Chissà, forse stavolta è per davvero: già in passato infatti, anno 2004, sembrava che la sigla Orbital non sarebbe mai tornata in pista, relegata al ruolo di magia del passato da tramandare solo oralmente (e via tracce già registrate) ai posteri. Poi è arrivata la chiamata di Glastonbury nel 2009, “dai, su, riunitevi, fatelo per un concerto, solo uno”; poi ancora il Sonar, un po’ di altri concerti in giro ai quattro angoli del mondo e, insomma, era tornata la voglia di far cose. Il frutto è stato un album assolutamente magnifico, “Wonky“, seguito da una serie di concerti da pelle d’oca (toccata anche l’Italia, al Traffic Festival, decine di migliaia di persone in Piazza San Carlo due anni fa: fu magico), nuovi, vivi e pulsanti, lì dove invece le esibizioni live post Glasto 2009 erano più che altro una museale (per quanto splendida e commovente) celebrazione di se stessi.
Ora però i due fratelli Paul e Phil Hartnoll annunciano di nuovo il termine dell’avventura Orbital. Paul annuncia già che si dedicherà ad un progetto chiamato 8:58 (album in uscita per il 2015, pare) e se ne starà tranquillo a fare il producer, Phil – che dei due è il fratello un po’ più festaiolo e teppista – dice che si concentrerà sulla sua carriera da dj, che già era stata il suo rifugio durante il primo scioglimento del sodalizio artistico orbitaliano.
Noi vogliamo giusto che questa notizia serva a (ri)scoprire l’immenso patrimonio che i due ci hanno lasciato. Una delle espressioni più alte, immaginifiche, preziose che la musica elettronica abbia mai generato. Ai due auguriamo buona fortuna, a noi auguriamo di imbatterci anche in futuro in musica splendida come quella contenuta in dischi favolosi come “Snivilisation”, “In Sides”, il “Green Album” e il “Brown Album”: luoghi in cui l’elettronica di taglio dance acquista un’anima di incredibile intensità e bellezza, lontano da ogni vacuità e da ogni superficialità da tool djistico spacciato per “musica”.