Quella di Giulio Paternò, in arte Swoosh, è una testa davvero interessante. Risposte per nulla banali, un bella parlantina e la sana ambizione di raggiungere i suoi artisti modello – su tutti Nicolas Jaar, David August e Henrik Schwarz – fanno di questo giovane produttore e performer romano uno degli artisti più curiosi tra quelli all’opera ogni settimana nelle consolle della Capitale. Già tra i protagonisti dell’ultima edizione di Amore Festival, questo ventitreenne sta iniziando a farsi strada con in braccio la sua fedelissima chitarra. La sua musica e le sue performance, in fondo, parlano chiaro…noi non potevamo fare altro che assecondarle e dar loro lo spazio che meritano!
Passo numero uno: qual è il disco o la traccia che ti ha cambiato la vita? La primissima. Quella che ti ha fatto capire che la musica era veramente un’emozione particolare, più intensa di altre.
“Stairway To Heaven” dei Led Zeppelin. Avevo dodici-tredici anni, quel pezzo mi ha fatto capire che non avrei più potuto fare a meno della musica. Quella chitarra iniziale, quell’assolo che è entrato nella storia, quel finale così tormentato. Per non parlare della dietrologia che quegli otto minuti portano con loro: dalle presunte accuse di satanismo della strofa sentita al contrario, fino alla misteriosa figura della “lady” che è sicura che sia tutto oro quel che luccica… in quella fase pre-adolescenziale sono ingredienti che bastano e avanzano per una piacevolissima intossicazione musicale!
Passo numero due: quando hai capito che la musica, produrla o suonarla, sarebbe stata una parte fondamentale della tua vita?
Ottobre 2006, occupazione del Mamiani (il liceo romano a cui andavo, sempre sia lodato!). Avevo già fatto qualche anno di chitarra classica, ma senza troppo entusiasmo. Ero al primo anno di liceo e a distanza di un mese dall’inizio delle lezioni, già la dimensione della scuola occupata mi aveva fatto andare fuori di testa! In quei giorni mentre girovagavo per la scuola, sono finito in una saletta nei piani sotterranei dove c’era una sorta di sala prove con batteria, microfoni e amplificatori di chitarra e basso. Alcuni ragazzi stavano improvvisando una jam. Mi sono messo “in fila” e dopo un po’ ho preso per la prima volta in vita mia una chitarra elettrica in mano. Ricordo ancora che suonammo “Purple Haze” di Jimi Hendrix. Sono tornato a casa con la testa che mi girava, ma avevo le idee chiare su quello che volevo fare nella vita. Un mese dopo un amico di famiglia mi ha prestato una storica Fender Telecaster degli anni ’70 che non usava da anni: il mio primo amore. La Gibson Les Paul che ancora porto con me nei live l’ho comprata solamente un anno e mezzo dopo, non l’ho ancora tradita.
Passo a margine: quali sono stati i momenti di maggior crisi, nel tuo rapporto con la musica?
Ancora non ci sono state grandi fratture. O meglio, non si può parlare di momenti. Per quanto mi riguarda c’è una continua crisi nel rapporto con la musica. Quando il rapporto con qualcosa di esterno si fa troppo intenso, nel bene o nel male, non si è mai tranquilli. La musica è in grado di riempirmi come nient’altro, ma allo stesso tempo mi lascia in un perenne stato di insoddisfazione rispetto a ciò che produco. Per spiegarmi meglio: le tracce che faccio mi piacciono nel momento in cui le faccio, quando c’è il flusso. Una volta finite, dopo qualche ascolto, già mi fanno storcere il naso. Ma il gioco vale la candela: non c’è nulla di più bello di quelle ore passate in studio, quando il tempo vola e la musica si scrive da sola!
Passi importanti: quali sono stati finora i momenti più importanti, nella tua carriera?
Il progetto Swoosh nasce circa due anni e mezzo fa. Nel 2014 i primi passi romani al Lanificio 159 e alla serata Minù al Circolo degli Illuminati. La prima trasferta poi non si scorda mai, ancor meno se si tratta del Tenax di Firenze e della storica serata Nobody’s Perfect. Primo novembre 2014, io, Alex Neri e Marco Faraone. A distanza di due mesi l’altra grande pietra miliare: Amore 015, Capodanno. Nonostante abbia suonato prima della mezzanotte (dopo il testimone sarebbe passato ad artisti del calibro di Dixon, Villalobos, Maceo Plex e Chris Liebing), il padiglione era incredibilmente popolato. Quando ho alzato lo sguardo a metà set, mi sono reso conto di avere migliaia di persone davanti. Come diciamo a Roma, mi era preso un “coccolone”. Il 2015 si era aperto nel migliore dei modi, e nel migliore dei modi è proseguito nei mesi successivi, nei quali ho avuto la possibilità di portare il mio live a spasso per l’Italia.
Dal punto di vista delle produzioni, ho aspettato a lungo prima di rilasciare il primo EP. Un progetto “live” richiede un lavoro continuo sotto questo punto di vista: il problema è che, essendoci una continua produzione di pezzi nuovi, è difficile fermarsi e dire “sì, questo è quello che uscirà”. La cristallizzazione mi fa paura, anche e soprattutto per il discorso sull’insoddisfazione che facevamo prima. E così il primo EP ha visto la luce solamente nel maggio di quest’anno: “Over And Above EP”, stampato esclusivamente in vinile su Autum. Autum, un altro passo importantissimo del mio percorso: ho contribuito all’ideazione e alla fondazione di questa nuova etichetta, che ha mosso i primi passi poco più di un anno dopo il concepimento. C’è una grande squadra a lavorare dietro Autum, ne vedremo delle belle!
Uno degli ultimi steps è stato il mio ingresso nel roaster di Dissound, agenzia di management e booking, che nei mesi scorsi mi ha portato alla conferma in line-up importanti come quelle di Amore 016, Snow Sonic e Spring Attitude. Il set registrato a quest’ultimo festival è poi andato ad aggiungersi ai podcast di Signal Hills (m2o), subito dopo mostri sacri come Sven Vath e John Talabot.
Passi per prendere un po’ d’aria e trovare ispirazione ed energia: quali sono le tue altre passioni? Come le sviluppi? Quanto tempo riesci a dedicare loro?
Ricevo qualcosa di molto simile alla musica dalla cinematografia, a livello di energia e di pathos. Spesso è proprio nei film che trovo le idee migliori per mettermi a lavoro su nuovi pezzi. Mi piace levare il volume a delle scene che mi hanno colpito e sovrapporci musica e suoni ex novo come stessi lavorando su un film muto. Per esempio “Above” (ATM001) è figlia di “C’era Una Volta In America”. Ma ci risiamo, sto riparlando di musica!
Passi perduti: quali sono finora i tuoi più grandi rimpianti, musicalmente parlando?
Per fortuna ancora nessuno! C’è tempo per i rimpianti. Quelli che sono stati errori, negli ultimi anni, fanno parte del cammino e di un utilissimo bagaglio di esperienza.
Passi che consiglieresti: quali sono secondo te i cinque album (o brani) che consiglieresti e che non dovrebbero mancare nella discografia di tutte le persone a cui vuoi bene o che stimi?
Pink Floyd “Dark Side Of The Moon”
Dire Straits “Brothers In Arms”
John Coltrane “Blue Train”
Darkside “Psychic”
Henrik Schwarz, Bugge Wesseltoft, Dan Berglund “Trialogue”
Passi in biblioteca o videoteca: quali libri o film consiglieresti?
Come libri, “Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcìa Marquez e, spostandoci sulla poesia, “I Fiori del Male di Baudelaire” e “L’antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters. Come film, da romano, due manifesti del secondo e del terzo millennio: “Un Americano A Roma” con Alberto Sordi e “La Grande Bellezza” di Sorrentino. Il drammaticone per eccellenza? “Qualcuno volò sul nido del cuculo”.
Passi fondamentali: qual è il risultato artistico di cui finora vai più orgoglioso?
Forse “Apnea“, una traccia diversa dalle altre, che ho prodotto insieme a Paolo Casali, pianista e compositore. 96 BPM, molto melodica, ricca di percussioni che di solito non utilizzo nelle produzioni sopra i 118 BPM. Ma probabilmente lo dico perché è l’ultima produzione che ho pubblicato, un po’ come quando da piccolo ti chiedevano quale fosse il tuo giocattolo preferito. Quello comprato cinque minuti prima, ovviamente.
Poi il live a Spring Attitude Festival. Si trattava di uno slot da 45 minuti, ma risentendo la registrazione penso che siano bastati per fare un piccolo viaggio insieme al caldissimo pubblico di quella domenica pomeriggio!
Passi virtuali: come stai vivendo l’onnipresenza del web nelle nostre vite in questi anni? Visto tra l’altro che questa è una intervista che stiamo facendo per un media online…
Ho ventitré anni e non avendo vissuto l’altra dimensione non ho un metro di paragone. Sicuramente per quanto riguarda l’attività musicale, è utilissimo sotto i più vari punti di vista: ricerca musicale più accessibile (ma anche più rischiosa, essendosi moltiplicato il materiale musicale online rispetto alla stampa di dischi); promozione che con costi minori può raggiungere un bacino potenzialmente mondiale; possibilità di intrattenere rapporti di lavoro a distanza (basti pensare che Autum cammina ogni giorno su un filo che collega Roma, Londra e New York!) senza necessariamente metter su una squadra di calcetto di quartiere; mettiamoci anche questa intervista…
L’importante è non perdersi nel web e tenere il timone fermo in direzione musica!
Passi in compagnia: quali sono i dj e producer con cui senti più affinità, e con cui vorresti sempre e comunque condividere parole, progetti, obiettivi?
Sento molte affinità in fase di ricerca del suono con Nicolas Jaar e David August, inutile dire che sarebbe un sogno poterci condividere qualsiasi tipo di progetto. Mi farebbe molto piacere lavorare anche con Rival Consoles, chitarrista e producer di casa Erased Tapes, così come con Henrik Schwarz, magari per un album sulla scia di “Trialogue”, con il “ninja” Romare e con l’Acid Pauli di “Mst”. A livello di vita reale, nell’ultimo anno ho scoperto un gran feeling con Germano Ventura, nonostante i nostri generi si incrocino poco, ma proprio questo è un fattore che mi spinge ad uscire dai miei canoni di produzione e a scoprire il mio lato “Howl” latente!
Passi incrociati: qual è la situazione, musicale e non, più assurda che ti è capitato di vivere?
A fine luglio 2015 ero ospite a una serata a Lavinio, sul litorale laziale. Location molto bella e particolare, una rimessa di barche all’aperto. La consolle era sopraelevata, con una grande pista davanti e una piccola flotta dietro. Verso le due inizio a suonare e a metà set, preso dall’atmosfera molto calda che si era creata, comincio a muovermi di più anche io dietro la consolle. Fino a quando, mannaggia a me!, non faccio un passo indietro di troppo, inciampo nella valigia degli strumenti e faccio un metro e mezzo di volo cadendo di schiena in mezzo alle barche! Due ricordi: un dolore allucinante e la faccia terrorizzata del promoter. Con una forza di volontà che non ho più ritrovato nella vita sono riuscito ad alzarmi e a riprendere i comandi. Quella sera ci ho bevuto su, ma il giorno dopo ecco il mal di schiena che mi ha tenuto fermo a casa per un po’ e che mi si è riproposto a intermittenza per tutta l’estate!
Passi sbagliati: quali sono le cose che più di danno fastidio nella scena musicale italiana?
Mi sembra ci sia poca coesione e poca voglia di darci un’identità geografico-musicale. L’invidia e la rivalità non creano un ambiente di “sana competizione” e rovinano un po’ una scena che artisticamente parlando è validissima. Molte volte abbiamo atteggiamenti anche un po’ troppo esterofili e ci trascuriamo sottovalutandoci troppo. Guardando oltre i nostri confini, penso che la Romania degli ultimi anni sia in grado di offrirci un bellissimo esempio di sinergia tra artisti autoctoni, che è ciò che auspico per noi nel decennio a venire.
Passi che stai per compiere: quali sono i tuoi prossimi progetti?
Sto continuando a produrre: ho già dei remix e un secondo EP pronti e sono al lavoro su un terzo con un andamento meno lineare. Ma l’anno prossimo il vero obiettivo, oltre che continuare con gli appuntamenti dal vivo, è ritagliarmi del tempo per cominciare a gettare le fondamenta di un album. Per un progetto live è fondamentale. Detto ciò, non sento una forte esigenza di progettualità, preferisco vivermi al pieno ciò che mi succede di settimana in settimana: ogni cosa deve essere un fine a sé stante e non un mezzo per farne altre, altrimenti non si respira più.
Passi sinestetici: salutaci non con delle parole, ma con una traccia, non importa se tua o di altri.