Voglio essere completamente sincero, soprattutto con Simone: la prima volta che l’ho incontrato qualche anno fa, in un pomeriggio bollente come solo Roma in piena estate sa offrire, mai e poi mai (ma mai davvero!) avrei immaginato di poter prendere seriamente quel cazzone veneto che mi raccontava la ragione – che per motivi di decenza sono costretto ad omettere – delle “X” e “Z” che ha tatuate rispettivamente sul ginocchio destro e sinistro. Sembrava uscito da un film con Christian De Sica, con la differenza che però, in rari momenti di serietà era in grado di piazzare un commento arguto su questo o quell’artista. Non sempre mi trovavo d’accordo con lui – anzi, quasi mai – ma il livello di quelle uscite era tale da rendere il tutto estremamente gradevole, oltre che divertentissimo.
Col tempo, poi, ho avuto modo di compiacermi di questo sesto senso che inconsciamente mi aiuta soprattutto quando si tratta di giudicare a pelle i giovani artisti. Simone, nonostante inizialmente non ne capissi davvero il motivo, si è rivelato essere una persona sempre più interessante, oltre che un dj e produttore imprevedibile. Così eccolo qui sulle nostre pagine per uno dei Giant Steps più succosi di sempre, leggere e ascoltare per credere!
Passo numero uno: qual è il disco o la traccia che ti ha cambiato la vita? La primissima. Quella che ti ha fatto capire che la musica era veramente un’emozione particolare, più intensa di altre.
1997, MTV, ore 2 di notte circa: intercetto casualmente “Smack My Bitch Up” e nulla sarà più come prima.
Passo numero due: quando hai capito che la musica, produrla o suonarla, sarebbe stata una parte fondamentale della tua vita?
Devo dare credito a mio cugino per essere stato fortemente condizionante nei miei primi approcci con la musica: una commistione di influenze metal, hip-hop ed elettroniche che hanno definito radicalmente anche il mio modo di confrontarmi con il mondo esterno.
Non c’è stato un vero e proprio momento rivelatorio: ho sempre vissuto un ossessione viscerale nei confronti della musica e della (contro) cultura che traspira, partendo dalla breakdance, passando all’MCing, e finendo solo più tardi, verso i diciotto anni, nel mondo del djing.
Passo a margine: quali sono stati i momenti di maggior crisi, nel tuo rapporto con la musica?
La crisi è uno state of mind quotidiano, un conflitto interno che si perpetua all’infinito che oggi è amplificato dalla consapevolezza che l’accelerazione impressa alla società tardo-capitalista ha portato ad estreme conseguenze l’alienazione collettiva.
L’economia per funzionare necessita di un flusso continuo di informazioni e l’arte non può più essere un momento di rottura, una riconciliazione, un’esperienza trascendentale: siamo piombati nell’inferno di forme rappresentative pre-digerite promulgate da falsi idoli imbottiti di retorica politicamente corretta, estetica sotto steroidi asservita all’agenda di interessi delle multinazionali.
Il sottosuolo (res?)esiste, ma solo come forma di nostalgia anacronistica, tollerata nella misura in cui è totalmente incapace di generare qualcosa di realmente rivoluzionario, vampirizzato e privato della sua iconografia che è stata già demistificata al punto di poter essere usata come tema di qualche nuova collezione di moda “dedicata ai giovani ribelli di oggi”.
Solo un asteroide ci salverà (forse).
Passi importanti: quali sono stati finora i momenti più importanti, nella tua carriera?
Sicuramente ho un ricordo speciale degli anni passati come resident di PWP a Milano, un esperimento di carattere socio-antropologico più che un party, che mi ha permesso di effettuare incursioni musicali tra il sacro e il profano in un locale storico come Santa Tecla.
Il soundsystem era un disastro, i drinks peggio, ma l’atmosfera selvaggia ed il crossover improbabile personaggi apparentemente inconciliabili hanno lasciato un segno nella memoria collettiva locale (e in quella degli artisti che ci sono passati, da Kornel Kovacs a Matrixxman, passando per Jacques Renault e Hodge).
Per il resto, altri momenti memorabili: chiudere il waterfloor del Watergate con San Proper, la mia prima gig fuori dall’Europa a Bangkok nel 2014, suonare dopo il concerto dei Chemical Brothers davanti a diecimila persone.
Passi per prendere un po’ d’aria e trovare ispirazione ed energia: quali sono le tue altre passioni? Come le sviluppi? Quanto tempo riesci a dedicare loro?
Le mie giornate sono ugualmente ripartite tra le mie ossessioni: ricerca musicale, studi di cinema, letteratura e saggistica, videogames. Mi sento in dovere di accrescere la mia cultura personale quotidianamente: il resto è tempo perso, nella peggiore delle accezioni possibili.
Passi perduti: quali sono finora i tuoi più grandi rimpianti, musicalmente parlando?
Rimpiango di aver speso tempo ed energie nei progetti sbagliati, con le persone sbagliate, nei posti e nei momenti sbagliati. Al tempo stesso ringrazio di aver speso tempo ed energie nei progetti sbagliati, con le persone sbagliate, nei posti e nei momenti sbagliati.
Questo è il percorso che mi ha portato a sviluppare l’improbabile caleidoscopio di influenze diverse che fanno di me chi sono oggi.
Passi che consiglieresti: quali sono secondo te i cinque album (o brani) che consiglieresti e che non dovrebbero mancare nella discografia di tutte le persone a cui vuoi bene o che stimi?
The Prodigy “Music For The Jilted Generation”
Pantera “Vulgar Display Of Power”
Company Flow “Funcrusher Plus”
Gang Starr “Hard to Earn”
Miles Davis “Bitches Brew”
Poi possiamo cominciare a parlare.
Passi in biblioteca o videoteca: quali libri o film consiglieresti?
Potremmo dedicare un paragrafo di dimensioni bibliche solo a questa domanda ma cercherò di contenermi.
Un film per genere: “Play Time” di Jacques Tati (Comedy), “Grand Illusion” di Jean Renoir (War), “Children of The Paradise” di Marcel Carné (Drama), “Starship Troopers” di Paul Verhoeven (Sci Fi), “To Live and Die In LA” di William Friedkin (Action), “The Thing” di John Carpenter (Horror), “Mind Game” di Masaaki Yuasa (Anime), “The Devils” di Ken Russell (Historical), “The Searchers” di John Ford (Western), “The Night of The Hunter” di Charles Laughton (?!).
Due saggi: “Society of Transparency” di Byung-chul Han e “Black Transparency” di Metahaven.
Due titoli di narrativa: “Das Schloss” di Franz Kafka e “Il Giocatore” di Fedor Dostoevskij.
Passi fondamentali: qual è il risultato artistico di cui finora vai più orgoglioso?
Rilasciare il mio EP di debutto come Simone de Kunovich su Superconscious è sicuramente un onore e un punto d’arrivo importante, sia Fantastic Man che Francis Inferno Orchestra sono sempre stati riferimenti importanti per il loro approccio non ortodosso e radicale alla scena house.
È stato un percorso di lenta maturazione che mi ha portato a cercare di ottenere un suono personale che non fosse indebitato con gli stereotipi della scena US e UK: il riferimento in questo caso sono stati i compositori di colonne sonore e library music come Piero Umiliani, Piero Piccioni, Marcello Giombini e tanti altri che come loro sono stati pionieri (spesso dimenticati) della musica elettronica.
L’obbiettivo finale è stato cercare di ricreare un paesaggio sonoro chiaramente riconducibile alle atmosfere esotiche ed esoteriche di certo cinema exploitation degli anni ’60 e ’70, dai vari Mondo Movies passando per “Cannibal Holocaust” e i suoi emulatori (con una strizzata d’occhio a Herzog e Jodorowski).
Passi virtuali: come stai vivendo l’onnipresenza del web nelle nostre vite in questi anni? Visto tra l’altro che questa è un’intervista che stiamo facendo per un media online…
Di nuovo, sarà dura cercare di contenermi ma ci proverò.
I pionieri di internet prospettavano un nuovo umanesimo, ingenuamente convinti che la rete sarebbe finalmente stato uno strumento di libera circolazione di informazioni, che avrebbe elevato l’uomo medio dalla sua ignoranza.
Sfortunatamente il risultato opposto è sotto gli occhi di tutti: internet si è rivelato essere il più sofisticato strumento di condizionamento sociale e controllo di massa, un panopticon digitale, “un’allucinazione vissuta consensualmente ogni giorno da miliardi di operatori legali”, di cui siamo vittime e carnefici allo stesso tempo. Nel flusso delle informazioni il giornalismo gioca un ruolo chiave ed è necessario un urgente richiamo all’ordine nei confronti di una professione che è stata fortemente delegittimata dall’avvento della libera circolazione di parola/rumore nel mondo della rete.
È necessaria una barriera all’ingresso, una forma critica e censoria di giornalismo che difenda i valori etici e non gli interessi del conto in banca.
È necessario alimentare punti di scambio d’informazione regolamentati tra lettori/utenti/cittadini: la repressione della funzione commento da parte di Resident Advisor in questo senso è un gravissimo segnale di perdita per la democrazia in rete.
È necessario osteggiare con tutti i mezzi questo positivismo forzato, attraverso il pensiero critico e dissidente: solo idee controverse e radicali saranno in grado di lacerare questo tessuto di indifferenza e solitudine.
Passi in compagnia: quali sono i dj e producer con cui senti più affinità, e con cui vorresti sempre e comunque condividere parole, progetti, obiettivi?
Sicuramente Gianluigi Mendozza, figura radicale e controcorrente della scena romana: artista dai mille nomi e dalle molteplici sfaccettature, è la persona con cui ho l’onore e il piacere di condividere il mio percorso artistico (ed umano) da molti anni a questa parte.
Per quanto riguarda il mondo della consolle senza dubbi Kornel Kovacs è il mio punto di riferimento: tecnicamente ineccepibile, un profanatore musicale ed una persona estremamente preparata culturalmente a trecentosessanta gradi. Porto con me ricordi di back-to-back che resteranno indelebili nella memoria.
Altri artisti internazionali che stimo e reputo interessanti sono Bufiman, River Yarra, Powder, Tornado Wallace e Young Marco.
A Milano negli ultimi anni sta iniziando a fermentare una scena locale di giovani artisti di tutto rispetto, da diggers di rarità come Federico Facchinetti a produttori di spessore come Inner Lakes, passando per Rosa Calix, Uabos e Tyler Ov Gaia.
Passi incrociati: qual è la situazione, musicale e non, più assurda che ti è capitato di vivere?
Compleanno di un mio amico in Puglia, qualche anno fa. Stavo suonando un remix di David Morales di “Saturdays” dei De La Soul. Si palesa al mio fianco questo enigmatico signore sulla sessantina, complimentandosi per la selezione e facendomi presente che era anche lui un “discreto appassionato di musica”.
Preso dalla foga del momento liquido rapidamente la conversazione con l’anziano avventore, che scompare nel buio della notte.
Il giorno dopo, il festeggiato: “Ho visto che ieri sera è venuto Tommy a farti i complimenti, sarà stata un emozione!”.
“Tommy? Tommy chi?”
“Tommy di Tommy Boy Records!”
“Ah”
(wtf)
Passi sbagliati: quali sono le cose che più ti danno fastidio nella scena musicale italiana?
La provincialità della maggior parte delle persone che ne sono coinvolte, ancora preoccupati da diatribe anacronistiche, dotati di una visione miope incapace di generare una “scena” nel vero senso della parola.
E la totale assenza di professionalità: purtroppo (o per fortuna in alcuni casi) la musica elettronica in Italia è ancora un lavoro part-time, o comunque una forma di artigianato più che un industria.
Questo è il motivo per cui siamo incapaci di valorizzare i talenti locali e preferiamo ingaggiare artisti/brand impacchettati a regola d’arte da esperti di marketing di business schools d’oltr’alpe/manica/oceano.
Passi che stai per compiere: quali sono i tuoi prossimi progetti?
Ho appena completato la seconda parte del concept “Mondo Nuovo”, che dovrebbe uscire entro fine 2019 e che concluderà la mia escursione musicale in territori selvatici ed esotici.
Per il futuro sto iniziando a maturare l’idea di produrre una serie di EP connessi a film specifici che mi hanno influenzato profondamente, sia concettualmente che esteticamente.
Molto probabilmente il primo della serie sarà “Videodrome” di David Cronenberg..
Passi sinestetici: salutaci non con delle parole, ma con una traccia, non importa se tua o di altri.
“Life’s a Bitch and then you Die”