 291out non arrivano dai club o dal deejaying, sono un’ensemble aperta di musicisti, strumentisti ed appassionati di cinema e musica, nata a Napoli negli anni ’90 ma trasferitasi a Milano agli inizi del nuovo secolo. Il loro talento è rimasto confinato nei centri di produzione audio video fino al 2013, quando Acido Records decide di inserire una loro composizione nel various artist “Sountracks For No Film Vol.1”, una raccolta che ha un discreto successo entrando nei best dell’anno di Phonica e Juno e di fatto permette ai 291out di farsi conoscere ad appassionati italiani ed europei di colonne sonore, aprendogli così le porte del mercato discografico indipendente e di festival come Terraforma. Musicisti esperti quindi, che in questa intervista sciorinano tutta la loro esperienza fatta di passione e lavoro più che ventennale, dimostrando ancora una volta come l’Italia possa essere un posto ricco di talento, ricettacolo di creatività musicale, se si guarda oltre le facili proposte e gli schemi preconcetti.
Passo numero uno: qual è il disco o la traccia che vi ha cambiato la vita? La primissima. Quella che vi ha fatto capire che la musica era veramente un’emozione particolare, più intensa di altre.
“Mad Puppet” dei Goblin, brano che conclude la side A del disco d’esordio del gruppo: “Profondo Rosso”, realizzato per l’omonimo film di Dario Argento. Il brano, uno stilizzatissimo blues ad incastro che i Goblin scrivono per raccontare l’attività investigativa del protagonista all’interno della “Villa Del Bambino Urlante”, diviene una sorta di intro per la stesura del nostro primo brano del 1993 “Chappaqua”, il cui titolo omaggia un altro dei nostri film preferiti di quel periodo: “Chappaqua” di Conrad Rooks. Esattamente ventitré anni fa la formazione nasceva con la medesima sezione ritmica: Luca “Presence” Carini al basso, Antonio “Totem” Bocchino alla batteria e Vincenzo “Warren” Ciorra alla chitarra; a cui si aggiungerà successivamente il fratello di Antonio, Floriano “Majà” Bocchino al piano elettrico.
Passo numero due: quando avete capito che la musica, produrla o suonarla, sarebbe stata una parte fondamentale della vostra vita?
Nel 1993, parallelamente all’attività di sala, iniziavamo a fare i nostri primi spettacoli dal vivo tra i localini di Napoli e le scuole liceali. E’ importante sottolineare che la formazione era nata in un contesto scolastico molto particolare: il liceo classico A.Genovesi di Napoli, in un periodo compreso tra gli anni della “Pantera” e le lunghe e difficili occupazioni del ‘94 e del ’96 nate in seno al primo insediamento di Silvio Berlusconi al governo. Erano anni, quindi, di grande fermento politico e la musica di quel periodo era necessariamente legata all’ideologia, di conseguenza creava un ponte con tutti quei fenomeni sonori che avevano accompagnato l’emancipazione sociale e la lotta di classe tra la fine degli anni sessanta ed i primi anni settanta, su tutti la musica rock. Sempre in quegli anni si andava affermando il genere grunge che fu un altro modello sonoro di identificazione nella lotta, ma più in generale nella rottura degli schemi precostituiti – un po’ come lo era stato per il punk precedentemente – e quindi si scendeva nelle piazze con le camicie di flanella a quadri ed i jeans colorati e le bombolette spray, rigorosamente con i capelli lunghi e grandi consumatori di cannabinoidi. Ecco che in quel quadro l’ascolto della musica era proiettato su un approccio diretto, immediato, che esprimesse quel tipo di condizione sociale ed i Nirvana erano giusti per quel mood, ma anche modelli d’oltreoceano più duri come i Rage Against The Machine; parliamo di musica perlopiù costruita in forma canzone con la voce sempre in primo piano e un modo di suonare gli strumenti che occhieggiava allo stile del punk anche se la cornice era comunque rock. Per le band che si esibivano in quel contesto, quindi, la moda era quella di eseguire cover dei gruppi sopracitati, ai quali si accostavano esecuzioni degli U2 per i momenti più morbidi ed i Metallica di “Enter Sandman” per il richiestissimo “pogo” – un tipo di ballo più vicino all’autoscontro delle macchine “tozzi tozzi” da luna park che al danzare in collettività – per i momenti più forti. Noi, che già partivamo con presupposti diametralmente opposti suonando musica strumentale che non dava nessun tipo di riferimenti, eravamo dei veri e propri outsider – e mai la parolina “out” affianco al numero 291 fu più appropriata – in più proponevamo musica nostra, frutto della passione per un genere che ancora non conoscevamo, per i fasti nell’Italia degli anni settanta, cioè il progressive, ma che avevamo interiorizzato grazie alla curiosità nata dagli ascolti di certi dischi presenti nelle nostre case, dalle collezioni dei nostri genitori, figli di una generazione musicale unica ed irripetibile. Parliamo di gruppi come i Gentle Giant, Emerson, Lake & Palmer, Genesis etc. Quando iniziammo a proporre il nostro sound notammo a sorpresa però che il pubblico ne rimaneva affascinato e che le performance si chiudevano con grandi consensi e questo ci fece capire che, non solo si potevano affrontare altre vie rispetto alle mode imperanti, ma che la sperimentazione e la ricerca nell’ambito della musica strumentale potevano contraddistinguere il nostro percorso di gruppo e che questo avrebbe caratterizzato la splendida avventura che entusiasticamente ci accingevamo a percorrere.
Passo a margine: quali sono stati i momenti di maggior crisi, nel vostro rapporto con la musica?
Quando sei un gruppo devi sempre fare i conti con i percorsi individuali dei singoli elementi: si cresce ed ognuno costruisce il proprio futuro lavorativo indipendentemente dalle esigenze che una band richiede. La problematica più grande è stata, quindi, quella di aver dovuto cambiare costantemente i componenti della formazione che, nel corso di poco più di un ventennio, ha mutato faccia innumerevoli volte; ovviamente quando non c’è stabilità la materia musicale ne risente ma soprattutto i tempi di elaborazione di ciò che si suona subiscono dei rallentamenti deleteri per varie ragioni: in primis l’unità negli intenti sonori e poi l’affiatamento che è frutto imprescindibile della conoscenza, della continuità e dell’approfondimento tra i musicisti. Nel 1998 il primo a partire da Napoli è il bassista Luca Presence, seguiranno i fratelli Floriano ed Antonio Bocchino – ai quali si riunirà, in tempi recenti, il chitarrista Vincenzo Ciorra ricostruendo di fatto la formazione originaria – tutti alla volta di Milano che diverrà, tra il 2003 ed il 2013, la base operativa di quella che si potrebbe definire la seconda vita dei 291out. In quel periodo ci presentiamo, col nome di Dinner Swing prima e Poligono poi, nel mondo della post-produzione audiovisiva. Nel lasso di questi diciassette anni la problematica di mantenere vivo il progetto del gruppo musicale ha avuto tante difficoltà – a volte sembrava che tutto dovesse finire in maniera definitiva – sia nell’inquadrare gli obiettivi circa la filosofia sonora del gruppo sia nell’eseguirla, perseguendo quello spirito che aveva caratterizzato gli esordi. C’è da aggiungere poi che il feeling e l’interplay nel fare un certo tipo di sound sono fondamentali e che queste connessioni vengono fuori nel modo giusto solo se c’è un grande affiatamento: per far si che questo avvenga è molto importante che ci si conosca prima a livello umano e poi a livello musicale, soprattutto quando non si è turnisti a tempo pieno. Ecco perché l’avvicendarsi di tante persone diverse viene qui visto in maniera critica riguardo l’essenza del progetto 291out, nonostante le esperienze condivise siano state ad ogni modo importanti e forse necessarie nel costruire quello che oggi è il nostro sound. Su tutti è fondamentale ricordare il fonico e chitarrista Alberto de Angeli, figura importante per il decorso dei 291out prima che si ricompattassero nel loro mood originario; è grazie a lui che si è continuato a fare musica nella città di Milano e con cui si è intrapreso lo splendido viaggio nel mondo delle colonne sonore ma, al contempo, la sua decisione di lasciare il gruppo è stata anche fonte di grandi riflessioni e dubbi sul voler proseguire in questo settore e su quale fosse l’obiettivo ultimo della band.
Passi importanti: quali sono stati finora i momenti più importanti, nella vostra carriera?
Dal 2003 al 2013 l’attività musicale legata al progetto 291out, nata per diletto, si confronta con il mondo del lavoro nel campo delle colonne sonore. Dopo un’esaltante esperienza sul set del lungometraggio “Questo è il giardino” di Giovanni Maderna, Presence decide di rimanere a Milano per intraprendere il biennio presso la Scuola Civica di Cinema, al termine della quale comincia la realizzazione del suo primo cortometraggio animato “Ipa Nuit Ylio”; con questo progetto ecco presentarsi l’occasione per realizzare la prima soundtrack originale coinvolgendo, da Napoli, gli altri componenti del gruppo: Antonio, Floriano, Vincenzo ed il flautista Danilo De Luca. In realtà c’era già stata un’ esperienza in merito, con il documentario “Box” di Giorgio Carella, il cui score fu musicato, tra Napoli e Milano nel 2000, dalla band con la partecipazione de “La Società dei Lupecani” (ndr: formazione composta da Davide & Tancredi D’Alò, Vittorio Melon, Mario Leombruno, Luigi Pignalosa, Luca Carini, Antonio Bocchino). Ma fu “Ipa Nuit Ylio” a rappresentare un momento di svolta davvero importante; primo perché venne premiato all’indomani della realizzazione come miglior cortometraggio al Bassano Film Festival e poi perché fu il biglietto da visita per entrare nello studio di post-produzione milanese FastForward dal 2003 al 2005. Nell’arco di quei tre anni e nei successivi quattro – periodo in cui a Luca si affiancano i fratelli Bocchino – si susseguono una serie di risultati importanti che i 291out conseguono nella complessa professione di musicisti per le immagini non solo per FastForward, con la quale abbiamo musicato video pubblicitari per diversi brand italiani ed internazionali – tra cui Costa Crociere, Samsung, Gucci, ITT Industries, FIAT – ma anche negli ambiti della produzione cinematografica e televisiva, per i cortometraggi della casa di produzione Camera Car e per format televisivi prodotti da emittenti nazionali – tra cui Fox Life, Rai Educational, LA7, MTV, RSI, Studio Universal – nonché incursioni nel mondo della radio e dell’editoria. Un periodo unico ed irripetibile come lo era il momento storico in cui si operava: il mercato italiano non aveva ancora subito la depressione che caratterizzerà gli anni della recessione a venire e, di conseguenza, c’era ancora la possibilità di realizzare prodotti di qualità con i giusti mezzi economici. Su tutti ci piace menzionare tre lavori di musica applicata che hanno rappresentato un salto di qualità anche per ciò che concerne le sonorità del gruppo e la sperimentazione del linguaggio musicale: la colonna sonora per “Armi – The Ultimate Killing”, mediometraggio noir diretto nel 2009 da Andrea Bettoni per la Blackpencil Production, da noi composta ed eseguita in collaborazione con i concertisti della Scala di Milano; “Scatti di Nera”, rubrica dedicata alla cronaca nera degli anni settanta prodotta da Fox Crime nel 2007 e condotta da Michele Placido; “Scrivere New York” serie di nove documentari, diretta da Giorgio Carella nel 2004 per la Minimum Fax in collaborazione con CULT Network e (H)FILM, sugli scrittori della Grande Mela, trasmessa da LA7 e Rai3 e vincitrice del premio Cenacolo d’Oro per l’Editoria. Una parte della musica sopra citata finisce poi sui dischi, durante gli ultimi tre anni. Il nostro approdo sul mercato discografico indipendente avviene grazie all’interessamento del produttore Andreas Krumm – in arte Dynamo Dreesen – che nel 2013 stampa, per la sua etichetta Acido Records, “Urania (Titoli di Coda)”, brano che registrammo ben dieci anni prima per il cortometraggio prodotto dalla Fandango in collaborazione con Camera Car “Dialogo tra un allenatore ed il suo secondo”. E’ interessante notare che il nostro esordio discografico avviene, a vent’anni dalla nascita, con un brano di musica applicata – che rimane il tratto distintivo dei 291out – e che i primi due dischi portano il titolo “Soundtracks for No Film”, quasi a presagire quello che sarà il destino di quasi tutti i cortometraggi italiani che, salvo rare eccezioni, finiscono nell’oblio e con essi anche le musiche che li accompagnano. Arrivare su disco con un brano realizzato nel 2003 ci sorprende e ci emoziona doppiamente perché significa che la potenza sonora dell’idea travalica le nostre consapevolezze e, di fatto, le mode stagionali – di cui il mercato contemporaneo spesso oggi soffre – rendendo immortale l’essenza stessa della composizione nel tempo. La cosa fa alquanto sorridere se pensiamo che il brano è stato scritto da Presence, Floriano Bocchino e Alberto De Angeli in un pomeriggio, presso lo studio di Alberto, davanti ad uno schermo su cui scorrevano immagini calcistiche. Da qui in avanti ecco scoperchiato il vaso di pandora: il Vol. 2 di “Soundtracks for No Film” sempre nel 2013, il “Vol.7” per l’etichetta Really Swing nel 2014, la partecipazione al festival Terraforma nel 2015.
Passi per prendere un po’ d’aria e trovare ispirazione ed energia: quali sono le vostre altre passioni? Come le sviluppate? Quanto tempo riuscite a dedicare loro?
Diciamo che le nostre altre passioni spesso e volentieri sono connesse all’attività musicale e tutto si influenza vicendevolmente. Abbiamo sempre dato al cinema un ruolo di prim’ordine nelle nostre vite, nonostante la fruizione di questa magnifica arte sia poi cambiata dagli anni ottanta ad oggi e quindi, anche se non siamo più frequentatori assidui nelle sale, ci piace ritagliarci del tempo ancora adesso per ritrovarci tutti insieme davanti ad un schermo – meglio ancora quando le immagini sono proiettate su un bel telo bianco. Sicuramente gli incontri in modalità “cineforum” si sono poi affievoliti nell’arco del tempo ma ogni qualvolta si può condividere questa passione non c’è nulla che tenga. A questo proposito riaffiorano dei bei ricordi, quando nel 2005 – periodo in cui si suonava dal vivo e si componevano le colonne col nome di Poligono – eravamo in Cilento nella casa di villeggiatura di Antonio e Floriano per la preparazione dello spettacolo “Poliziottica”: un live in cui omaggiavamo le musiche dei poliziotteschi italiani. In una settimana continuativa di musica, ogni qualvolta posavamo gli strumenti per prenderci delle pause, eravamo davanti ad uno schermo per guardare i film che avremmo suonato e che, in quel caso, era tutta la cinematografia noir e d’azione degli anni settanta in Italia; ore ed ore di immagini e musica che scorrevano imperterrite davanti ai nostri occhi estasiati: tutto il cinema di Fernando Di Leo e del maestro Luis Bacalov, di Umberto Lenzi e del maestro Franco Micalizzi, di Enzo Castellari e dei fratelli De Angelis, di Stelvio Massi e del maestro Stelvio Cipriani e via dicendo. Poi c’è la lettura, sia narrativa che saggistica, le arti visive – cosa c’è di più bello di una domenica pomeriggio al museo? – e ovviamente le passeggiate all’aria aperta, meglio ancora se fatte sul lungomare della nostra città natale: Napoli.
Passi perduti: quali sono finora i vostri più grandi rimpianti, musicalmente parlando?
Probabilmente se fossimo stati più caparbi ed avessimo insistito nel portare avanti certe intuizioni che avevamo avuto, prima che un certo revival divenisse poi di tendenza, oggi parleremmo in altri termini di ciò che poi è stato il nostro futuro artistico. Come spiegavamo nella domanda precedente, nel periodo in cui realizzavamo le colonne sonore col nome di “Poligono”, ci divertiva molto suonare anche le composizioni di altri musicisti che avevano reso celebri le sequenze dei nostri film preferiti ed in particolare che avessero una forte componente funk: ragion per cui il genere dei polizieschi era alquanto calzante – anche se poi attingevamo in maniera più ampia dal cinema di genere italiano dei ’60 e ’70 confrontandoci, ad esempio, con la bossa nova delle commedie, il beat psichedelico, le atmosfere sospese dei thriller, il jazz degli spy-movies e degli agenti segreti nostrani. E’ importante poi ricordare che tra la fine degli anni novanta ed i primi anni duemila avevano avuto un certo riscontro sul mercato etichette come la Easy Tempo, la Dagored, la Plastic, la Crippled ecc. che avevano puntato tutto sulle musiche dei compositori italiani – proponendo, in alcuni casi e per la prima volta, titoli mai stampati prima – e questo contribuì a creare una scena che ebbe subito un certo riscontro nella città di Milano; si potevano, quindi, sentire in quel periodo concerti di gruppi nati sulla scia di quel revival come i Vip 200, fino ai mentori ormai anziani del genere come Piero Umiliani. Grazie ad una discreta attenzione da parte del pubblico era dunque di fondamentale importanza focalizzare in quel preciso momento storico tutte le nostre ambizioni ma, ahi noi, non fu così. Era precisamente nel 2005, l’anno in cui ci esibivamo con lo spettacolo “Poliziottica”. Tre anni dopo i Calibro 35 esordiranno con il loro primo album pubblicato dalla Cinedelic, composto perlopiù da cover di brani degli anni ’70 appartenenti a colonne sonore di film di genere poliziottesco. Ripensando a quel periodo ci sentiamo sempre come se avessimo perso un treno.
Passi che consigliereste: quali sono secondo voi i cinque album (o brani) che consigliereste e che non dovrebbero mancare nella discografia di tutte le persone a cui volete bene o che stimate?
“Giant Steps” – John Coltrane (Atlantic -1959)
“Napoli Centrale” – Napoli Centrale (Ricordi -1975)
“Octopus” – Gentle Giant (Vertigo -1973)
“Mr. Hands” – Herbie Hancock (Columbia -1980)
“Crac!” – Area (Cramps -1974)
Passi in biblioteca o videoteca: quali libri o film consigliereste?
“Lo straniero” di Albert Camus, “La linea d’ombra” di Joseph Conrad, “Il caso Venere Privata” di Giorgio Scerbanenco, “Miles – L’autobiografia” di Miles Davis. Circa il cinema e vista anche la nostra smisurata passione per quest’arte, diventa un po’ più difficile privilegiare dei titoli piuttosto che altri; sicuramente il Rosi di “Le Mani sulla città”, Fernando Di Leo con la trilogia da Scerbanenco, (Milano Calibro 9/ La Mala Ordina/ Il Boss), tutta la produzione di Elio Petri, il Leone della “Trilogia del dollaro”, il Corbucci di “Django”, de “Il grande silenzio”, e “Vamos a matar companeros”, il primo Argento (da “La trilogia degli animali” a “Tenebre”), il Fulci de “L’Aldilà”, i neorealisti (in particolare Roberto Rossellini), gran parte della commedia all’italiana tra gli anni ’50 e ’60 (menzionando tra i vari uno degli attori più immensi che sia mai esistito: Alberto Sordi), il cinema d’animazione della Bozzetto film, il Lenzi di “Milano Odia”, Pier Paolo Pasolini e dulcis in fundo il cinema gotico di Mario Bava. Sul fronte internazionale: il cinema d’avanguardia in tutte le sue forme (dai film astratti ai surrealisti e dadaisti, dall’impressionismo francese alle avanguardie sovietiche, dall’underground americana anni ’60 a Jesus Franco Manera), tutto il cinema di Hitchcock, l’arte in stop-motion di Jan Svankmajer, l’opera di Walt Disney (ed in tempi più recenti della Pixar), la “New Hollywood” (da Scorsese e Coppola a De Palma), il cinema fantascientifico di Scott e Lucas, il primo Cronenberg (da “Shivers” e “Rabid” al “Pasto Nudo”), il cinema di John Carpenter tra i Settanta e gli Ottanta, il “Tetsuo” di Shinya Tsukamoto, l’Hooper di “Non aprite quella porta”, la “Blaxploitation” (su tutti “Super Fly” di Gordon Parks jr.), Luis Bunuel e Stanley Kubrick…Quanto tempo avete? Ahahah!
Passi fondamentali: qual è il risultato artistico di cui finora andate più orgogliosi?
L’album inedito dal titolo “291out – The Album” che abbiamo registrato tra il 2012 ed il 2013. E’ il primo lavoro di musica “assoluta” (come direbbe Morricone) dopo tanti anni – quindi senza un risvolto applicativo per le immagini – ed è il frutto di un percorso lungo ed impegnativo portato avanti nel tempo libero dai componenti della formazione originale (Luca Carini al basso, Antonio Bocchino alla batteria, Vincenzo Ciorra alla chitarra, Floriano Bocchino al piano) con l’aggiunta di Luigi “Louis” Di Bella alle tastiere ed alla tromba, Maurizio Tedesco al trombone ed Alberto de Angeli in qualità di fonico, chitarrista e supervisore dell’intera produzione. Il disco rappresenta in un certo senso l’essenza del progetto 291out: è l’espressione dei nostri background attraverso un concetto di “fusione”, che viene fuori da una commistione di territori sonori influenzati principalmente dal rock progressivo italiano, dal jazz contemporaneo, dalla psichedelia, dal funk e dalla sperimentazione elettronica. In effetti, nome della band e titolo dell’album si ispirano dalla rivista dadaista “291” di Stieglitz, all’inizio del XX secolo, rendendo omaggio alla libertà, alla creatività, all’ironia di quel movimento che rifiutava le ragioni e le logiche dei generi precostituiti. E mai fu più efficace, nella realizzazione del disco, la presenza di Louis Di Bella che probabilmente è uno dei musicisti più spericolati con cui ci siamo mai confrontati in termini di ricerca e modo di suonare, dotato di una fervida immaginazione e di un grande spirito improvvisativo. Il disco, non ancora pubblicato, è rimasto fino ad oggi chiuso nel cassetto in occasione di poterlo proporre nel momento opportuno e con la giusta distribuzione; tuttavia, nell’attesa di fare il grande passo nel mondo della editoria discografica, il materiale prodotto in quest’opera rappresenta una parte consistente di ciò che portiamo sul palco nei nostri spettacoli dal vivo.
Passi in compagnia: quali sono i dj e producer o gli artisti con cui sentite più affinità, e con cui vorreste sempre e comunque condividere parole, progetti, obiettivi?
Dopo l’abbandono di Alberto de Angeli nel 2013 si è posto il problema di affiancare alla band una persona che avesse le competenze e la sensibilità di seguire un progetto dalle molteplici sfaccettature come il nostro; un elemento che fosse avvezzo alla musica acustica, ma che contemplasse anche l’esperienza elettronica, che avesse competenze specifiche in qualità di fonico e che potesse esserci vicino sia dal punto di vista umano che intellettuale. Tutte queste caratteristiche le abbiamo ritrovate in Ivan “Flyme” Cibien, che attualmente rappresenta il valore aggiunto per il suono della band, tramite le contestualizzazioni in termini elettronici e figura chiave per le nuove produzioni in corso dei 291out, nonché fonico per i live e in studio. Presence lo aveva conosciuto nel 2009 in occasione del progetto “Armonie”, quando assieme ad Andrea Modena formava il duo elettronico “Starsgarage”– e hanno poi stretto una splendida amicizia. Una menzione speciale va sicuramente al produttore Walter “Quiroga” Del Vecchio da Napoli; al suo coraggio e alla sua caparbietà nel portare avanti un discorso sempre più difficile, per ciò che concerne un certo tipo di approccio musicale nel mercato contemporaneo, e grazie al quale abbiamo potuto realizzare il “Vol.7” sulla sua etichetta Really Swing: un vero e proprio compendio della nostra produzione nel campo della musica applicata. In questi due anni di conoscenza abbiamo potuto approfondire le nostre passioni comuni – anche lui un grande fanatico di cinema e di colonne sonore – e iniziato un percorso di collaborazione musicale che, in tempi recenti, ha dato i suoi primi frutti – con “Really Swing Vol.8” firmato da Quiroga, al quale abbiamo collaborato per tre tracce del disco – ma che ha ancora in serbo innumerevoli sorprese sonore. Rimanendo nella nostra città natale non possiamo non menzionare Luca “Bop” Affatato, conosciuto anche con il moniker di Phutura, col quale abbiamo recentemente collaborato per il suo primo LP “Self-Portrait” sull’etichetta Best Company da lui fondata. Il rapporto tra Bop e il nostro Presence risale ai tempi del liceo e, nonostante la profonda diversità nelle metodologie compositive e nell’approccio alla materia sonora, rimangono legati da un profondo affetto maturato negli anni spensierati dell’adolescenza; ricordiamo che anche Luca Bop, pur se per un breve periodo nei primi anni novanta, ha militato nelle fila dei 291out suonando le percussioni con lo pseudonimo di Bongo. In tempi recenti, parallelamente all’attività, ora conclusa, di Luca Carini come co-direttore artistico del 65mq di Milano, siamo venuti a contatto con molti esponenti della scena indipendente italiana: produttori, musicisti e deejay dislocati in tutta Italia, accomunati da grande passione e attivismo nella musica. Ci sembra giusto nominare alcuni di loro, con i quali ogni occasione d’incontro si rivela sempre un momento di grande gioia, condivisione e possibilità di collaborazione: Stefano “K-Soul” Boati e Paolo “Muteoscillator” Giangrasso da Torino, Franceso “Francisco” De Bellis da Roma, Riccardo “Riccio” Zanaroli e i Nas1 – Francesco Terra e Federico Natali – da Bologna, Fabio “Della Torre” Corcos e Simona Faraone da Firenze, Niccolò “Bogus” Bruni e Alberto “Paguro” Bello da Modena, Cosimo “Cosmo” Mandorino e Fabrizio Mammarella da Pescara, i Mushrooms – Giorgio Giri e Marco Lentano – da Parma, Marco “PeeDoo” Gallerani da Ferrara, Luca Roccatagliati da Reggio Emilia, Francesca “Paquita Gordon” Faccilongo da Palermo, i veneti Dario “Dax” Bedin e Nicolò Bordignon, Sergio Caio da Trani, Valentina “Alpha V” Torelli, Sebastiano “Robotalco” Urciuoli e il grande Leo Mas da Milano.
Passi virtuali: come state vivendo l’onnipresenza del web nelle nostre vite in questi anni? Visto tra l’altro che questa è una intervista che stiamo facendo per un media on line…
Consideriamo il web in maniera critica. Per noi è sicuramente uno strumento importante che serve a veicolare il progetto 291out: ci permette di creare e mantenere viva una rete attorno alla nostra idea di musica e soprattutto di riuscire a condividerla con un pubblico estremamente variegato. Insomma il web rappresenta sempre e comunque un’opportunità. Ma la sua onnipresenza oggi ha fatto perdere di vista quello che per noi rimane sempre l’aspetto fondamentale della musica: il live, il suonare, l’happening e l’estemporaneità. La fisicità è sempre il conduttore principale dell’arte, dato che rimaniamo comunque, ancorati al significato ancestrale dell’espressione artistica. Il web deve semplicemente fare la sua parte di strumento.
Passi incrociati: qual è la situazione, musicale e non, più assurda che vi è capitato di vivere?
Una delle esperienze più assurde e divertenti che ci è capitato di vivere è stata la realizzazione della colonna sonora del cortometraggio “Mr. IV Piano” di Stefano Giulidori per la Camera Car nel 2004. Il titolo di lavorazione però, durante la scrittura della musica, era un altro: “Il toro di Porta Venezia”, molto più indicativo ed esplicito. Noi, che generalmente definiamo la stesura della soundtrack sul montato definitivo del film, in questo caso e per volere del regista – per il quale solo in questo modo saremmo entrati nel mood del progetto – abbiamo realizzato tutte le registrazioni sulle immagini di una valanga di film porno anni ottanta: immaginate le sedute in studio con parte del cast tecnico del film, l’attrice principale, il regista, noi con gli strumenti a tracolla e sullo schermo le forme procaci di Traci Lords intenta in amplessi stellari o chessò Ginger Lynn e John Holmes in “Girls on fire”. L’attenzione ovviamente su ciò che stai incidendo può anche andare a farsi benedire, soprattutto poi se non si ha dimestichezza nel mondo della post a luci rosse. In ogni caso il materiale sonoro che è stato realizzato funzionava a prescindere dalle immagini su cui successivamente fu montato e questo ci ha fatto capire che non sempre una colonna sonora vive unicamente per il film per cui viene scritta.
Passi sbagliati: quali sono le cose che più vi danno fastidio nella scena musicale italiana?
Ciò che più ci infastidisce è il fatto che la musica non venga più prodotta, ma semplicemente riprodotta e fagocitata in continuazione dal web di cui sopra, poi dalla televisione. La TV: pensate un po’ come siamo messi, la musica ridotta ad un “concorso a premi”. Questo ci infastidisce. Chiaramente la piccola produzione autonoma ed indipendente resiste e ne fa rimanere in vita lo spirito genuino; noi possiamo solo essere grati alle etichette indipendenti – al momento parliamo di label che si muovono principalmente sul versante dell’elettronica – che danno valore a quello che facciamo permettendoci di concretizzare dei progetti sonori eterogenei e di essere sul mercato. Ma ciò che manca completamente oggi è l’intraprendenza, l’investimento sulla musica come campo di produzione di cultura innovativa. Pensiamo alla fantastica esperienza italiana di Gianni Sassi e di etichette davvero all’avanguardia come la Cramps, in un’Italia dove c’era ancora una parte di imprenditoria colta ed intelligente. Noi possiamo solo farci i nostri film sonori e continuare a suonare seguendo i nostri principi, ringraziando tutti coloro che ci supportano.
Passi che state per compiere: quali sono i vostri prossimi progetti?
La formazione dei 291out si è recentemente rinnovata, con l’ingresso dei due giovani musicisti Roberto Dazzan alla tromba e Daniele Lacava al sassofono e flauto traverso – che insieme alla formazione originaria compongono il brass della band – ed è con questo nuovo assetto che ci esibiamo dal vivo e registriamo i dischi in studio. A fine febbraio saremo in sala d’incisione, assieme a Riccio e Lorenzo Bandiera in veste di produttori, a registrare una versione completamente inedita del nostro esordio discografico “Urania” per Fly By Night. In primavera si prevede anche l’uscita de “I Visitatori della Galassia Arkana”, in collaborazione con Flyme, per Pizzico Records. Un nostro brano sarà inserito nel Vol. 3 di “Soundtracks for No Film” per Acido, siamo felici e onorati di continuare la serie. Stiamo anche finendo di preparare un EP per Bosconi Records, con tracce che sono il frutto di collaborazioni con gli amici di sempre Bop e Flyme. Ancora con quest’ultimo è in corso il progetto a latere del trio di stampo elettronico, una digressione live che porta in scena l’aspetto più dance della nostra produzione.
Passi sinestetici: salutateci non con delle parole, ma con una traccia, non importa se vostra o di altri.