“Quando ero piccolo sono cresciuto ascoltando i dischi di mio fratello: Underground Resistance, Boards Of Canada, i vecchi R&S e un po’ di Kraftwerk”; oppure “il colpo di fulmine è scattato dopo aver ascoltato Jeff Mills e Aphex Twin”. Quante volte vi è capitato di leggere queste parole, quando a un artista veniva chiesto in che modo si fosse avvicinato alla musica? Troppe, talmente tante da sembrare una presa in giro. La verità è che è estremamente difficile che qualcuno ammetta di aver acquistato un CD di Gigi D’Agostino, di aver attraversato la “fase Deejay Time” o di aver trascorso i propri sabati sera adolescenziali in locali di dubbio gusto (musicale); così com’è difficile credere che esita davvero tanta gente che a tredici anni abbia preferito “Tour De France” a “L’Amour Toujours”.
Ecco, Micol Danieli fa eccezione in questo, ammettendo candidamente di aver frequentato la scena “pariolina” di Roma, la sua città natale, prima di venire investita dalla UK techno e dai suoi artisti di maggior lustro. La verità è che barare sul proprio passato non aumenta la qualità dei propri dischi e lo spessore della propria figura, così come il vivere di rimpianti non aiuta una crescita “sana”. Già i rimpianti, Micol sembra averne maturato un’idea chiara, ma questo potrete leggerlo nei suoi quindici passi.
Passo numero uno: qual è il disco o la traccia che ti ha cambiato la vita? La primissima. Quella che ti ha fatto capire che la musica era veramente un’emozione particolare, più intensa di altre.
Non c’è una traccia particolare che mi ha cambiato la vita. Non credo, onestamente, che una singola traccia, almeno che non si stia parlando di produzioni musicali in grado di farti fare il “botto”, possa cambiare la vita di qualcuno o che possa far capire che la musica sia un emozione più intensa di altre. La musica è sicuramente un’emozione intensa, ma non più intensa di altre che possono capitarti nel corso della vita. Cercando comunque di restare in tema e di dare una risposta più concreta a questa domanda sicuramente Dave Clarke all’Awakenings nel 2003 ha avuto un ruolo essenziale. Prima di diplomarmi non mi era concesso uscire fino a tardi, potevo andare poco per locali e non era possibile trovare in rete tutto il materiale che abbiamo a disposizione ora, come video e podcast; le poche occasioni che avevo di uscire erano quando ero fuori in viaggio con gli amici l’estate. Per questo l’andare, appunto, all’Awakenings nel luglio del 2003 e il novembre dell’anno successivo all’I Love Techno in Belgio non può non aver sparigliato le carte in tavola: cresciuta a Roma Nord, i miei amici non erano appassionati di rave o musica techno, preferendo il Piper o l’Art Café. Durante il mio soggiorno a New York ho approfondito quanto avevo visto nei due festival, alternando serate in locali “posh”, fra champagne e Belvedere a rave in quella Williamsburg ben diversa da come si mostra oggi. Questa “alternanza” mi ha fatto capire cosa mi faceva realmente ballare e cosa in realtà era solo un modo per passare del tempo con gli amici. In un negozietto di dischi nell’East Village comprai il mio primo vinile, “The Electric Funk Machine” di Planetary Assault System: fra tanti mi colpi prima ancora di ascoltarlo la copertina blue con questi quattro megafoni incastrati in un congegno meccanico. Credo sia il primo album mai realizzato da Luke Slater con quel moniker. Se dovessi dire una traccia che mi ha “cambiata” la vita forse trarrei “The Parting” da questa raccolta.
Passo numero due: quando hai capito che la musica, produrla o suonarla, sarebbe stata una parte fondamentale della tua vita?
Dopo il diploma passavo tanto tempo in giro per serate, sia in Europa che negli Stati Uniti. Ascoltavo di tutto dalla commerciale, all’hip hop, passando per tutte le sfumature della musica elettronica. Compravo CD e dischi di continuo, sia online che nei negozi, di qualunque genere fin da quand’ero ancora alle scuole medie. Un giorno poi ho incontrato René, dj resident del Circoloco, il quale mi ha fatto capire che anche io avrei potuto essere dietro alla consolle ad intrattenere la pista invece che solo a ballare al ritmo di un altro dj. Lui, insieme a Francesco Zappalà, è stato il primo a farmi capire che potevo rendere la musica parte fondamentale della mia vita. Ricordo ancora una conversazione con Francesco sotto Ponte Sisto, quando ancora viveva a Roma, dopo la quale ho iniziato a pensare seriamente che era proprio questo quello che volevo fare nella mia vita. Tornando a René, devo ringraziarlo veramente tanto per tutto: mi è stato vicino nei primissimi passi, mi ha fatto conoscere Ken Karter al quale devo tutto ciò che so riguardo la produzione musicale, e mi ha insegnato come funziona realmente questo ambiente.
Passo a margine: quali sono stati i momenti di maggior crisi, nel tuo rapporto con la musica?
Sai, non ho mai avuto momenti di crisi; forse l’unico momento “duro” è stato quello in cui dovevo decidere se usare il mio vero nome o un nome d’arte. Ecco sì, lì sono andata in crisi, ho ritardato di mesi la prima release perché valutavo continuamente i pro e i contro dell’avere o meno un nome d’arte. Non trovandone uno che mi piacesse a sufficienza, alla fine ho deciso di tenere il mio nome.
Passi importanti: quali sono stati finora i momenti più importanti, nella tua carriera?
Ogni momento della mia carriera è stato importante, ogni incontro e ogni serata ha contribuito alla crescita sia professionale che mentale. L’apertura della label è stato sicuramente uno dei più rilevanti, è cambiato molto da allora, così come l’incontro con Natasha Lodh a “El Row” di Barcellona con la conseguente entrata in Dynamix-Dj’s di certo non è da sottovalutare.
Passi per prendere un po’ d’aria e trovare ispirazione ed energia: quali sono le tue altre passioni? Come le sviluppi? Quanto tempo riesci a dedicare loro?
La mia più grande passione è viaggiare. Ogni momento libero che ho cerco di passarlo in volo. Non importa quale sia la destinazione, l’importante per me è evadere. Un festival, un compleanno, un amico che non vedo da tanto tempo sono tutte scuse valide per andare in aeroporto anche quando non devo partire per suonare. Ho bisogno di essere sempre in movimento, a confronto e a contatto con la diversità, con una cultura o una realtà diversa, anche se nello stesso continente. Mi piace l’idea di avere la possibilità di toccare con mano il mondo, di imparare nuove lingue e di scoprire nuove culture.
Passi perduti: quali sono finora i tuoi più grandi rimpianti, musicalmente parlando?
Non ho rimpianti: rifarei tutto così, sin dall’inizio. Non credo di aver mai fatto errori in passato, musicalmente parlando, e questo perché considero ogni passo fatto come un passo in avanti. Se ho maturato questa consapevolezza è anche grazie anche ad una persona, Ken Karter, che mi è stata accanto consigliandomi fin dall’inizio. Tornando indietro forse cancellerei qualche release iniziale e non collaborerei con persone che ho erroneamente considerato amici, ma non è un rimpianto vero e proprio. Come la maggior parte degli artisti, infatti, anche io ho avuto bisogno di tempo per capire quale fosse la strada da voler intraprendere.
Passi che consiglieresti: quali sono secondo te i cinque album (o brani) che consiglieresti e che non dovrebbero mancare nella discografia di tutte le persone a cui vuoi bene o che stimi?
Sceglierne solo cinque è veramente difficile, per non risultare troppo banale o scontata e farvi capire che no, non mi piace nemmeno un po’ la UK techno vi direi:
James Ruskin “The Dash”
Karenn “Sheworks 004”
Laurent Garnier “Unreasonable Behavior”
Luke Slater “7th Plain”
Regis “Blood Into Gold”
Passi in biblioteca o videoteca: quali libri o film consiglieresti?
Fino a un paio di anni fa avevo sicuramente molto più tempo per leggere. Leggevo almeno un libro al mese, abitudine che purtroppo ho perso negli ultimi anni avendo concentrato tutto il tempo libero sulla produzione musicale. I miei libri preferiti rimangono ancora ad oggi i “Pilastri della Terra”, il “Miglio Verde” e “Shantaram”, quest’ ultimo riletto anche recentemente per la quinta volta penso. Di capolavori letterari, così come cinematografici, ce ne sono tantissimi, opere delle quali a volte dimentichiamo l’esistenza, come la “Divina Commedia” o “Moby Dick” o lo stesso “Piccolo Principe” che per quanto a molti possa dare l’idea di essere un libro infantile io lo trovo un libro pieno di valori e significato che vuole farci riflettere su come gli uomini crescendo perdono il candore e il contatto con le cose essenziali e importanti, trascurando il senso di ciò che possiedono, vivono e provano. È difficile poter consigliare un film in particolare da vedere, potrei fare un elenco infinito. Sono una fan di Luc Besson e Tarantino e per questa ragione tendo a prediligere le loro pellicole. Ma anche le vecchie commedie italiane non sono di certo da sottovalutare: le risate che mi sono fatta con i miei amici guardando i film di Verdone (“Borotalco” è il mio preferito in assoluto), o i vecchi film anni ’90 di Vanzina credo sia difficile ritrovarle nella commedia attuale di casa nostra. Posso dire che al di fuori di questo se dovessi fare una Top 10 citerei sicuramente i film su Hannibal Lecter, da “Il silenzio degli innocenti” fino a “le origini del male”, “Jackie Brown”, “The Dancer”, “The Illusionist” e “Leon”.
Passi fondamentali: qual è il risultato artistico di cui finora vai più orgoglioso?
Il mio primo risultato artistico lo ebbi subito alla mia prima uscita. Due tracce in digitale, una delle quali “Shibuya” venne usata come colonna sonora alla fashion week di Milano per il marchio giapponese “Anteprima”. I passi fondamentali? L’entrata in un agenzia importante come Dynamix-Djs ed essere rappresentata da un’agente come Natasha, che ha lavorato con grandi artisti in passato come James Ruskin e Ben Sims e che ad oggi mi fa ritrovare in un roster dove spiccano nomi quali Surgeon, Truss o Trade (per citarne alcuni), di certo non può non rendermi orgogliosa. E lo stesso vale per 030: sto ottenendo ottimi risultati con la label, dai feedback alle richieste di label night (già cinque in programma per questa stagione in diverse città europee), ai demo che ricevo ogni giorno di artisti interessati ad una release.
Passi virtuali: come stai vivendo l’onnipresenza del web nelle nostre vite in questi anni? Visto tra l’altro che questa è una intervista che stiamo facendo per un media online…
Il web è una parte fondamentale della nostra vita ormai, è difficile poter farsi spazio se non si è presenti online. Leggendo questa domanda subito pensiamo a Facebook ma guardiamo anche oltre, pensiamo anche ai magazine, le radio e i motori di ricerca con i quali possiamo rintracciare qualunque cosa ci riguardi all interno del world wide web.Prendi questa intervista, nel giro di poche ore dalla sua pubblicazione verrà visualizzata da migliaia di persone comodamente dal loro computer o dispositivo mobile, cosa che dieci anni fa sarebbe stata possibile solo se avesse trovato spazio su cartaceo e saremmo dovuti uscire per andare in edicola e speso soldi per comprare una copia della rivista. Possiamo dire di odiare i social network quanto vogliamo, ma la verità è che il 90% di noi ne è dipendente. Attraverso il web ci costruiamo un profilo che può rispecchiare la realtà o in alcuni casi corrispondere ad un ego gonfiato dietro un monitor. Internet permesso a tutti di diventare ciò che volevano o almeno provarci,un’estensione del nostro ego, dove tutti possiamo essere o almeno provare ad essere ciò che vorremmo. Positivo da un lato, perché molta gente che merita il successo non avrebbe avuto i mezzi necessari ad inserirsi nel mondo; negativo dall’altro, in quanto c’è un vero e proprio surplus di dj/producer, cantanti, attori, youtubers, giornalisti e soprattutto fashion bloggers. Oggi, per come la vedo io, il valore delle persone viene misurato a seconda di quanti like si ricevono su Facebook, a quanti retweet raggiungono i post o a quante persone piace l’ultima foto caricata su Instagram. Si da poca importanza poi alla nostra privacy, al cyberstalking ed al cyberbullismo. Un rischio inevitabile se si vuole apparire, far conoscere o semplicemente se abbiamo bisogno di sentirci meno soli condividendo la nostra quotidianità con persone estranee con le quali siamo connesse nel mondo online. La creazione di reti e relazioni avviene per la maggior parte su internet: poter comunicare a distanza, scambiarsi le opinioni e restare in contatto a qualunque ora o momento del giorno attraverso lo scambio di parole e immagini non sarebbe possibile senza. Questo è un argomento di ampio respiro del quale si potrebbe andare avanti a parlare per giorni, quello che posso dire, in conclusione, è che io personalmente preferisco, quando possibile, relazionarmi nel mondo offline. Conoscersi personalmente e scambiarsi faccia a faccia le proprie opinioni, ma allo stesso tempo ritengo che senza la rete telematica oggi non sarei qui a scrivere quest’intervista e probabilmente non sarei domani a suonare in quel club che mi piace tanto.
Passi in compagnia: quali sono i dj e producer con cui senti più affinità, e con cui vorresti sempre e comunque condividere parole, progetti, obiettivi?
Con Conrad Van Orton ho sicuramente molto da condividere: la pensiamo uguale su molte cose in ambito musicale. Ci piacciono le stesse cose, anche se lui non condivide il mio amore senza confini per l’acid a 138bpm, ma devo dire che sia quando ci confrontiamo in studio che in serata riusciamo sempre ad essere molto in sintonia. Ecco una cosa che mi piacerebbe molto è poter suonare di più con lui back to back come abbiamo fatto alla Rampa Prenestina a Giugno. Con Tommaso Marasma e Nika (M23) di Intellighenzia Elettronica ho iniziato una collaborazione molto ampia, sia a livello di serate che di produzioni. Abbiamo suonato insieme al Sonar Off ad esempio, ed è uscito da poco un remix mio per Tommaso su Intellighenzia. I Wirrwarr, Andrea e Gabriele meritano sicuramente di essere citati, così come Advanced Human, Alex Varveris, Antonio Pepe, Giorgio Gigli, Black Asteroid, DJ Datch, Emix, Nax_Acid, Vilix, VSK, Time Traveller, Thanatos, Simone e Mattia aka Beat Movement, MTD, Rick Janssen, Ritvik Neumann (l’uscita del suo primo disco è prevista per la fine dell’anno), DJ Emerson (spesso ci passiamo le uscite delle nostre label prima che vadano in promo) e Liss C., con il quale spero di riuscire a rifare presto una nuova collaborazione in studio dopo averne palato a lungo. C’è anche una collaborazione importante, partita l’anno scorso, con una persona alla quale sono molto legata e che vorrei continuasse anche in futuro: Eugenio Passalacqua. Non tutti sanno che io e Eugenio abbiamo aperto una label che si chiama Chinese Laundry e su questa etichetta abbiamo fatto uscire delle collaborazioni riprendendo lo stile dei rave anni ’90, nei quali suonava lui progressive, e facendo uscire le produzioni sotto nome di I.vy & Solid State. Ad oggi abbiamo fatto uscire tre vinili, due dei quali in collaborazione e uno mio “in solo” con tracce acid dai bpm più moderati. Ricorda Plastikman, se vogliamo paragonarlo a qualcosa, ed è sempre sotto l’alias di I.vy.
Passi incrociati: qual è la situazione, musicale e non, più assurda che ti è capitato di vivere?
Di quelle che posso raccontare sicuramente questa: il 27 gennaio 2012 parto per una doppia data in Bulgaria con Gymmy J. Volo diretto per Sofia, atterriamo e fin lì tutto bene; all’arrivo ci viene a prendere il promoter che ci invita ad andare a casa sua e per non sembrare scortese accetto e ci dirigiamo verso l’appartamento. Una volta arrivati a destinazione si apre la porta e ci ritroviamo avvolti da una cappa di fumo dall’odore misto acido e tabacco, camminiamo verso il salone e li ad attenderci erano un gruppo di persone che non dormivano da giorni con gli occhi rigirati, bianchi cadaverici e sudaticci. Dopo un paio d’ore seduta su un pouf con una stanchezza addosso infinita, -20°C fuori e senza termosifoni o split per l’aria calda, chiedo quando avremmo potuto dirigerci verso l’hotel in modo tale da poterci fare una doccia e riposare un po’ prima della serata. In quel momento ci viene comunicato che non avevamo nessun hotel e che la doccia potevamo farla lì a casa sua. Un attimo di terrore, guardo Gianmarco sconcertata e mi rassegno. Facciamo la serata, torniamo a casa del promoter tentiamo di dormire un paio d’ore prima di andare a Varna per la serata successiva e al risveglio ci viene detto che avevamo due opzioni per arrivare al lato opposto esatto della Bulgaria, un driver, ubriaco e sotto effetto di speed da quattro giorni o il treno. Opto immediatamente per il treno, senza pensarci due volte. Arriviamo alla stazione e mi rendo conto che il treno non era proprio un bel freccia rossa moderno con ogni comfort, bensì un vecchio treno di quelli regionali con i quali in Italia magari se proprio ti va male ci fai un Bologna – Riccione. Niente riscaldamento, 10cm di neve anche all’interno del treno e finestrini rotti. Parte il treno e senza più speranza mi dico: “vabbè dai quanto può durare tanto questo viaggio in fondo la Bulgaria non è poi così grande”, e invece no: otto ore! Più due causate dal guasto improvviso che ci ha fatti fermare (ovviamente) in mezzo al nulla più totale. Impossibile intravedere nemmeno la casa di un contadino, solo neve, una distesa bianca lunga chilometri e nient’ altro. Dopo dieci ore, quindi, dopo arriviamo a Varna, finalmente ci portano in hotel ci facciamo una doccia riposiamo e via pronti per la serata. Volo di ritorno a Roma da Sofia, quindi giorno dopo stesso treno stessa storia. Quarantotto ore infinite! Con quattro aspirine in corpo, tre kili in meno e due giorni di sonno arretrato, finalmente rivedo il portone di casa mia, felice come non mai di essere lì davanti.
Passi sbagliati: quali sono le cose che più di danno fastidio nella scena musicale italiana?
Esistono diverse categorie che non sopporto della scena musicale italiana, ovviamente riferendomi al mondo della musica elettronica e del clubbing che è quella che mi riguarda. Ne succedono talmente tante in questo ambiente che, senza andare a scavare troppo nel passato, dal giorno in cui ho ricevuto le domande ad oggi i “passi in compagnia” hanno già dovuto per forza di cose subire dei cambiamenti. Ad inizio settembre il gestore di un noto locale romano mi aveva chiesto di occuparmi della direzione artistica di una serata. Uno dei dj coinvolti da me (anche per una questione di riconoscenza, dato che il gestore del locale mi era stato presentato da lui qualche mese prima) si è sentito “minacciato” e ha mandato tutto all’aria perché, a suo avviso, la direzione artistica doveva essere messa in mano sua, dato che tra le altre cose lamentava il fatto che si era “lavorato il contatto per anni”. Questo a dimostrazione che qui, invece di essere soddisfatti dell’essere presi in considerazione ed avere la possibilità di lavorare in contesti di spessore, abbiamo troppa gente che vuole sempre più di quello che meriterebbe, distruggendo così anche le piccole cose che potrebbero portare a qualcosa di più grande e importante in futuro. La mentalità del “tutto e subito”, tipicamente italiana, si riflette anche in questo piccolo mondo, che dovrebbe vivere anche e soprattutto delle piccole gioie che ogni tanto arrivano. Bisognerebbe lavorare con lungimiranza, arguzia e un minimo di spirito di sacrificio, tutti quanti, ma invece di collaborare ci si calpesta i piedi, ci si pugnala alle spalle e poi si rigira la frittata a proprio favore, anche quando l’evidenza dice altro. Quest’ultima vicenda mi ha lasciato dentro un vuoto affettivo enorme. L’arrivismo e l’invidia (di cosa in particolare poi non lo so) hanno cancellato anni di amicizie che fino ad un minuto prima dell’inizio della bufera consideravo solide e longeve. Ma non importa, ogni episodio del genere mi rende più forte e mi regala nuovi stimoli a fare di meglio in futuro con un pizzico di fiducia in meno nello spirito collaborativo, purtroppo, almeno per quanto riguarda l’Italia. Per fortuna c’è tanta gente che merita e che continua a “farsi il culo” nonostante tutto, ma bisogna scovarla perché chi ha già capito come funzionano le cose si nasconde bene, o se ne va verso altri lidi. Come biasimarlo? Anche dall’estero ne arrivano di storie strane, ma il più delle volte sono tutti una grande famiglia, si supportano a vicenda, fanno dischi insieme e non vedono l’ora di suonare insieme ai loro compagni. Generalmente è questa la consuetudine e, mio malgrado, devo aggiungere che spesso e volentieri si viene a scoprire che dietro a qualche episodio poco chiaro c’era la mano di un’italiano. Ognuno rivendica diritti e meriti. Invidie e prese di posizione. Tutti atteggiamenti che invece di mandarci avanti ci lasciano fermi a guardare in disparte nonostante siamo un paese artisticamente molto rispettato. E non c’è da stupirsene: io da straniera stenterei a dare la mia fiducia ad un popolo che ha come abitudine l’infamia tra fratelli. Come mi disse un organizzatore romano tempo fa: “più sono piccoli più fanno casino per farsi sentire e notare”. Oggi comincio ad assaporarne il senso. In Italia, poi, esistono le vittime del sistema. Ti ricordi quando Calimero diceva: “tutti ce l’hanno con me perché io sono piccolo e nero”?, in Italia e in alcuni degli italiani all’estero esiste è radicato l’insopportabile costume del lamentarsi dello sminuire chi ha più successo. Non dico che tutti sono così ma ne esistono molti. Sono sempre pronti a puntare il dito contro tutti i loro colleghi, gufano ed esultano se prendono un cavallo durante un set, fanno gli amici per sfruttare contatti e uscite sulle label, ma dentro di loro pensano sempre che sono meglio loro. Sono soprattutto quelli che fanno due dischi e pensano bastino per stare dietro a tutte le migliori consolle del mondo. Se quello che hai fatto non basta, rimboccati le maniche un po’ più in alto e continua a lavorare, perché se quello che fai ti piace veramente non hai nulla da perdere così facendo. Un’altra cosa che mi piacerebbe cambiasse è il valore che viene dato ai “musicisti” italiani in Italia, ma tutto quello che ho descritto finora non è compatibile con questo mio desiderio. Siamo complici del destino che ci si sta profilando e potremmo cambiarlo anche domani, ma siamo noi i primi a non volerlo a quanto pare.
Passi che stai per compiere: quali sono i tuoi prossimi progetti?
In programma c’è un nuovo progetto con un artista, del quale preferisco non fare il nome in quanto inizialmente non vorremmo rivelare la nostra identità; questo semplicemente perché vorremmo avere delle soddisfazioni slegate dai nostri attuali profili. Si sta parlando, poi, di iniziare un progetto live con un altra artista che stimo molto. Oltre a queste due novità, vorrei organizzare altre label night con 030, inaugurare una nuova label e, prima o poi, fare uscire un album. È un po’ ormai che ci lavoro su, ma sento che non è ancora il momento giusto per questo passo.
Passi sinestetici: salutaci non con delle parole, ma con una traccia, non importa se tua o di altri.