Michele Mininni l’ho voluto sentir parlare per voce: primo per l’effetto sinestetico che l’accento salentino mi provoca, secondo perché ho avuto l’opportunità di comprendere quanta sincerità avrebbe riversato in questo capitolo di Giant Steps, e, ogni risposta che ci ha dato, è frutto di un intelligibile percorso di chiarezza su chi è, sulla sua musica, sulla sua visione delle cose. Nasce come dj e continua ad esserlo, ci tiene a ribadirlo, ma recentemente, prima con l’uscita su Optimo e poi su Curle, ha appuntato anche la voce produttore al suo CV, con un’idea ben precisa di come e perché la sua musica debba suonare così e sembra che molti, in Europa, l’abbiano intesa.
Passo numero uno: qual è il disco o la traccia che ti ha cambiato la vita? La primissima. Quella che ti ha fatto capire che la musica era veramente un’emozione particolare, più intensa di altre.
Partiamo subito con una banalità: “Paranoid Android” dei Radiohead. Fu una mia compagna di liceo ad insistere affinchè ascoltassi Ok Computer. In realtà la mia riluttanza era dovuta al fatto che lei avesse il poster di Piero Pelù in camera ed andasse bene a scuola, quindi mi sembrava impossibile potesse ascoltare buona musica. Fortunatamente ad incuriosirmi fu la copertina. Tornato a casa, non appena premetti play, capii che qualcosa sarebbe cambiato. Prima di tutto le 20.000 lire che avevo in meno nel pomeriggio, quando corsi a comprarne una copia.
Passo numero due: quando hai capito che la musica, produrla o suonarla, sarebbe stata una parte fondamentale della tua vita?
Ho capito che sarebbe stata una parte importante ascoltarla, non produrla o suonarla. L’amore viene prima di tutto dall’ascolto, dalla connessione di quello che percepisce il tuo orecchio col tuo mondo interiore. Prima di fare bisogna ascoltare: imparare ad ascoltare. Oggi siamo così bombardati da infiniti stimoli che abbiamo perso l’educazione all’ascolto. Un esempio su tutti: quanto sia importante ascoltare musica in silenzio.
Passo a margine: quali sono stati i momenti di maggior crisi, nel tuo rapporto con la musica?
E’ una domanda molto dolorosa, e forse troppo intima per poter meritare una risposta sincera. Diciamo che aver iniziato a creare musica, in quest’ultimo anno, ha aumentato i miei problemi. Il più grosso di tutti è stato lo scontro fra le mie abitudini di ascolto ed il mondo del music business, che ovviamente non avevo mai vissuto “dall’interno”. Sono sempre stato abituato a fregarmene di tutto: quando per anni ho scelto la musica da passare nei miei dj set l’unica regola era rappresentata dall’orecchio. Non mi importava (e non mi importa) delle label, delle chart, del nome, del genere, dell’anno di uscita, non mi importava di nulla. Non lo dico per farmi figo, lo dico semplicemente perché tutte queste cose non mi avrebbero dato il tempo di cercare senza regole. Non potevo badare anche a queste cose: avrebbero portato via del tempo. Invece la mia più grande ambizione era quella di poter ascoltare più musica possibile: non avrei potuto perdonarmi di essermi perso anche un solo pezzo bello. Tutto ciò è delirante, lo so. Il music business si scontra con questa concezione: ha tanti paletti, regole e dinamiche di marketing, semplicemente perché vende prodotti. Mi sono accorto che ero un’eccezione. Ad ogni modo, credo bisogni vivere il rapporto con la musica in modo sufficientemente fatalista: non è un settore in cui ci sia una meritocrazia più o meno lineare, come può esserlo l’ingegneria informatica. Ci sono tanti fattori, ed il primo fra tutti è l’ispirazione, con la quale l’ingegnere difficilmente si trova a fare i conti. Sono sempre abbastanza scettico quando nelle chiacchierate con qualche artista straniero sento ripetermi la frase “work hard”. Cosa vuol dire work hard? Certo, puoi imparare ad usare alla perfezione i software, studiare musica, studiare il suono, ma alla base ci sono sempre le idee.
Passi importanti: quali sono stati finora i momenti più importanti, nella tua carriera?
Vabbè io non ho una carriera, ho un percorso. E da questo punto di vista tutto il suo sviluppo è stato importante: dall’avvento di internet, che mi ha permesso di scoprire il mondo, ai consigli di persone molto più esperte di me, dai tanti fallimenti alle piccole soddisfazioni, come il poter parlare via mail con artisti che seguo da anni.
Passi per prendere un po’ d’aria e trovare ispirazione ed energia: quali sono le tue altre passioni? Come le sviluppi? Quanto tempo riesci a dedicare loro?
Fondamentalmente sono pigro. Diciamo che ultimamente il tempo speso meglio è quello che impiego per cercare di capire qual è il mio posto sul pianeta. Poi oh, fra una riflessione e l’altra si trova sempre il tempo per il fantacalcio o per una cena fra amici.
Passi perduti: quali sono finora i tuoi più grandi rimpianti, musicalmente parlando?
Da questo punto di vista sono un rimpianto su due gambe. Diciamo non essere nato in un altro posto, questo si. Vedi, questa è una cosa che riguarda tutti. “La vita, amico, è l’arte dell’incontro” disse Sergio Endrigo in un suo album. Ora, uno che vive a Vibo Valentia, a livello lavorativo forse è un po’ svantaggiato in questa arte rispetto ad uno che vive a New York. Certo, io sono l’esempio di uno che è riuscito a pubblicare in Europa semplicemente mandando mail, ma alla fine nessun mezzo virtuale potrà mai sostituire la presenza fisica in un posto. Siamo uomini, non file. Assorbiamo esperienze, incontriamo gente, scambiamo idee, facciamo amicizia, ci stiamo simpatici o antipatici.
Passi che consiglieresti: quali sono secondo te i cinque album (o brani) che consiglieresti e che non dovrebbero mancare nella discografia di tutte le persone a cui vuoi bene o che stimi?
Robert Wyatt – Rock Bottom
Supreme Dicks – The Emotional Plague
The Residents – Not Available
Brian Eno – Another Green World
Yume Bitsu – Yume Bitsu
Passi in biblioteca o videoteca: quali libri o film consiglieresti?
David Byrne – How Music Works
David Lynch – Eraserhead
Passi fondamentali: qual è il risultato artistico di cui finora vai più orgoglioso?
L’essere riuscito in un tempo relativamente breve a riportare la concezione dei miei dj set nella musica che faccio. Il problema è che non so quanto questo sia un vantaggio!
Passi virtuali: come stai vivendo l’onnipresenza del web nelle nostre vite in questi anni? Visto tra l’altro che questa è una intervista che stiamo facendo per un media on line…
Internet è un mezzo meraviglioso. Permette a tutti di scoprire il mondo, anche se nasci in un posto poco fortunato. Il problema è l’uso che se ne fa. Come dicevo prima, la sovrabbondanza di contenuti ha portato un’indigestione mediatica il cui risultato è il nulla: già, perché poter avere tutto è come non poter avere nulla. Se puoi ascoltare in streaming tutto quello che vuoi, sarai portato ad ascoltare tutto superficialmente. E’ la natura umana. Il tuo cervello ti dirà “Ehy, guarda che ci sono altri 5 milioni di brani che ti aspettano. Cosa perdi tempo ancora qui?” Gran parte della mia cultura musicale la devo ad internet: io non ho avuto la fortuna di avere dei genitori che ascoltavano i Pink Floyd, come si dice nelle interviste fighe. I miei ascoltavano Julio Iglesias, Nino D’Angelo, Celentano, ed il mio gruppo di amici al massimo si spingeva agli U2 (che non ho mai sopportato). Questo è l’humus in cui sono cresciuto. Internet mi permise di scoprire cos’era il mondo. La mia fortuna fu l’approccio: oltre ad essere tempi diversi, in cui cioè i contenuti erano comunque molto meno abbondanti e disponibili, il mio approccio fu simile al lettore di libri. Iniziai ad appuntare le scene musicali, gli anni, gli autori: ogni nome rimandava ad un altro. Così la mia ragnatela di conoscenze aumentò di giorno in giorno. Avevo un quaderno dove appuntavo tutto. Se ripenso a quante ore ho trascorso così, sinceramente, al di là di tutti ‘sti discorsi, penso: potevo andarmene al mare!
Passi in compagnia: quali sono i dj e producer con cui senti più affinità, e con cui vorresti sempre e comunque condividere parole, progetti, obiettivi?
Sempre e comunque già non mi piace: lo trovo condizionante. Diciamo che in questo momento della mia vita mi piacerebbe provare una collaborazione. Sono un tipo abbastanza solitario, e una parte della mia ispirazione la devo al silenzio: la musica per me deve rompere il silenzio, e solo nel momento in cui lo fa in modo armonioso, solo in quel momento si ricrea una magia particolare, che quando vivi in solitudine è irripetibile. Non avrei un nome, perché spesso le persone ti sorprendono. Diciamo tutti quelli che hanno una concezione senza barriere dalla musica. E’ molto bello scoprire di essere ignoranti e ricredersi.
Passi incrociati: qual è la situazione, musicale e non, più assurda che ti è capitato di vivere?
Ce ne sono tante, troppe. Direi semplicemente che nulla è più assurdo di situazioni in cui la musica non ha alcun senso.
Passi sbagliati: quali sono le cose che più ti danno fastidio nella scena musicale italiana?
Beh ne sono ancora abbastanza fuori, quindi conosco poco le cose dall’interno. In generale, osservando le cose dall’esterno, trovo che a volte ci sia un po’ troppa autoreferenzialità. Ah, e poi si vestono tutti troppo bene! Mi piacerebbe portare un po’ delle mie tute in giro.
Passi che stai per compiere: quali sono i tuoi prossimi progetti?
Trovare lavoro alle poste con un contratto a tempo indeterminato, tornare a casa stanco ed apatico, crollare sul letto e sognare di fare un live con strumentisti veri. Svegliarmi la mattina e trovare la lettera di licenziamento nella buca.
Passi sinestetici: salutaci non con delle parole, ma con una traccia, non importa se tua o di altri.