Adoro ascoltare musica e documentarmi sulla storia e la vita dei dj e musicisti che mi appassionano; trovo pure avvincente cercare di unire i puntini che unisco, più spesso di quanto crediate, il percorso personale e quello artistico di ciascuno di loro. Ma se c’è una cosa che mi manda fuori di testa è leggere interviste come quella a Diego Parravano, in arte Copycat Club, che con le sue parole pesate, puntuali e appassionate ha saputo trasformare un “semplice” Giant Steps in una lettura avvincente.
Non c’è una virgola fuori posto nelle sue risposte (cosa piuttosto rara, sono sincero) e non c’è nulla che mi abbia fatto pensare “forse questo era meglio non dirlo“, oppure “che banalità“.
Questo lunedì, quindi, vi regaliamo una di quelle interviste per cui vale la pena scrivere di musica, fidatevi. E dite grazie alla nostra vecchia conoscenza berlinese Mattia Grigolo, che ce l’ha suggerito dopo averlo scoperto nei club della capitale tedesca. Buona lettura e buon ascolto!
Passo numero uno: qual è il disco o la traccia che ti ha cambiato la vita? La primissima. Quella che ti ha fatto capire che la musica era veramente un’emozione particolare, più intensa di altre.
Rispondo in maniera abbastanza banale, ma è inutile nasconderlo: “Nevermind” dei Nirvana. Sei adolescente, hai una rabbia repressa che non sai come sfogare e questo tizio biondo ti scrive delle canzoni che puoi tanto fischiettare quanto urlare chiuso in camera. Una dote non da poco che forse ho dato troppo per scontata con gli anni. È musica capace di creare un ponte tra te e l’artista, tanto da farti pensare “non so chi sei, ma cavolo se so come ti senti!“. È forse stato l’inizio per la mia carriera musicale, molto viscerale ma capace di dare una immediata valvola di sfogo.
Passo numero due: quando hai capito che la musica, produrla o suonarla, sarebbe stata una parte fondamentale della tua vita?
Al primo anno d’università, anche se il processo è stato molto più lungo e si è intrecciato con vicende personali. Se dovessi tracciare un arco temporale direi tra il 2007 e il 2011, anno in cui sono arrivato a Berlino. Metto nero su bianco un altro cliché: Berlino ha riabilitato in me la figura del musicista come “professionista” e non come semplice alternativa ad un lavoro vero. Ho capito che la musica sarebbe stata una costante per gli anni a venire e non mi sono sentito a disagio con tale pensiero, cosa che prima creava un nodo in gola ogni volta che dovevo pianificare il mio futuro professionale. Se dovessi spiegare perché è una costante non sono sicuro che ci riuscirei. Ho imparato ad esprimermi con questo linguaggio ed è diventato un bisogno quasi fisico.
Passo a margine: quali sono stati i momenti di maggior crisi, nel tuo rapporto con la musica?
Vedo il mio rapporto con la musica come una relazione sentimentale, ogni volta che provo a impormi e a piegarla per scopi più “superficiali” ho la sensazione di aver rotto un equilibrio ed è così che inizia una crisi. Mi spiego: ci sono stati momenti in cui ho avuto la sensazione di usare la musica per alimentare il mio ego, per l’endorfina di qualche like in più, per un riconoscimento superficiale. Tra il 2016 e il 2017, dopo aver pubblicato il mio primo disco ho capito che alcune cose che facevo rispettavano logiche da clickbait. Lì ho avuto davvero paura che qualcosa si fosse rotto irrimediabilmente. Sono sicuro che qualsiasi musicista non disprezza un grande riconoscimento di pubblico. Purtroppo spesso il plauso è dato dalla modalità con cui la musica viene presentata (articolo su una grande rivista, partecipazione a festival importanti etc etc.) piuttosto che dal contenuto musicale in sé.
Passi importanti: quali sono stati finora i momenti più importanti, nella tua carriera?
Sicuramente non posso non menzionare il mio primo disco: l’impegno che ho messo in quel lavoro travalica la pura sfera musicale e mi ha insegnato molto anche in termini di rapporti umani. Conosco molti artisti che hanno talento, specie in questa città, ed ho voluto raccoglierli in un progetto comune. Non smetterò mai di ringraziare tutti loro. Si sono occupati delle grafiche, della promozione, del mastering e, in larga parte, della produzione di ben undici video che hanno accompagnato l’uscita (uno per ogni traccia). Se qualcuno di loro sta leggendo queste righe sappia che sarò eternamente riconoscente (e richiudo qui la quarta parete).
Passi per prendere un po’ d’aria e trovare ispirazione ed energia: quali sono le tue altre passioni? Come le sviluppi? Quanto tempo riesci a dedicare loro?
Se non mi fossi buttato così tanto sulla musica sarei forse diventato un topo da biblioteca – storia e astronomia sono gli ambiti che ultimamente prediligo. Penso che ambo le materie allarghino molto gli orizzonti, anche solo se si considera quanto lo facciano spazialmente e temporalmente. Più leggo di storia meno mi sento speciale: tendiamo a considerare la nostra società come il culmine di un processo di miglioramento, eppure con sorpresa mi accorgo che guardando indietro abbiamo molti spunti per fare meglio. Penso ad un Lorenzo il Magnifico. Famiglia di banchieri, disponibilità economica…eppure impiega parte delle sue risorse per risollevare la cultura del suo tempo, radunando attorno a sé i migliori artisti dell’epoca, senza considerare la cosa uno spreco di denaro. Avrà avuto anche altri interessi, ma quanti oggi farebbero altrettanto? Un suo odierno omologo considererebbe la sua scelta un puro suicidio finanziario. Eppure la storia gli ha dato ampiamente ragione. Per quanto riguarda l’astronomia consiglio a tutti di leggere di quale sarà il destino ultimo dell’universo, aiuta a ridimensionare molti problemi.
Altra grande passione è fare un sacco di digressioni.
Passi perduti: quali sono finora i tuoi più grandi rimpianti, musicalmente parlando?
Su tutti il non aver iniziato prima a suonare il piano. Sta diventando un elemento compositivo sempre più centrale, che sia “a secco” o collegato con un sistema modulare. Per quanto io sia avverso a mettere la teoria musicale davanti al mio modo di comporre, non posso negare che dia strumenti e maggior possibilità d’espressione. L’importante è non far girare l’impianto teorico a vuoto.
Passi che consiglieresti: quali sono secondo te i cinque album (o brani) che consiglieresti e che non dovrebbero mancare nella discografia di tutte le persone a cui vuoi bene o che stimi?
Provo a contenermi e vado con cinque classici:
Cluster “Zuckerzeit”
Steve Reich “Electric Counterpoint”
Miles Davis “Kind Of Blue”
Ryuichi Sakamoto “async”
Bill Evans “Conversations With Myself”
Passi in biblioteca o videoteca: quali libri o film consiglieresti?
Vado di getto. Libri: “Il mondo senza di noi” di Wiesman, “Q” di Luther Blisset e “Le cosmicomiche” di Calvino. Film: “L’armata brancaleone” di Mario Monicelli, “B-Movie: Lust & Sound” di Jörg A. Hoppe, Heiko Lange e Klaus Maeck e “L’odore della notte” di Claudio Caligari
Passi fondamentali: qual è il risultato artistico di cui finora vai più orgoglioso?
Di base direi sempre “l’ultima cosa che ho prodotto” ma se provo a ragionarci a mente fredda forse sarebbe bene citare un evento collegato al primo disco. Ho organizzato una proiezione di circa quaranta minuti, in uno spazio espositivo al GlogauAIR di Kreuzberg. La partecipazione che c’è stata, il contatto diretto con il pubblico ed il dover gestire il tutto con i vari videomaker mi ha dato modo di crescere, anche come persona. Il lato manageriale della cosa (contattare lo staff dell’acquario di Berlino per delle riprese, tenere conto della logistica, del budget, della promozione etc) mi ha dato più sicurezza, anche verso me stesso come musicista.
Passi virtuali: come stai vivendo l’onnipresenza del web nelle nostre vite in questi anni? Visto tra l’altro che questa è un’intervista che stiamo facendo per un media online…
Penso che uno strumento, come il web, di per sé non abbia valore negativo o positivo. Anzi, i social e la nascita di webzine sono un buon modo per rompere con gli schemi tradizionali, schemi in cui la musica che si ascoltava passava per meeting e scelte dettate da logiche di mercato. Purtroppo siamo tornati al punto di partenza e il successo di Spotify sta lì a dimostrarlo. Le etichette hanno le loro playlist e piazzano i loro artisti dove c’è maggior seguito, anche pagando. La rivoluzione dal basso è un po’ scemata.
Per quanto riguarda la sfera non strettamente musicale vedo con rammarico che il web ha cannibalizzato le paure e le perversioni dei suoi utenti. Mi spiace e sicuramente spiace a chi aveva intenzione di costruire uno strumento che fosse capace di decentralizzare. Accendiamo un dispositivo Apple, cerchiamo su Google, compriamo su Amazon ed interagiamo su Facebook. So che suona come pura demagogia, ma è innegabile. Ed è innegabile che il web sia ormai uno strumento politico. Il fatto che molti basino le proprie idee politiche sui contenuti offerti dai social sta lì a dimostrarlo.
Passi in compagnia: quali sono i dj e producer con cui senti più affinità, e con cui vorresti sempre e comunque condividere parole, progetti, obiettivi?
Ammetto che spesso ho questo moto di condivisione con artisti provenienti da altri ambiti. Tra questi Riccardo Torresi, un media artist con il quale ho condiviso molto del progetto Copycat Club e che stimo molto a livello professionale.
Anche l’interazione con altri musicisti è stata fondamentale. Primo tra tutti il mio amico Mattia che mi ha letteralmente insegnato l’”arte di autoprodursi”. Amo quello che fa tanto con il suo progetto Blauss che come Mattia Schroeder.
AZZURRA e Stefano “Menion” sono altre due persone con le quali mi piace interagire (so che stanno producendo del nuovo materiale e non vedo l’ora di ascoltare) a cui si aggiunge Frank del progetto Hyusfall – con lui esprimo il mio lato nerd da amante dei synth.
Nel mondo del “vorrei” c’è Adi Gelbart, anche lui qui a Berlino. Per me lui è un re mida, tutto quello che produce è oro. Purtroppo è sempre impegnato e, a parte sporadiche conversazioni, non ho avuto modo di parlare con lui come avrei voluto.
Passi incrociati: qual è la situazione, musicale e non, più assurda che ti è capitato di vivere?
Ho una collezione di storielle assurde che ormai i miei amici conoscono a memoria. Forse la più adatta a questo contesto risale all’inverno scorso. Ero a Dalian, una città della Cina a un centinaio di kilometri da Pyongyang, e (tagliando il come ed il perché) mi sono ritrovato in questo castello per un concerto di Natale (cosa già di per sé fuori contesto). Vedere un mondo così diverso che celebrava brani d’opera italiana, compositori tedeschi e grandi arie di età barocca sotto un maestoso albero in glitter, aveva un qualcosa di fuori dal tempo. A questo va aggiunto che ero probabilmente l’unico occidentale della sala e, forse per dare credito all’occidentalità della manifestazione, mi hanno riservato un’ospitalità particolare. Addirittura spostando via chiunque avesse oscurato la mia visuale, magari anche solo per fare una foto veloce all’orchestra.
Passeggiando per la città nei giorni successivi, mi sono imbattuto in gruppi di anziani che si riunivano e cantavano vecchi canti tradizionali, alcuni dei quali di propaganda maoista. Quelle parole che inneggiavano a Mao avevano a che fare più con la glorificazione della nazione, piuttosto che della sua figura storica (almeno per come l’ho vissuto io). Questo mi ha dato molto da pensare, specie riguardo al dilagare del capitalismo in quel paese (il numero di fast food americani è impressionante in quella città). Ho deciso di comporre un rifacimento in chiave pop-capitalista di un vecchio canto di propaganda nel mio ultimo disco, proprio a seguito dell’esperienza (“The People of Yanbian Love Chairman Mao”).
Passi sbagliati: quali sono le cose che più ti danno fastidio nella scena musicale italiana?
Non ricordo chi disse che ad un certo punto il cinema italiano si era ridotto a drammi familiari e cinepanettoni. Beh, con le dovute analogie potrei parafrasare parlando di indie e trap (a voi sta decidere quale produrrebbero i fratelli Vanzina).
Purtroppo il puntare su formule consolidate, che a lungo raggio lasciano un po’ il tempo che trovano, non aiuta chi ha talento ma non ha un canale per emergere. Si ragiona in termini di click e shares ed a volte è più facile puntare sul sensazionalismo che sulla qualità. Peccato, perché in Italia di gente che merita ce n’é parecchia.
Passi che stai per compiere: quali sono i tuoi prossimi progetti?
Al momento sono molto influenzato dal jazz, specialmente del periodo pre-”Bitches Brew”. Non escludo però che possa venir fuori qualcosa di inaspettato dalla prossima produzione. Diciamo che mi prenderò il periodo estivo per assorbire più che posso e riversare il tutto in un eventuale prossimo disco.
Intanto, a lungo termine, rimane sempre nel cassetto l’idea di documentare la diffusione dei sintetizzatori made in Italy, specie nel periodo d’oro di fine settanta. Mi sono già cimentato con un articolo sul progetto Automat e l’MCS70 di Mario Maggi ed ho altro materiale che non è mai stato pubblicato. Magari ne verrà fuori qualcosa.
Passi sinestetici: salutaci non con delle parole, ma con una traccia, non importa se tua o di altri.