Ho conosciuto Tiziano Scocco anni fa, quando Skyboy doveva ancora fare il suo esordio e quando “Without” era prossima all’uscita su 7oz Records. Non gli era chiaro, in quel periodo, che tipo di percorso artistico intraprendere e con quali modelli confrontarsi per permettere alla sua musica di maturare alimentando le sue grandi ambizioni, ma era già evidente che Skyboy avesse il potenziale per dire la sua all’interno di un contesto in cui la qualità non sempre va di pari passo con la competizione feroce a cui i giovani produttori sono costretti. La passione e meticolosità (quella che l’ha portato a pubblicare poche ma convinte – e convincenti – uscite), però, fanno di Skyboy una figura tra le più brillanti e tenaci all’interno di una scena che troppo spesso abbraccia punti di riferimento che non rendono giustizia alle qualità dei nostri giovani artisti, un ragazzo capace di far convergere sotto un solo moniker tutta la sua curiosità e la sua voglia di esplorare le emozioni che solo la musica sa offrire. Tiziano Scocco non è una persona banale, tutt’altro, e qui potete scoprire perché.
Passo numero uno: qual è il disco o la traccia che ti ha cambiato la vita? La primissima. Quella che ti ha fatto capire che la musica era veramente un’emozione particolare, più intensa di altre.
Ho avuto la fortuna di essere nato e cresciuto in una famiglia profondamente appassionata ed esperta di musica, da bambino potevo saltare come un matto sia per i Living Colour (mi piaceva un casino la custodia di plastica rossa del loro cd) che per i Devo! La musica è sempre stata al centro di tutto: l’album che però mi aprì gli occhi su un “nuovo mondo” fu “The Fat Of The Land” dei Prodigy. Lo avevo in una musicassetta fatta da mio zio, erano i tempi dei walkmans, e la sentivo tutti i santi giorni.
Passo numero due: quando hai capito che la musica, produrla o suonarla, sarebbe stata una parte fondamentale della tua vita?
Io, per assurdo, facevo il dj prima di sapere cosa fosse un dj. Quand’ero un teenager, avendo già quello spirito da “collezionista” musicale, ero sempre io che portavo la musica alle feste. Ma si stava con un classico stereo e quindi, finito un cd, se ne metteva un altro. Poi un giorno vidi un tizio in tv (era Fatboy Slim) che mixava un disco dopo l’altro, senza soluzione di continuità e da lì capii cos’era il djing. Era quello volevo fare, tempo un mese e comprai la mia prima consolle. Capii invece che produrre musica sarebbe diventata una parte fondamentale della mia vita quando, nel 2008, quasi per caso, dopo un bel po’ che passavo numerose ore su Acid Pro, ebbi l’occasione di remixare una leggenda vivente come Orlando Voorn per la label danese Tic Tac Toe: a loro piacque molto e inaspettatamente la traccia finii sulla release in vinile. Mio padre e mio zio negli 80’s, poi, avevano una band no wave/new wave molto conosciuta a Roma, di nome “Illogico”. Iniziavano ad andare alla grande, ma poi per gli impegni di “vita” di ognuno si sciolsero. Circa tre anni fa, la Spittle Records ritrovò le registrazioni di allora e incredibilmente pubblicò l’album. Ora mio padre e mio zio con la band hanno ripreso a suonare e provare insieme. Questa storia mi è stata d’insegnamento in quanto ho capito che non devi mai mollare un centimetro: prima o poi la passione, gli sforzi, l’impegno e i sacrifici verranno sempre ripagati.
Passo a margine: quali sono stati i momenti di maggior crisi, nel tuo rapporto con la musica?
“Crisi” forse è un po’ troppo grande come parola, ma circa tre-quattro di anni fa, ebbi qualche insicurezza, perché avendo il “peso” di questo background così ampio, non riuscivo ad esprimermi musicalmente in una sola ed unica via. All’inizio pensavo fosse sbagliato, poi mi fermai per un po’, ci riflettei e capii al volo che in effetti avere questo bagaglio culturale e sfruttarlo a pieno, permettendomi di essere “eclettico”. Insomma come poteva essere la conoscenza di una materia e la voglia di esprimersi in più sfaccettature, un limite?
Passi importanti: quali sono stati finora i momenti più importanti, nella tua carriera?
Per come la vedo non ci sono grandi passi, ma piccoli mattoncini che si affiancano ogni santo giorno per costruire qualcosa. Sicuramente importantissimi furono la traccia “Without” uscita per la romana 7oz, il disco mai pubblicato con Ilario Alicante (ma che tutti hanno e conoscono), le serate dove ho suonato e conosciuto artisti come Jimpster e Phonique (con i quale sono ancora in stretto contatto), il primo disco con Clap Your Hands e le tantissime serate dove ho messo dischi, sia davanti a mille persone che davanti a cento.
Passi per prendere un po’ d’aria e trovare ispirazione ed energia: quali sono le tue altre passioni? Come le sviluppi? Quanto tempo riesci a dedicare loro?
Vedo tantissimi film ed anche li mi piace scoprire sia il lato Von Trier che il lato Veronesi della stessa medaglia. Anche lo sport è parte integrante della mia vita da sempre: ho praticato basket per tanti anni e ancora pratico il calcio, la mia grande passione dopo la musica. Last but not least, i viaggi: ogni qual volta posso mi organizzo con gli amici o la ragazza e parto, anche solo per ventiquattro ore. La voglia di scoprire, assaggiare, conoscere nuove culture mi affascina e ogni qualvolta torno in studio dopo un bel viaggio, sono sempre meravigliosamente ispirato.
Passi perduti: quali sono finora i tuoi più grandi rimpianti, musicalmente parlando?
Ce ne protrebbero essere di rimpianti, uno può essere proprio il disco mai pubblicato con Ilario (la leggendaria Nervous ci contattò numerose volte…) ma essendo un super-ottimista di natura, spesso mi rispecchio nel famoso proverbio che dice: “Quando si chiude una porta, si apre un portone”.
Passi che consiglieresti: quali sono secondo te i cinque album (o brani) che consiglieresti e che non dovrebbero mancare nella discografia di tutte le persone a cui vuoi bene o che stimi?
Daft Punk – Homework
Chemical Brothers – Surrender
Red Hot Chili Peppers – Blood Sugar Sex Magik
Talking Heads – tutto fino al 1985
Funkadelic – One Nation Under A Groove
Beastie Boys – Licensed To Ill
Passi in biblioteca o videoteca: quali libri o film consiglieresti?
I miei film preferiti sono soprattutto quelli di Martin Scorsese: Toro Scatenato, Quei Bravi Ragazzi, The Departed. Le intepretazioni di Robert De Niro o Joe Pesci in quei film mi esaltano; in Italia invece, i miei attori preferiti, sono Tony Servillo, Elio Germano e Valerio Mastrandrea. Per i libri, assoluto vincitore Irwine Welsh! Li ho letti praticamente tutti: a tratti un po’ pesanti nei dettagli “macabri”, ma come racconta lui scene di vita realmente vissuta, non ci riesce nessuno. In italia mi piace Gianluca Morozzi. Figo, un Nick Hornby nostrano, ma più matto! Alla fine sia nel cinema che nella letteratura vengo attratto da quelle storie “di strada”, di ordinaria follia spesso ambientate nei sobborghi del mondo.
Passi fondamentali: qual è il risultato artistico di cui finora vai più orgoglioso?
Sono abbastanza soddisfatto, ma anche autocritico il giusto, per far si che sia orgoglioso di tutti i miei lavori fino ad ora. Se vogliamo proprio dirlo, forse è il primo lavoro su vinile: “Without”. Fui folgorato dalla colonna sonora di uno spot, la campionai e iniziai di getto. Una volta finita la traccia, la misi su myspace e dopo un bel po’ la 7oz la pubblicò e dal nulla, tutti i grandi della scena techno/house la suonarono. Per me fu incredibile. Spesso, però, penso anche che il pezzo su cui sto lavorando sarà il migliore, quindi la risposta alla domanda potrebbe anche essere: il disco che verrà!
Passi virtuali: come stai vivendo l’onnipresenza del web nelle nostre vite in questi anni? Visto tra l’altro che questa è una intervista che stiamo facendo per un media online.
Il fatto di poter essere in contatto con una persona senza barriere geografiche, poter far sentire i propri lavori, scambiare idee e opinioni una cosa straordinaria. Posso azzardare? è democratico. Ma come in tutte le democrazie, se c’è qualcuno che ne può giovare, approfittando e sfruttando a pieno questi nuovi mezzi, c’è dall’altra parte chi invece parla e dice la sua, anche senza avere realmente un cazzo da dire. C’è una cosa mi da molto fastidio però è la totale dipendenza da questi mezzi. Ogni tanto staccate tutto: vedo scene di ragazzi al tavolo di un pub e tutti in silenzio con lo smartphone in mano; io ogni tanto non ho il telefono sott’occhio per giornate intere. Forse più che la velocità della connessione, in futuro, dovremmo ampliare un po’ tutti la proprio autocoscienza.
Passi in compagnia: quali sono i dj e producer con cui senti più affinità, e con cui vorresti sempre e comunque condividere parole, progetti, obiettivi?
Di contatti negli anni ne ho portati avanti parecchi con cui mi piace sempre confrontarmi, condividere e se c’è possibilità anche mettere qualche disco insieme. C’è Valerio! che ormai conosco da anni; c’è Simone Sinatti, che con Speaking Minds sta facendo bene. Poi c’è Andrea Esu che è un grande: discutiamo sempre di musica e calcio, passando senza remore da Kaytranada a Sandro Cois. C’è anche Andrea Di Rocco, con cui uscirà presto una collaborazione e con cui mi piace sempre suonare insieme. Altri ragazzi che rispetto e che ho possibilità di condividerci “virtualmente” sempre due parole sono Emmanuel, Ayarcana, Fabio Monesi, Raffaele Attanasio, Mattia Trani, Whitesquare…
Passi incrociati: qual è la situazione, musicale e non, più assurda che ti è capitato di vivere?
Una è stata l’estate passata nella serata Clap Your Hands a Berlino al Kosmonaut club dove mi sono divertito da morire: appena entrato una ragazza ci ha riempito il viso di brillantini e ci ha offerto subito uno shot di Jager. Al centro della pista c’era letteralmente una vasca da bagno piena di coriandoli dove ognuno si poteva servire… il panico! A chiusura, ore 10:30 della mattina sono rimasto a parlare un’ora con un berlinese tifoso della Roma: mi verrebbe da dire che tutto ciò può capitare solo a Berlino. Oppure tre estati fa, quando mentre condividevo la consolle con Phonique, quest’ultimo prese il telefono e chiamò Erlend Oye (cantante dei Kings Of Convenience) sapendo che si trovava a Roma in quei giorni: beh dopo mezz’ora, Erlend era lì con noi, bevendo e cantando “For The Time Being” sul disco che suonava Phonique. E’ stato un momento magico.
Passi sbagliati: quali sono le cose che più ti danno fastidio nella scena musicale italiana?
Un bel po’ di cose. Come già detto prima, un po’ troppi vogliono esprimersi “artisticamente” anche se non hanno nulla da raccontare con conseguente effetto “bandierina al vento”: se prima andava la deep house, facevano deep house; se ora va la techno, fanno techno e se un domani andrà l’anarcho-punk faranno anarcho-punk. Dov’è la personalità? Lo stile? Il background e la propria cultura? Poi una cosa fondamentale: ormai da organizzatori (faccio parte della crew XXX da quattro anni circa) in Italia non si riesce più ad andare avanti (tolte qualche poche e grandi eccezioni). Come si fa a fare un incasso ragionevole che ti permetta di portare avanti un progetto di continuità se la gente arriva al club alle 2 e si deve chiudere “baracca e burattini” massimo alle 04.30? E grazie che Berlino è la mecca! La durata più ampia di una singola serata permetterebbe di avere più ore a disposizione dei dj residents per crescere artisticamente e fare esperienza, più ore per le guests che si possono esprimere al 100% (quando invece qui hanno una media di un’ora e mezza di set e si ritrovano a fare spesso dei “minestroni” senza senso), pubblico non costretto a bersi cinque cocktails in venti min perché poi il locale chiude e soprattutto più ingressi (a rotazione) e quindi più ricavi per l’organizzatore e il proprietario del club. In quel caso sarebbe più facile “sperimentare” musicalmente: allo stato attuale delle cose, invece, avendo pochi ricavi si cerca di massimizzare il tutto giocandosi solo le “carte” sicure. Alla fine sia per l’educazione del pubblico che per le leggi, una serata qui in Italia si trasforma un circo “isterico” che dura due ore dove la gente si sballa, il dj fa il suo e l’organizzatore se ne torna a casa con pochi euro, se va bene.
Passi che stai per compiere: quali sono i tuoi prossimi progetti?
Da poco è uscito il mio terzo EP per la “famiglia” di Clap Your Hands, dove ho avuto un grande remix da Jakobin & Domino, un paio di ragazzi talentuosi di Vienna che ho contattato personalmente. In questi mesi uscirà una release di cui vado fiero su Soulfooled, dove ho collaborato con Andrea Di Rocco e con Frank, ragazzo con tutto un altro background musicale, ma che si è buttato a capofitto in questo progetto con la sua splendida voce. Nell’EP, e ancora stento a crederci, due remix da parte di due dei miei artisti preferiti: Alex Niggemann e Christian Prommer. Poi sto lavorando anche su un paio di remix che non so precisamente quando usciranno, uno dei quali sarà nuovamente con l’alias ScruffyWRKS: mi sto divertendo un casino con questo nuovo sound grime/footwork/future garage quasi impossibile da “catalogare”…
Passi sinestetici: salutaci non con delle parole, ma con una traccia, non importa se tua o di altri.