Giorgia, We Love, Metùo ed infine Alice (è giusto però sottolineare che in questo caso si tratta del nome dello spettacolo, un vero e proprio spettacolo, realizzato assieme alla scenografa Jamaica De Marco ed al fratello Francesco, contrabbassista) sono le tante vesti in cui potete avere il piacere di ascoltarla. Tanti nomi diversi ma un unica costante: la ricerca di uno spettacolo completo, unico nel suo genere, in grado di coinvolgere non solo l’udito, ma la vista ed anche l’olfatto. Non mi dilungo e lascio che sia lei a descrivervi a parole quest’esperienza, nella speranza che un giorno abbiate il piacere di assistervi. Signori e signore: Giorgia Angiuli.
Ti conosciamo principalmente sotto le vesti di ‘We Love’ assieme a Piero Fragola, ma ora vogliamo sapere anche degli altri tuoi progetti. Partiamo da quello cronologicamente meno recente, ovvero Metùo, che descrivi come un esperienza multisensoriale; innanzitutto, porti ancora avanti questo lavoro? Riusciresti a descriverla a parole per i nostri lettori?
Metùo esiste ancora e rappresenta per me il giardino sonoro che ha accolto e accoglie tutt’ora le mie idee armoniche più delicate. E’ stato il mio primo progetto di musica elettronica che ha preso forma grazie alla collaborazione della bravissima toy designer parigina Amelie Labarthe. Il nostro sogno era quello di creare un laboratorio creativo onirico e produrre una nostra linea di giocattoli sonori e profumi. Poi è nato un album e molti concerti. Descrivo Metùo come un’esperienza multisensoriale perché nei miei live creavo atmosfere “profumose” con un diffusore di aromi ad ultrasuoni e poi collaboravo con vari videomaker e allestitori… quindi erano dei live all’incrocio tra suoni, immagini e odori. Attualmente sono ferma con i live, perché non ho molto tempo, ma a livello compositivo mi piacerebbe molto fare un altro album sotto questo nome.
Passiamo a parlare di Giorgia: adesso ti esibisci come solista e solo live. Come si sviluppa il tuo live set e che equipaggiamento/strumenti utilizzi?
Se solo fosse possibile, porterei con me tantissimi oggetti e strumenti musicali ma nei club bisogna limitarsi poiché le consolle da dj sono sempre molto piccole. Allora ho cambiato il mio set e ho comprato dei controller affidabili ma di piccole dimensioni. Utilizzo il computer con il software Ableton live, una tastiera a due ottave con tasti e pad, un controller con feather e knobs, un theremin e un microfono per la voce e poi riempio lo spazio rimanente con vari giocattoli (carillon, flauti, clarinetti, pistole giocattolo ecc…). Durante il live campiono il suono dei giocattoli e suono loop ritmici tra la deep e la techno improvvisando con suoni di vario genere: pianoforte, organo, lead, drum! Mi piace molto la dimensione del club, è un contenitore vibrante, aggressivo e onirico allo stesso tempo, solido e nero, dolce e vellutato come un vecchio liquore alla liquirizia.
Come riesci a conciliare l’uso di flauti o altri strumenti musicali veri e propri o anche improvvisati con quello che il pubblico si aspetta da una serata al Tenax, tuo banco di lavoro di questi ultimi mesi?
Da settembre ho la fortuna di suonare tutti i sabati al Tenax 1.0, club leggendario, arrivo solitamente verso le 22.30, monto il mio setup su un tavolino da campeggio nero, lo apparecchio con tutti i miei oggetti e mi nascondo in un angolino dietro il sub bianco: prima di iniziare mi diverto molto a studiare le reazioni della gente. Le persone si avvicinano al mio tavolo e, in modo scettico, pronunciano affermazioni tipo “ma che siamo all’asilo?” “cosa c’è questa sera cabaret?” e così via. Poi, quando parto, partecipano in modo attivo, manifestando sempre reazioni molto positive; sono incuriosite e io adoro interagire con il pubblico. Fondamentalmente mi piace molto l’idea che un dolce e innocente giocattolino con l’aggiunta di effetti digitali possa emettere un suono anche molto violento… forse è un inconscio desiderio di provocazione, come diceva Pessoa: “Sono come una stanza dagli innumerevoli specchi fantastici che distorcono in riflessi falsi un’unica anteriore realtà che non è in nessuno ed è in tutti”.
Dici che “Berlinette” è stato un album che ti ha cambiato aprendoti le porte dell’elettronica e ascoltando i tuoi live mi sembra di sentire in piccola parte l’influenza di Ellen Allien. Adesso che la conosci, quanto sono importanti il suo giudizio ed i suoi consigli per il tuo lavoro?
Ellen è una figura fondamentale per la mia produzione artistica; i suoi dischi mi hanno segnato e la sua personalità mi ha risvegliato. E’ una donna che stimo tanto da considerarla un'”illuminata”. E’ fantastica, è molto aperta, ha una cultura musicale incredibile e si nutre costantemente di curiosità. Quando le invio dei brani mi risponde sempre, dicendomi quello che pensa in modo molto schietto e sincero e soprattutto costruttivo. Io sono sempre stata una sua grandissima fan e nutro nei suoi riguardi un rispetto immenso; è umile, ironica, geniale, umana.
Come è nata l’idea legata al tuo prossimo album e live “Alice”? Come avete portato avanti la sua realizzazione, cosa veniva prima: le immagini o la musica?
“In un Paese delle Meraviglie essi giacciono,
Sognando mentre i giorni passano,
Sognando mentre le estati muoiono;
Eternamente scivolando lungo la corrente
indugiando nell’aureo bagliore…
Che cos’è la vita se non un sogno?”
L. Carroll ha forgiato un capolavoro letterario, un’ode all’assurdo il cui fascino ha catturato moltissime persone nel corso del tempo. Partendo dal principio di opera come contenitore di forme e diversi linguaggi abbiamo creato la scatola scenica di Alice. Eroina del sonno-sogno Alice diventa la protagonista di questo nuovo lavoro basato sulla costruzione di un ambiente unico e vorticante tra musica elettronica e strumenti orchestrali. Jamaica De Marco con cui collaboro, scenografa e videomaker, ha ricreato, attraverso il recupero di vecchi e nuovi film dedicati ad Alice, una storia “nuova”, rimontando sulla musica le immagini più belle di questi capolavori cinematografici. Il lavoro è stato realizzato attraverso uno scambio continuo di materiali sonori e visivi costruendo via via un ambiente fantastico e senza tempo e io ho composto 12 sound track per i 12 capitoli. Abbiamo messo su uno spettacolo già presentato al Robot Festival di Bologna e alla Mole Vanvitelliana di Ancona. In questi primi due live ci siamo esibiti con mio fratello, Francesco Angiuli, contrabbassista classico e jazz e adesso stiamo chiudendo l’album.
Ricollegandomi a quanto detto prima e guardando il video: quanto credi sia “portabile” questo spettacolo? Voglio dire non è possibile realizzare un tale live in tutti i club d’Italia ed ho paura che anche il pubblico che si reca generalmente in discoteca non sia in grado di apprezzare la complessità di un tale spettacolo. Cosa mi dici a riguardo, anche in base alla tua esperienza?
Lo spettacolo di Alice è una scatola scenica abbastanza complessa: ci esibiamo dietro un immenso tulle nero e un trenino elettrico munito di telecamere wireless attraversa il palcoscenico riprendendo i contenuti video, miscelati in diretta con le pellicole originali. E’ uno spettacolo concepito per teatri e musei, per cui credo che purtroppo sia impossibile portarlo nei club; tra l’altro il mio desiderio è quello di estenderlo pian piano all’orchestra. Io sono una grandissima estimatrice di Wagner e della sua idea di Gesamtkunstwerk (opera totale), sintesi delle arti poetiche, visuali, musicali e drammatiche. Il mio sogno è sempre stato quello di creare dei contenitori scenici capaci di accogliere più forme artistiche.
Cos’è cambiato in te e nel tuo modo di lavorare e vivere nel momento in cui è arrivato il successo? Cosa non cambieresti mai?
Lavorare su Bpitch Control mi ha donato più sicurezza. Prima credevo sempre che la musica dovesse rimanere una passione; mi faceva sentire a disagio esprimere a voce alta il desiderio di voler fare la musicista, era una sorta di ronzio fastidioso da relegare nell’oblio. Invece avere il supporto di una label come Bpitch mi ha fatto credere che il mio sogno potesse trasformarsi in un obiettivo di vita! Quindi, se prima mi sentivo quasi in colpa a passare le giornate suonando, adesso mi sento viva e non ho paura di affermare che senza la musica non potrei vivere.
Infine, tolta la musica cosa rimane di Giorgia? Come passi il tempo quando non suoni (che sia in studio o in tour) o ti occupi dei tuoi diversi progetti?
Senza la musica? Sinceramente, almeno negli ultimi 3 anni, l’unico periodo che ho trascorso senza suonare è stato l’anno scorso durante una vacanza in Cina con mia madre; per il resto, suono praticamente tutti i giorni! Mi concedo quotidianamente qualche ora di pausa per fare un po’ di yoga e qualche passeggiata.
Photo by Mattia Polisena