Eccomi qui a presentarvi il secondo disco ideato dalla nota label di Colonia per celebrare i vent’anni di vita della gloriosa etichetta tedesca. Dunque, avete presente quei “best of” pieni di house, techno, pop, indie e zucchero a velo che le etichette di mezzo mondo propinano al pubblico ogni due anni, massimo tre? Ecco, tutto questo, con una qualità ben al di sopra della media e grazie alla firma di artisti come Superpitcher, Gui Boratto, Jurgen Paape ed altri, è ben radicato all’interno dei venti pezzi (scelta numerica non casuale, a mio parere) che compongono il disco degli originali.
E i remix? Niente remix, amici. Niente nomi presi qui e la nella giungla di produzioni più o meno cool che attanagliano, a volte sin quasi a soffocarlo, il nostro amato universo elettronico. Comunque. Il disco due è un ri-arrangiamento in chiave melodica degli stessi venti pezzi da parte del musicista e compositore tedesco Gregor Schwellenbach, un artista che conosce molto bene il mondo della musica tutta, da quella classica alla “tradizione” elettronica di cui Kompakt è un caposaldo, essendo una delle poche etichette in circolazione ad avere una storia di anni, dischi e artisti di assoluto livello. Fatto dimostrato ampiamente con la famosa serie vinilica “Speicher”, il lancio di una grande quantità di giovani artisti dal grande talento e la formazione di squadra di djs e prdoucers fra le più apprezzate nel mondo della techno e non solo. Insomma, Kompakt è una cosa seria, quasi da film, quasi da lacrime. Come in “Vision 03”, il pezzo dei fratelli Voigt che nella sua versione originale regala lacrime di meraviglia e sorrisi sbrilluccicanti al sole d’inverno e che, nella versione senza cassa di Schwellenbach, ti spara dritto nei sotterranei della felicità, quel labirinto estatico fatto di gioia, paura, delirio e stupore. Tutto in slow-motion. Come quando sei felice e consapevole, beato di una nota, di un concerto, di un canestro o di una voleè, che non è un gesto tecnico, di una pacca sulla spalla, che non è un gesto tattico. E’ musica.
Poi ci sono i cavalli rombanti di “Triumph” e “Domino” (il celebre arazzo techno di Oxia) che anche senza la loro struttura sconquassante ti prendono alla gola e ti sbattono ancora una volta addosso a quel muro sudaticcio. Poi c’è “Everlasting”, ddi Kaito, amore puro in entrambe le versioni. Anzi, uno dei rari casi in cui la versione elettronica si fa apprezzare più della pur bella rivisitazione. “Everlasting” è un pezzo fatto da quell’house veloce che mi ha davvero catturato una decina di anni fa e che, seppur fuori moda, non riesco a scrollarmi di dosso (avete presente il disco quadruplo dei Deep Dish prodotto dalla GU, Toronto 25?). Poi c’è “Grun” a firma Studio 1. Sperimentazione totale.
Che altro dire, se non “Melanie”. La parola magica. Il pezzo di Jonas Bering che, fra originale e rivisitazione, da una pista a tutti gli altri. Poesia allo stato puro. Indefinibile e inarrivabile, almeno per me.