Con alle spalle una carriera lunghissima e un bagaglio di esperienze degno solo dei più grandi interpreti del movimento nazionale, Daniele Schito, in arte Dan Mela, è da anni una delle colonne portanti della fervente scena pugliese. Non bastassero i suoi messaggi sempre positivi e costruttivi, che rivelano un’attitudine “jazz” non solo dal punto di vista musicale, ne è la prova il modo in cui ne parlano i giovani – tutti, nessuno escluso – che animano i club da Vieste a Leuca, identificandolo come uno dei punti di riferimento della loro passione e della loro crescita musicale.
Per questa ragione siamo lieti di presentarvi oggi i suoi quindici passi, una felice escursione tra house music, jazz, funk e soul che vi consigliamo vivamente di non perdervi.
Passo numero uno: qual è il disco o la traccia che ti ha cambiato la vita? La primissima. Quella che ti ha fatto capire che la musica era veramente un’emozione particolare, più intensa di altre.
È sempre difficile rispondere a questa domanda. Spesso leghiamo un brano aa un momento particolare, bello, grandioso o triste; mi stacco da queste sensazioni e cerco di essere il più razionale possibile e scelgo “Afternoon Of A Faun” di Debussy ma, nel mio caso, l’interpretazione di Walter Murphy. Trovai questo brano tra i dischi di una radio locale dove in età giovanissima provavo a fare la regia. Era il brano musicalmente perfetto, mi teneva saldo all’apprezzamento classico ma mi fece subito capire che il Jazz sarebbe stata la mia vera strada formativa e conoscitiva. A distanza di anni rimane sempre la traccia più significativa, completa, appagante e, quando sentì il campione usato nell’album “Black Mahogamy” di Kenny Dixon Jr., esclamai a gran voce “sei un grande!”.
Passo numero due: quando hai capito che la musica, produrla o suonarla, sarebbe stata una parte fondamentale della tua vita?
Semplicemente quando mi resi conto di preferire stare chiuso in radio piuttosto che coi miei compagni a giocare a calcio o a pescare girini nel laghetto del paese. Non li invidiavo affatto! Amerò la musica più di qualunque altra cosa. So bene che non mi tradirà mai. È proprio questo senso di appartenenza che mi fa sedere a produrla solo quando lo sento veramente, non come una catena di montaggio. Di riprodurla invece, senza scomodare il “suonarla” (magari qualche musicista si potrebbe offendere), non mi stanco mai e cerco sempre di dare un senso e una linea, immergermi da prima nello spirito della serata, fare un set adatto all’orario in cui mi esibisco. Non mi importa essere protagonista e quindi mi piace farlo in qualunque momento. Sono stato sempre abituato a fare set di tre, quattro, cinque o addirittura sei ore. Ora è praticamente è impossibile, tranne in casi come al Wilden Renate di Berlino, dove suonai dalle 2 alle 10 del mattino insieme a Dodi Palese. Una notte incredibile! Oggi è molto difficile trovare tanto spazio e questo mi spiace soprattutto per le generazioni nuove e future: non potersi esprimere per tante ore non li forma a dovere, anzi spesso li incanala in un tunnel dove ognuno cerca di dare il meglio di se nella sola ora a disposizione e, a volte purtroppo, si sfocia nell’inopportuno: set a centotrenta battute al minuto quando ancora la notte è appena iniziata.
Passo a margine: quali sono stati i momenti di maggior crisi, nel tuo rapporto con la musica?
Era il lontano 1994: ero popolarissimo in Puglia, mio padre mi comprò un cellulare per disperazione. C’era così tanta voglia di ballare l’house music che i ragazzi chiamavano a tutte le ore a casa dei miei genitori per ricevere informazioni sulle imminenti serate. Capì però che stavo imparando poco dalla vita o perlomeno dai mestieri tradizionali e decisi di fermarmi per un paio di anni. Feci i lavori più improbabili, dalla distribuzione pasti negli asili nido ai traslochi, dal volantinaggio alle catene di montaggio, dai piccoli trasporti alla grande logistica. Questo periodo di crisi, ma fondamentalmente di crescita interiore, finì quando venni assunto dal “Disco Inn” di Modena, uno dei migliori negozi per gli addetti ai lavori di sempre. Inevitabilmente mi riavvicinai alla musica e iniziai a produrre di fianco ai migliori interpreti della scena italiana degli anni ’90.
Passi importanti: quali sono stati finora i momenti più importanti, nella tua carriera?
Vediamo un po’…”carriera”, è una parola di cui non faccio molto uso, direi mai. Della carriera e del successo fondamentalmente non me ne mai importato nulla. Io sono per la musica, punto! Credo di avere successo quasi tutte le volte in cui mi esibisco, ma questo non mi fa venire voglia di averne sempre più, non mi appartiene. Ho sempre inseguito la stima e il rispetto di chi ho di fronte e questo resterà il mio obiettivo sempre. Tuttavia, se dovessi veramente darti una risposta, direi che sono molto felice di aver licenziato le mie produzioni in Giappone, Sud Africa, nel resto d’Europa e in America, all’epoca paese dominante per le produzioni in 12”, e vedere il mio nome comparire insieme a quelli dei vari Masters At Work, Blaze, Red Snapper, Françoise K, Danny Krivit Jazzanova, senza citare i recenti. Avere una mia etichetta indipendente a New York negli anni ’90 (anche se il lavoro artistico veniva svolto in italia) e produrre un brano come “Re-troit”, che la Compost Records decide di ristampare a cinque anni dall’uscita, sono state esperienze a cui sono molto legato, così come rientrare nelle grazie di Anton Zap e riuscire a produrre sulla sua etichetta, la Ethereal Sound – non è facile riuscirci con una persona meticolosa come lui! Tra le altre cose che ho fatto c’è stato anche comporre le colonne sonore per vari brand tra cui la Lee (credo in occasione del loro centenario): io e il mio pianista tirammo fuori una specie di blues elettronico che rispettava la tradizione manifatturiera, ma con uno sguardo al futuro. Infine, un’altra tappa importante è stata concepire e produrre una brano “marcatamente house” come “Drive Me Crazy” insieme a Lady Blacktronika in un epoca dove la techno la fa da padrona.
Passi per prendere un po’ d’aria e trovare ispirazione ed energia: quali sono le tue altre passioni? Come le sviluppi? Quanto tempo riesci a dedicare loro?
Sono così assorbito dalla musica che non sento il bisogno di coltivare altre passioni e questo, a volte, mi porta a raggiungere uno stress mentale spaventoso tanto che, quando sono in macchina, spesso ascolto Radio 24 solo perché so che lì non verrà passato alcun brano, facendomi riposare la mente. Sono una specie di tossico che non morirà mai di musica. L’ispirazione arriva sempre istintivamente e dopo non ce n’è per nessuno, mi ci immergo e cerco di congelare subito l’idea. Il bravissimo Andrea Gemolotto mi insegnò involontariamente che nella musica non sono i suoni che a renderla funzionale: lavoravamo su un brano per la Sony UK e stavamo usando i suoni standard MIDI; lì capì l’importanza della metrica, del perfetto incastro e mi accodai al pensiero che i suoni rendono semplicemente più piacevole ciò che c’è alla base: l’idea.
Passi perduti: quali sono finora i tuoi più grandi rimpianti, musicalmente parlando?
Beh, senza dubbio, l’opportunità di imparare a suonare un vero strumento come il contrabbasso o il pianoforte e non riprodurre semplicemente arrangiamenti e accordi. Ho un approccio molto bello con altrettanti strumenti ma preferisco arricchire le mie produzioni meglio che posso, affidandomi a dei veri musicisti. Come dire, ad ognuno il suo mestiere.
Passi che consiglieresti: quali sono secondo te i cinque album (o brani) che consiglieresti e che non dovrebbero mancare nella discografia di tutte le persone a cui vuoi bene o che stimi?
Altra domandona…li scriverò di getto, senza pensarci! Tieni presente che preferirei poterne citare almeno cinquanta!
Coldcut “What’s That Noise”
Public Enemy “It Takes A Nation Of Millions To Hold Us Back”, a pari merito con Beastie Boys “Paul’s Boutique”
Sylvia Striplin “Give Me Your Love” (prodotto da Roy Ayers)
De La Soul “3 Feet High And Rising”
Tears For Fears “The Seeds Of Love”
Passi in biblioteca o videoteca: quali libri o film consiglieresti?
Leggere non mi ha mai affascinato più di tanto, specie i romanzi, quindi ribatto con dei “must” del cinema: C’era una Volta in America, Apocalypse Now, La Cosa (del 1982), Capricorn One, This Must Be The Place, Fino Alla Fine Del Mondo, The Game, Il Grande Lebowsky, Le Iene, La 25ma ora, Barry Lindom, The Sleepers, Nuovo Cinema Paradiso e Little Miss Sunshine. Poi tutte le puntate della serie tv My Name Is Earl e Spazio 1999
Passi fondamentali: qual è il risultato artistico di cui finora vai più orgoglioso?
Senza dubbio quello di aver messo in pratica insieme ad artisti di fama nazionale e internazionale un progetto che univa il jazz all’elettronica. Quasi vent’anni fa era difficile trovare in Italia dei jazzisti che potessero capirlo. Tanti “no!” e anche diversi insulti, come se la loro musica fosse intoccabile, ma io sentivo che questo “tsunami” li avrebbe investiti, prima o poi. Incontrai Stefano Calzolari, uno dei migliori pianisti jazz della scena italiana e dal suo immediato “sì, facciamolo!” nacque una vera e propria escalation di idee. Iniziammo a sperimentare sulla musica del ‘900 nei piccoli teatri e da li alla musica soul jazz e R&B: cito solo alcuni nomi come Christopher Thomas, Dario Deidda, Amedeo Ariano, Marco Micheli, Felice Del Gaudio, Joyce E. Yuille. Ricordo la faccia del direttore del Blue Note di Milano quando, dopo averci concesso una domenica (il giorno direi meno felice), vide il suo locale colmo di gente e sold-out dal primissimo pomeriggio. Fu la vittoria della musica e non dell’individualismo, ognuno dei musicisti aveva messo da parte i preconcetti: una soddisfazione immensa.
Passi virtuali: come stai vivendo l’onnipresenza del web nelle nostre vite in questi anni? Visto tra l’altro che questa è una intervista che stiamo facendo per un media online…
Credo ci sia troppa sovraesposizione e tutto questo “bombardamento” ci porta a dimenticare e consumare tutto e subito. Rimasi colpito in modo così profondo da una dichiarazione di Carlo Lucarelli mentre componevo insieme ad altri musicisti la colonna sonora di un film-documentario sulla strage del 2 agosto del 1980 alla stazione centrale di Bologna. Lucarelli ci disse che “negli anni ’70 e ’80 l’opinione della gente era così forte che la si poteva zittire solo con le bombe, creando terrore e spavento. Oggi, invece, basta un telegiornale”. Per questo cerco sempre di raggiungere una mia opinione e non soffermarmi soltanto alla prima testata o giornalista che mi capita di leggere o ascoltare. Siamo nell’era dei tag e degli hashtag e invece dovremmo cercare di filtrare il più possibile, limitare le notizie a ciò che ci interessa e che ci informa veramente. Solo così potremmo arginare questo mare, spesso inutile, di informazioni.
Passi in compagnia: quali sono i dj e producer con cui senti più affinità, e con cui vorresti sempre e comunque condividere parole, progetti, obiettivi?
Mi circondo sempre di persone positive e a favore della buona musica come me; non mi piacciono i “rosiconi” e le “prime donne”. Dodi Palese, Mauro Dimartino, l’intera line-up dello Squat Party e tutti gli artisti che abbiamo pubblicato su What Ever Not Records, sono le persone più vicine in questo momento. Da quasi un anno, inoltre, ho stretto un bel rapporto professionale con uno dei migliori talenti che il nostro paese possa offrire: Okee Ru. Facciamo spesso coppia nei dj set e il nostro back-to-back è un plasma perfetto perché nessuno dei due rincorre il disco più bello da suonare, ma quello più “giusto” affinché la festa sia sempre più piacevole e longeva possibile. Con Denis, insieme a Marco Marazia e Michele Manca (Womb Club di Lecce), abbiamo creato una serata molto particolare a cadenza mensile, l’Adults Only (+25) – Unusual Disco Nite. Rispondiamo alle esigenze del pubblico trentenne, troppo trascurato dal clubbing moderno: si cena e si ascolta ottima musica a base di soul e funk per poi immergersi nella nostra Ballroom di base disco e post-punk. Siamo fieri delle nostre prime edizioni e la cosa che ci dà più soddisfazione è vedere il sorriso stampato su ogni singolo volto, il vero concetto di festa.
Passi incrociati: qual è la situazione, musicale e non, più assurda che ti è capitato di vivere?
Ve ne regalo due. La prima è l’essere stato aggredito da Turbo B, leader degli Snap, una pop-house Band degli anni ’90: non voleva che mi esibissi prima del loro concerto, mi sradicò l’impianto per paura che registrassi il loro live. Alla fine del concerto venne in consolle e mi chiese di poter metter sù un po di dischi giustificandosi che quella scenata faceva parte dello spettacolo. Io lo osservavo da dietro, era enorme e la sua canotta era il collage di altre quattro. Spaventoso! La seconda decisamente più positiva fu, credo, un paio di anni fa. Festeggiavamo il compleanno di un nostro amico svizzero e tra i parenti arrivati per l’occasione da Zurigo, notai una ragazza con le stampelle. Non posso descrivervi cosa ho provato nel vedere gettarle via e mettersi a ballare. Unbelievable!
Passi sbagliati: quali sono le cose che più di danno fastidio nella scena musicale italiana?
Direi di aver risposto già in parte, ma aggiungo un concetto molto chiaro: ricordiamoci sempre che senza il pubblico non siamo nessuno e che chiunque finirà per stancarsi nel sentire polemiche e invidie tra artisti. Lo ripeto, sono per la musica e se incontro qualcuno nel mio ambiente che ritengo bravo, anziché che farmelo nemico, lo avvicino a me a collaborare. È un po’ quello che sta accadendo con Okee Ru: lo tratto alla pari nonostante sia giovanissimo, dono tutta la mia conoscenza perché, ripeto, è un talento e so anche di ottenere giovamento grazie al confronto con lui. Le collaborazioni discografiche e le varie notti con artisti americani ed europei mi hanno fatto udire sempre la stessa cosa: “voi italiani siete i migliori dj del mondo, ma invece che unirvi preferite farvi la guerra”. Ecco, in questo non mi sento affatto italiano.
Passi che stai per compiere: quali sono i tuoi prossimi progetti?
Recentemente è uscito un brano su Batti Batti di Owen Jay, un ragazzo maltese nelle grazie di Jus-Ed. Da poco ho ultimato un remix per la Deependence di Napoli e a breve uscirà uno “split EP” insieme a Marco Erroi aka GoldFinger: l’Africa ci ha uniti, madre di tutti noi ma non voglio anticipare nient’altro. Porterò avanti la mia label e spero di trovare sempre produzioni interessanti da pubblicare. Approfitto per fare un appello a tutti quelli che si volessero proporre: non ci interessa qualcosa di funzionale o dettato dalle mode temporanee, piuttosto qualcosa che vi distingua. Questa è la linea che sempre applico sin da quando ho iniziato a posare la puntina sul giradischi. Non siate vittime delle classifiche perché vi appiattiscono e non vi fanno avere una personalità musicale. La ricerca e la scelta con sentimento rendono grandiosa questa emozione chiamata musica. Metteteci dentro la vostra! Non importa se piacerà a pochi o a molti ma almeno sarete riconoscibili.
Passi sinestetici: salutaci non con delle parole, ma con una traccia, non importa se tua o di altri.