Non è insolito imbattersi in una persona che abbia venduto l’anima al diavolo della musica elettronica dopo una formazione diametralmente opposta. E’ il caso di Fade, all’anagrafe Francesco Bruno, che ha saputo cambiare ecosistema passando dal calore tarantino e dalla scena rock/metal ai ritmi algidi e frenetici di una Milano sempre più europea ed elettronica, facendosi conquistare (nel corso dei suoi studi come Sound Designer) da nuove sonorità che lo hanno portato a una trasformazione, una dissolvenza (da qui il termine che ne ha generato lo pseudonimo) che lo porta oggi ad essere uno dei prospetti più interessanti della scena sperimentale meneghina. La sua musica è cibo per la mente ancora prima che per l’udito, non si limita a passarvi accanto ma vi colpisce a fondo, lasciando un solco nel vostro intimo.
Passo numero uno: qual è il disco o la traccia che ti ha cambiato la vita? La primissima. Quella che ti ha fatto capire che la musica era veramente un’emozione particolare, più intensa di altre.
L’album che ho ascoltato per davvero, e dico ascoltato e non sentito (perché prima dell’adolescenza si è abituati a sentire un po’ quello che capita), è stato “Holy wood” di Marilyn Manson. Non mi piaceva solo l’album in sé dal punto di vista musicale, ma ammiravo la cura per tutta la simbologia, le immagini, i testi e i contenuti all’interno dell’album stesso: mi sembrava davvero un opera completa, era quello che volevo; avevo, ascoltandolo, la reale sensazione di intraprendere una lenta discesa nelle tenebre. E mi meravigliavo di come con la musica si potesse manipolare lo stato d’animo umano in maniera così radicale.
Passo numero due: quando hai capito che la musica, produrla o suonarla, sarebbe stata una parte fondamentale della tua vita?
Quando ho cominciato a sperimentare su me stesso il fatto che produrre musica aveva un effetto antidolorifico e catartico sulla mia personalità. La musica riusciva, anzi riesce!, a curarmi e consolarmi l’anima, in un certo senso ha un effetto purificatore, dandoti la possibilità di “buttar fuori” tutto quello che hai dentro. Dal momento in cui ho capito queste cose, il fare musica è diventato qualcosa della quale non posso fare a meno, quasi una panacea obbligatoria da usare per tutta la vita.
Passo a margine: quali sono stati i momenti di maggior crisi nel tuo rapporto con la musica?
La crisi, la sofferenza in generale almeno personalmente è una condizione necessaria per la produzione musicale, perlomeno la mia. Per rendere più chiaro il concetto ti cito Luigi Tenco: una volta, alla domanda “Perché scrivi sempre canzoni tristi?”, rispose “Perché quando sono felice esco”. A grandi linee il mio principio di ragionamento è il medesimo.
Passi importanti: quali sono stati finora i momenti più importanti, nella tua carriera?
Sicuramente frequentare il corso di musica elettronica sperimentale alle Civiche di Milano, subito dopo il diploma in Sound Design. Quel corso mi ha aperto la mente, dandomi la possibilità di ascoltare composizioni mai udite fino a quel momento. Credo che sia stato un momento importante per la mia “carriera” musicale, anche se credo sia più adatto definirla “crescita artistica”.
Passi per prendere un po’ d’aria e trovare ispirazione ed energia: quali sono le tue altre passioni? Come le sviluppi? Quanto tempo riesci a dedicare loro?
Come lavoro, oltre a fare il sound designer freelance, insegno anche linguaggio cinematografico alle scuole superiori, per cui posso dirti che una delle mie passioni oltre la musica è il cinema. Ultimamente nello specifico son molto focalizzato sui tv show. Riesco ad attingere molta ispirazione da questo mio hobby: essendo il cinema per definizione la “fabbrica dei sogni”, quale fonte d’ispirazione potrebbe essere migliore di questa? Molto spesso mi capita di ascoltare davvero ottime tracce nelle soundtrack dei film o delle serie. In generale, insomma, son una persona che ama l’arte in tutte le sue forme.
P.S.: Se vuoi un consiglio ti suggerisco di vedere una serie che si chiama “Utopia”, sia lo show che la soundtrack sono davvero notevoli.
Passi perduti: quali sono finora i tuoi più grandi rimpianti, musicalmente parlando?
Non ho particolari rimpianti, spero di non averne in futuro (ride, n.d.r.)
Passi che consiglieresti: quali sono secondo te i cinque album (o brani) che consiglieresti e che non dovrebbero mancare nella discografia di tutte le persone a cui vuoi bene o che stimi?
Verdena – Requiem
Marilyn Manson – Antichrist Superstar
Plastikman – Closer
Nathan Fake – Drawing In Sea Of Love
James Blake – Overgrown
Se mi concedi poi il sesto album, aggiungo assolutamente Franco Battiato – Mondi Lontanissimi.
Passi in biblioteca o videoteca: quali libri o film consiglieresti?
Da buon musicista consiglio “Lezione Ventuno”, film girato da Alessandro Baricco, surreale, che racconta della nova sinfonia di Beethoven. Davvero magnifico. Consiglio anche “What The Bleep We Know”, docufiction che mi ha cambiato la vita e che mi è servita a sviluppare i concetti portanti del progetto Fade. infine non posso non citare “Donnie Darko” perché, oltre ad essere un bel film, trovo molte affinità con la personalità un po’ inquieta del protagonista. Come libro invece consiglio “Autobiografia Di Uno Yogi” di Paramansa Yoganandya, “Alice Nel Paese Dei Quanti” di Robert Gilmore, “Riding In The Bullet” di Stephen King ed infine “Oceano Mare” di Alessandro Baricco.
Passi fondamentali: qual è il risultato artistico di cui finora vai più orgoglioso?
Quando ero adolescente, più o meno a 18 anni, alle scuole superiori c’erano le vari olimpiadi: matematica, fisica, insomma, di tutte le materie disciplinari scolastiche. Un anno feci un secondo posto nazionale in una competizione con altre scuole cantando un brano dei Muse all’interno delle olimpiadi della musica. Sembra una cosa da nulla ma per me è stata una super soddisfazione poter arrivare sul podio tra i primi tre: le altre band erano tutte molto valide, fui davvero felicissimo. Parlando del presente invece sono veramente soddisfatto di come si sta evolvendo il progetto Fade, che musicalmente spazia molto nei vari sottogeneri della musica elettronica, ma riesce comunque a mantenere un filo conduttore a livello concettuale.
Passi virtuali: come stai vivendo l’onnipresenza del web nelle nostre vite in questi anni? Visto tra l’altro che questa è una intervista che stiamo facendo per un media on line…
Meno male che c’è il web. Certo, come ogni cosa anche la Rete può essere la solita arma a doppio taglio: dal web emerge con facilià tanta bella musica, ma dal web emerge con altrettanta facilità anche tantissima musica pessima. Il web è un mezzo con tutti ha i suoi pro e i suoi contro, alla fine però sta sempre a noi, agli utenti, agli ascoltatori, scegliere cosa ascoltare. Anzi, dal punto di vista dell’ascoltatore la “variante web” ha complicato tutto: essendoci una quantità di musica veramente immensa sul web, viene messa alla prova la nostra capacità di discernimento tra la buona musica e la cattiva musica.
Passi in compagnia: quali sono i dj e producer con cui senti più affinità e con cui vorresti sempre e comunque condividere parole, progetti, obiettivi?
Come affinità direi che il mio suono è abbastanza identificabile: Sohn, James Blake, XXYYXX e Caribou sono sicuramente importanti fonti d’ispirazione sia in studio che live, ma come background direi anche tanta tanta musica classica. Per quanto riguarda il condividere progetti ed obiettivi, mi piacerebbe un giorno collaborare con gli 88Bros: sono amici, producono davvero un sound molto internazionale e cool, chissà che non possa venire fuori qualcosa… Per il resto credo molto nelle collaborazioni, credo servano ad ampliare continuamente i propri orizzonti e a mettersi in relazione con diversi approcci di produzione, composizione, pensiero. Credo che collaborare sia anche un mettere in discussione se stessi, mettere da parte se stessi e ascoltare l’altro. Questa operazione, che pare facile, in realtà credo che artisticamente faccia crescere molto di più rispetto allo stare ore e ore a fare tracce sul mac da soli. Avviene uno scambio umano: non più solo il producer e il suo pc (o il musicista e il suo strumento), ma un vero e proprio processo d’interazione. Collaborare ha sempre portato buone cose.
Passi incrociati: qual è la situazione, musicale e non, più assurda che ti è capitato di vivere?
Una volta dovevo fare un live in un piccola cittadina. Avevo appena finito di montare la strumentazione appena prima del live (synth, mac, microfoni, chitarre ecc.) quando ad un tratto si avvicina un ragazzino, 10 anni più o meno, un po’ paffutello, che in maniera molto seria mi chiede: ”Ma tu sei quello che fa il karaoke?”. Boom. Quando si dice “un pubblico difficile”.
Passi sbagliati: quali sono le cose che più di danno fastidio nella scena musicale italiana?
La mancanza di un mercato indipendente serio. Le poche etichette presenti sono davvero da ammirare perché sono davvero spinte dalla passione: non si intascano nulla, ma solo tanto lavoro e fatica. Riuscire a tenere duro stando qui in Italia, cercare di creare qualcosa in questo paese non è facile e chi si impegna nel farlo merita grande rispetto.
Passi che stai per compiere: quali sono i tuoi prossimi progetti?
Sicuramente ho in uscita due EP: uno per la milanese Beat Machine Records, l’altro su Putsch Records. Sto lavorando, più che su delle tracce in particolare, sull’approccio di composizione delle tracce. È una cosa un po’ complessa, ma diciamo che quello che sto cercando di fare è creare della musica che non segua uno schema, una musica che a livello di composizione segua un comportamento simile a quello del pensiero. Mi spiego: il pensiero non va mai da A a B, prima di arrivare a B magari fa mille altre connessioni quasi casuali e involontarie. Ecco, quello che voglio fare è portare questo tipo di approccio nella composizione musicale: l’ho davvero spiegato in pochissime parole, ma il discorso è molto più complesso. Magari più in la ne riparliamo (sorride, n.d.r.)
Passi sinestetici: salutaci non con delle parole, ma con una traccia, non importa se tua o di altri.
Quando questo mondo sembra non abbastanza… “The Sky Was Pink” – Nathan Fake.