Poliglotta musicalmente e non, bellunese di nascita, trapiantato a Monaco di Baviera e da poco a Milano. LUCIOS è un producer eclettico che sa inventarsi e reinventarsi. La sua musica, nel recente progetto solista, colpisce per l’approccio sincero e spontaneo – e forse non è un caso che venga prodotta sulle Dolomiti. Oggi abbiamo scelto di presentarvelo: è lui il Giant Steps di questa settimana.
Ascolta “LUCIOS for Giant Step” su Spreaker.
Passo numero uno: qual è il disco o la traccia che ti ha cambiato la vita? La primissima. Quella che ti ha fatto capire che la musica era veramente un’emozione particolare, più intensa di altre.
Mi ricordo quando ho sentito per la prima volta “When The Sun Goes Down” degli Arctic Monkeys. Era il 2007, avevo quindici o sedici anni. Fino ad allora ero stato un metallaro convinto: una decina di magliette degli Iron Maiden nel cassetto, capello lungo e brufoli. Ascoltavo un po’ di punk adolescenziale quasi vergognandomene, passando i pomeriggi a fare i compiti con gli Offspring e i Sum 41 a palla. Mi prenderete per una sorta di hipster, e forse è quello che sono alla fine, ma con gli Arctic Monkeys mi si è aperto un mondo. Stavo passeggiando vicino alla stazione della mia città e mi arriva questa canzone nelle cuffiette, grazie allo shuffle e a chissà quale amico o amica che me l’aveva passata: un mix di chitarre pulite, accordi diversi dai soliti quattro standard-yankee, e questo groove sincero, ancora giovane ma già maturo — mi sono perso. Mi ricordo la faccia di Alex Turner, anche lui brufoloso: mi impersonavo in quei brufoli; e poi il primo bassista cicciotto, le chitarre ascellari. Forse quel pezzo e quell’album mi hanno fatto capire che uno poteva spaccare anche senza stare ai margini della società, che parlare degli affari propri nei testi era fattibile e che non dovevi essere per forza perfetto per far musica. Mi capita di ascoltarlo ancora, ogni tanto.
Passo numero due: quando hai capito che la musica, produrla o suonarla, sarebbe stata una parte fondamentale della tua vita?
Credo durante i primi concerti con i Siadefse, la band electro-punk che avevo insieme ad alcuni amici al liceo. Lì ho capito che il palco era il mio posto, forse perché una volta che ci sali il tempo smette di esistere: devi spaccare, piacere alla gente, per forza. Nella vita di tutti i giorni ti dicono “non badare alle apparenze” e poi, invece, tutti ci badano. È una presa in giro! Sul palco almeno è chiaro: tu sei ciò che fai per quell’ora di show. Se spacchi, una volta sceso puoi permetterti il peggio, sarai sempre una rockstar. Se invece fai schifo sei spronato a migliorarti. Suonare live mi manca da morire…
Passo a margine: quali sono stati i momenti di maggiore crisi, nel tuo rapporto con la musica?
Ho cominciato a suonare la chitarra alle medie, indirizzo musicale. All’iscrizione si potevano esprimere due scelte, e la mia prima era percussioni. Non hanno fatto la classe di percussioni perché non c’era abbastanza gente che la chiedeva, così mi hanno appioppato la chitarra, classica. Tutti i miei amici venivano da famiglie di musicisti, erano tutti dei pro dello strumento e io ero una sega. Un pomeriggio non ce l’ho più fatta e ho iniziato a piangere a dirotto — che uomo di merda! — frignando che volevo cambiare classe, eccetera eccetera. Per fortuna mio padre — credo fosse lui, anche se della mia chitarra non gliene è mai fregato nulla — mi ha spronato a continuare. Ora non so come farei senza la musica.
Passi importanti: quali sono stati finora i momenti più importanti, nella tua carriera?
Davvero, non so rispondere. Ogni volta che c’è un feedback positivo, credo. Sono i feedback negativi che ti fanno crescere, e sono quelli i più importanti, ma è anche vero che ti spiazzano — i feedback positivi invece ti mostrano che stai andando nella direzione giusta. E visto che io le direzioni le prenderei tutte, senza lasciarne nessuna per paura di sbagliare, spesso i feedback positivi mi vanno meglio.
Passi per prendere un po’ d’aria e trovare ispirazione ed energia: quali sono le tue altre passioni? Come le sviluppi? Quanto tempo riesci a dedicare loro?
I momenti in cui sono più ispirato sono quando vado a correre, o a camminare in montagna, sulle mie montagne a Belluno, specialmente quando sono da solo. Sono capace di comporre interi pezzi nella mia testa — e sia ringraziato Edison che inventò il il registratore, se no me li dimenticherei — per poi provare a buttarli giù al PC. Un’altra, fondamentale, fonte d’ispirazione è l’agricoltura. Lavorare in giardino, zappare, potare: è come fare un pieno di idee, di input di vita vera che poi vengono canalizzati nella musica fatta davanti a uno schermo. Non avessi queste cose impazzirei, credo. E infatti ora che vivo in città mi mancano questi equilibri. Anche i non luoghi tipo treni, aerei, aeroporti: ci produco alla grande.
Passi perduti: quali sono finora i tuoi più grandi rimpianti, musicalmente parlando?
Di non aver continuato con i Siadefse. Eravamo giovani, eravamo gasati. È vero, guardare indietro non fa mai bene perché il passato è passato e “life is now”, ma spaccavamo ed eravamo pronti a tutto. Però forse se non abbiamo continuato un motivo c’è stato.
Passi che consiglieresti: quali sono secondo te i cinque album (o brani) che consiglieresti e che non dovrebbero mancare nella discografia di tutte le persone a cui vuoi bene o che stimi?
Do Make Say Think “You, You’re A History In Rust”
Bob Marley and The Wailers “African Herbsman”. Bob Marley senza rasta, prima che andasse a Londra, disco forse di transizione dallo ska al raggae…albummone!
DJ Rashad “Double Cup”. Primo e ultimo disco, poi è morto, tre anni fa. Rashad ha inventato qualcosa di importante.
Walter Ferguson “Babylon”. Scoperto per caso, Walter Ferguson è il re del Calypso del Costa Rica; poeta centenario.
Renegades “Rage Against The Machine”. Di questo vi devo ringraziare, me l’ero dimenticato. Ma il loro concerto a Modena nel 2008 è ancora il top gig della mia vita. Mi hanno insegnato a sfogarmi nel groove.
Passi in biblioteca o videoteca: quali libri o film consiglieresti?
Uno dei libri che mi ha più colpito negli ultimi tempi è “Escapade en Enfer” di Gheddafi — sì proprio lui: è una raccolta di racconti brevi, purtroppo tradotta solo in francese, ma spacca tutto: bellissime riflessioni sul rapporto città-campagna, centro-periferia, e più in generale sul rapporto uomo-ambiente. Consigliatissimo. Ma forse il libro che mi ha più segnato negli ultimi anni è il “Rizoma” di Deleuze e Guattari.
Sto perdendo un po’ l’abitudine a guardare film… per lavoro e per far musica sono sempre davanti agli schermi, preferisco staccarmici quando posso.
Passi fondamentali: qual è il risultato artistico di cui finora vai più orgoglioso?
Qualche giorno fa ho pubblicato dei pezzi su Soundcloud, lavori vecchi dei quali non ero mai convinto, che avevo abbandonato a metà perché mi parevano sempre imperfetti. Ecco, uscendo da una situazione personale un po’ schifosa, ho avuto questo input di sano menefreghismo artistico — ho pensato: li pubblico, chissenefrega se non sono finiti — e vi dico, ho preso questi pezzi di anni fa, ho fatto esporta, li ho messi su Soundcloud senza neanche masterizzarli… e ho avuto dei gran feedback! Tutti a scrivermi “bravo, continua così!” — ed erano pezzi che manco volevo pubblicare. Questa cosa mi ha insegnato che quando si tratta di arte uno deve sempre fidarsi di se stesso, perché non c’è mai un giusto o uno sbagliato con l’arte, ma solo quello che ti prende bene, e se prende bene a te e sei sincero verso il mondo, allora tutto fila liscio. Non solo nella musica ma anche nella vita in generale, credo.
Passi virtuali: come stai vivendo l’onnipresenza del web nelle nostre vite in questi anni? Visto tra l’altro che questa è un’intervista che stiamo facendo per un media online…
In questo preciso momento proprio male. Per lavoro sono per gran parte della mia giornata su metro, treno e bus, e anche se non vorrei alla fine sono sempre sui social a cazzeggiare. Quando riesco leggo, ma non accade spesso: un romanzo continuamente spezzato dalla frenesia della città non è come un romanzo letto la sera senza che nessuno ti disturbi. I social sono fighi, non fraintendiamoci: Instagram mi ha spinto a riprendere la mia passione per la fotografia, Facebook e Twitter ti permettono di scegliere le news che più ti interessano, creandoti il tuo canale personale eccetera, ma sono una droga come tante altre. Ti danno una distrazione solo apparente. Un aspetto del web in particolare mi fa paura: l’accorciamento delle distanze. Credo che il web, come ad esempio i mezzi di trasporto, come la moneta, uccidano non il sociale ma il locale, a favore di un “globale” che non si capisce bene cosa sia. Credo ci sia qualcosa di intrinsecamente sbagliato in tutto ciò, come se saltassimo degli step che in realtà sono necessari per vivere bene: se sali la montagna in macchina, arrivato in cima non te ne frega niente. Se vai a piedi te la guadagni. Il web è come l’automobile, rende tutto più facile (è una figata poter comunicare con gli amici semplicemente mandandosi delle foto, eh) ma diminuisce il valore delle cose. E se pubblichi un pezzo su Facebook te ne rendi conto, non è come invitare un amico a casa e farglielo sentire, oppure suonarlo live.
Passi in compagnia: quali sono i dj e producer con cui senti più affinità, e con cui vorresti sempre e comunque condividere parole, progetti, obiettivi?
Faccio hip-hop con i miei bros Ste e Brolov, sotto il nome BRL 62. Con loro c’è un feeling mortale e vorrei lavorarci bene in futuro (possibilmente prossimo!).
Passi incrociati: qual è la situazione, musicale e non, più assurda che ti sia capitato di vivere?
Quest’inverno ho conosciuto un mio omonimo brasiliano cresciuto in una cittadina di emigrati veneti. Bestemmiano precisi a noi, con lo stesso accento. Pazzesco.
Passi sbagliati: quali sono le cose che più ti danno fastidio nella scena musicale italiana?
Che il gusto musicale degli Italiani venga formato da una manciata di producer milanesi e romani senz’anima. Ma – non so se sono io che invecchio – mi sembra che negli ultimi anni qualcosa di interessante si stia muovendo, musicalmente parlando, in Italia.
Passi che stai per compiere: quali sono i tuoi prossimi progetti?
Se c’è una cosa che ho capito negli ultimi tempi è che ho davvero soddisfazione quando riesco a far ballare, a far muovere la gente. Produrre mi piace, ma mettere su i dischi ti regala una relazione col pubblico particolare. Vorrei trovarmi un’etichetta e girare un po’. Non sto facendo molte serate ora. Poi, invece, abbiamo in preparazione una bella storia con l’Arcadia Fam. E c’ho dei pezzi di techno italiana in saccoccia che non ti dico…
Passi sinestetici: salutaci non con delle parole, ma con una traccia, non importa se tua o di altri.
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