“Nessuno parla mai di quanto sia difficile tenere in vita un progetto musicale, di quanta forza, energia e voglia serva per tenerlo in piedi e di quanti sacrifici, almeno per quel che mi riguarda, servano per fare le cose in un determinato modo.” Basterebbe questa frase per spiegare la diversità di pensiero (per non dire “profondità”) di K-Conjog, all’anagrafe Fabrizio Somma, già transitato sulle nostre pagine non più di tre mesi fa con il video di “Same Old Grace” girato da Francesco Lettieri – già noto per i lavori per i vari Liberato e Calcutta. Quello di K-Conjog è pop elettronico di pregevole fattura, naturale conseguenza di una ricerca continua e costante di quella “consapevolezza” che deve fare da guida al suo percorso artistico.
Così, dopo aver pubblicato “Magic Spooky Ears”, il disco/momento più importante della sua carriera, eccolo sulle nostre pagine con questa intervista, appena prima di iniziare il suo tuor. È lui il Giant Steps di questa settimana, buona lettura!
Passo numero uno: qual è il disco o la traccia che ti ha cambiato la vita? La primissima. Quella che ti ha fatto capire che la musica era veramente un’emozione particolare, più intensa di altre.
Non ho un ricordo specifico di una traccia in particolare ma della sensazione di una serie di musiche in infanzia, sì. Ricordo che sigle di cartoni animati, colonne sonore di film e musiche di videogames generazione 8-16 bit avevano una particolare influenza su di me, ma non avevo ancora gli strumenti per focalizzare quale fosse la fonte del mio interesse per cui riconducevo sempre il tutto al media televisivo o allo schermo.
Ero solito finire ripetutamente “Super Mario Land 2” per Game Boy solo per ascoltare la traccia finale dei titoli di coda scoprendo anche per la prima volta la differenza che può fare un ascolto in cuffia, analizzando le sfumature di un arrangiamento o, più nel particolare, facendo attenzione a tutte quelle piccole frasi che rendono solida la struttura di un brano accompagnando il tema centrale ed irriproducibili dalla piccola cassa della console portatile.
Dopo qualche anno avrei cominciato a comprare i primi dischi. I primi in assoluto furono “Very” dei Pet Shop Boys e “God Shuffled His Feet” dei Crash Test Dummies. Ancora oggi di ascoltare “MMM MMM MMM MMM” non mi stanco mai.
Passo numero due: quando hai capito che la musica, produrla o suonarla, sarebbe stata una parte fondamentale della tua vita?
Il secondo anno di liceo. A scuola ero una frana, studiavo poco e male ed avevo sempre la testa tra le nuvole senza contare che tra me ed i miei compagni di classe sentivo una distanza chilometrica che quei pochi interessi in comune non accorciavano. A quei tempi stavo inconsapevolmente formando la base su cui si sarebbe poggiata la mia formazione da ascoltatore e decisi di cominciare a suonare la batteria oltre al pianoforte che già suonicchiavo da un po’. Come batterista ero fin troppo precoce per la mia età e questo mi diede la possibilità di entrare in contatto con “i più grandi”, suonandoci insieme, e con persone che tra dischi, libri e film viaggiavano sulle mie stesse frequenze.
Dopo mesi buttati tra i banchi di scuola a sentirsi costantemente fuori contesto, la musica mi diede un posto in cui stare. Suonare mi veniva naturale, senza troppo sforzo, ed era la cosa che mi piaceva più fare. Fu così che capii che quello sarebbe stato il mio mondo e che non l’avrei mai abbandonato.
Passo a margine: quali sono stati i momenti di maggior crisi, nel tuo rapporto con la musica?
Decisamente i due anni precedenti alla stesura di “Magic Spooky Ears”. Avevo perso la voglia, completamente. Sono stato fermo un bel po’ di anni prima di ritrovare la spinta giusta ed ho preferito osservare a margine invece che stufare con produzioni non ispirate o stantie. In quegli anni sentivo che un percorso si era chiuso, solo dopo avrei capito che quel percorso era inerente al suono ed al mio personale modo di intendere la composizione. Nessuno parla mai di quanto sia difficile tenere in vita un progetto musicale, di quanta forza, energia e voglia serva per tenerlo in piedi e di quanti sacrifici, almeno per quel che mi riguarda, servano per fare le cose in un determinato modo. Ma è un discorso enorme: concludo dicendo che mi era passata la voglia.
Passi importanti: quali sono stati finora i momenti più importanti, nella tua carriera?
Ho avuto un percorso molto intenso e ricco di collaborazioni, ho scoperto strade che non avrei mai pensato di percorrere e sono fiero del mio cammino, nonostante le disavventure, che sono tante. Ho collaborato con artisti che amo e con molti di questi siamo anche diventati amici. Ma a questa domanda, pensando anche alla precedente, non posso far altro che rispondere che il momento più importante della mia carriera è stato proprio realizzare “Magic Spooky Ears” in un momento in cui tutto, per me, sembrava appassirsi. Ho cambiato metodo, approccio e suono e ad una domanda del genere spero sempre di rispondere così: il momento più importante della mia carriera è l’ultimo disco che ho scritto.
Passi per prendere un po’ d’aria e trovare ispirazione ed energia: quali sono le tue altre passioni? Come le sviluppi? Quanto tempo riesci a dedicare loro?
Ovviamente la musica è in primissima posizione, ma penso sia doveroso specificarlo. Fruire dei dischi come semplice ascoltatore mi dà la possibilità ridimensionare notevolmente tutti i pensieri o le logiche derivanti dall’avere un progetto personale. Almeno nella musica mi piace pensare che sia la “pancia” a fare da padrona e che la testa sia solo quel mezzo che possa aiutare a veicolare al meglio un messaggio. Per quel che riguarda il resto, amo leggere e scrivere ed è una cosa che faccio da sempre. Sono pochi i periodi della mia vita in cui i libri non mi abbiano fatto compagnia. Contrariamente a quando ero bambino preferisco un buon libro ad un buon film, anche se questi ultimi rappresentano una buona fetta delle mie rimanenti passioni. Da qualche tempo mi sono anche riavvicinato al mondo dei videogames che avevo accantonato da un po’.
Passi perduti: quali sono finora i tuoi più grandi rimpianti, musicalmente parlando?
Di aver sviluppato solo adesso la consapevolezza che l’arte della produzione musicale è un esercizio costante e che non la si può esercitare assecondando solo l’ispirazione. Oggi, quando posso, inizio e concludo le mie giornate producendo musica, e sono convinto che se fossi arrivato prima a questa conclusione forse sarei molto più avanti di dove sono ora. Comunque, meglio tardi che mai.
Passi che consiglieresti: quali sono secondo te i cinque album (o brani) che consiglieresti e che non dovrebbero mancare nella discografia di tutte le persone a cui vuoi bene o che stimi?
The Books “The Lemon of Pink”
Aphex Twin “Windowlicker”
King Crimson “In The Court Of The Crimson King”
Joanna Newsom “Ys”
Jim O’Rourke “Eureka”
Boards Of Canada “Music Has Right To Children”
Passi in biblioteca o videoteca: quali libri o film consiglieresti?
Ultimamente sto leggendo “Vendi Napoli e poi muori” di Gennaro Ascione. Un libro che per linguaggio e modernità, pur non avendolo ancora finito, mi sento di consigliare.
Passi fondamentali: qual è il risultato artistico di cui finora vai più orgoglioso?
Essere riuscito a superare la timidezza e a cantare. Ho sempre sentito la mia voce come poco convincente, naturalmente sento di dover fare ancora tanta strada, ma è bello sapere di avere anche altre possibilità oltre lo strumentale in fase di scrittura. Scrivere con questa arma in più è diventato ancora più stimolante.
Passi virtuali: come stai vivendo l’onnipresenza del web nelle nostre vite in questi anni? Visto tra l’altro che questa è un’intervista che stiamo facendo per un media online…
Bene, ma non benissimo. Sono un grande sostenitore della tecnologia in generale ed ho sempre visto nei social o nel web una possibilità in più. Ma, ormai cosa banale anche solo a dirsi, il problema non è il mezzo ma come lo si utilizza o chi lo utilizza. Ho cominciato a fare musica in un periodo in cui i numeri, le visualizzazioni, avevano un’importanza relativa, quello che contava davvero era il feedback. Ora il feedback è un numero sulla destra di un video YouTube o Facebook e sono più che convinto che la larghezza del numero in questione generi nel fruitore medio, o anche negli addetti ai lavori, un giudizio di qualità.
Poche visualizzazioni quasi non giustificano il perdere anche trenta secondi della propria attenzione, come se un numero fosse diventato una mini-recensione che ci porta a decidere in anticipo se mettere in play oppure no un brano o un video. Ed ormai è un atteggiamento non espandibile solo alle nuove generazioni. In parte mi sento di capire o giustificare anche un andazzo del genere, da quando ci sono le indicizzazioni per interesse siamo invasi di contenuti di varia natura che “potrebbero interessarci” che partono in automatico, per cui risulta sempre più difficile dedicarci a cose che richiedono uno sforzo anche minimo di fruizione.
Ed il più delle volte ci ritroviamo ad aver fissato uno schermo per ore guardando spazzatura quando avremmo potuto utilizzare quel tempo scoprendo ben altro. Quello dei social è un mondo che non ammette sconfitti, che mette in risalto solo un aspetto della vita, o di una professione, ed è fin troppo facile farsi abbagliare da questo modo di vedere le cose a metà.
Se perdi o scompari o odi. La dimostrazione è la quantità di “hating” presente praticamente dappertutto. La cosa che più temo è che questa schiavitù da riflettore possa scoraggiare qualsiasi sottobosco musicale, letterario o artistico che sia. Ma non sono di quelli che “si stava meglio prima”, tutt’altro. Trovo sempre del buono in quello che c’è oggi e sarebbe stupido negare che il web offre a tutti noi delle possibilità pazzesche.
Passi in compagnia: quali sono i dj e producer con cui senti più affinità, e con cui vorresti sempre e comunque condividere parole, progetti, obiettivi?
Mi reputo fortunato perché ho la possibilità di avere un contatto diretto con i producer che attualmente stimo di più. Qui a Napoli non posso non citare Alfredo Maddaluno e Liz Martin.
Passi incrociati: qual è la situazione, musicale e non, più assurda che ti è capitato di vivere?
Potrei raccontarne a bizzeffe, ma la cosa più assurda che possa capitare ad un musicista oggi è ancora quella di essere visto come un perdigiorno.
Passi sbagliati: quali sono le cose che più ti danno fastidio nella scena musicale italiana?
Molti dei problemi che affliggono la musica italiana in parte sono quelli che affliggono la musica internazionale, soprattutto a livello contenutistico, ma a modo nostro. Siamo e resteremo sempre la periferia dell’impero. La musica italiana ha un suo codice specifico, una versione italiana di qualsiasi cosa, e se ti ci allontani sei fuori.
Passi che stai per compiere: quali sono i tuoi prossimi progetti?
Continuare incessantemente a produrre.
Passi sinestetici: salutaci non con delle parole, ma con una traccia, non importa se tua o di altri.